Secondo L’istituto Toniolo tre giovani su quattro si accorgono delle bufale in rete, ma il 11% diffonde tutto comunque
LE “BUFALE” NELLA RETE. “DIFFUSIONE, USO, INSIDIE DEI SOCIAL NETWORK”
Le nuove generazioni usano in modo diffuso la rete e i social network, li considerano come parte integrante della propria realtà e vita sociale. Il web è considerato un mezzo imprescindibile per acquisire informazioni e i social uno strumento utile per scambiare opinioni, confrontarsi, allargare conoscenze, raccontare di sé.
Questa presenza pervasiva della rete per i Millennials, la prima generazione socializzata in connessione continua dal basso con il mondo, non significa, tuttavia, che il loro sia un uso incondizionato e acritico. La grande maggioranza è a conoscenza di insidie e rischi anche se non sempre è pienamente consapevole della loro portata e delle implicazioni. Diventa, quindi, esperienza comune essere vittima o spettatore passivo o complice più o meno involontario di situazioni spiacevoli e di pratiche corrosive. Accade spesso, in particolare, di imbattersi in diffusione di notizie false (“bufale”), in contenuti offensivi e discriminatori (“hate speech”), in provocazioni gratuite e accuse infondate (“trolling”). La grande maggioranza delle persone ritiene che queste pratiche rendano i social più inaffidabili e un luogo meno ospitale. Manca, però, una condotta guida di comportamento che aiuti a non favorirne la diffusione e a disinnescare gli effetti.
Ognuno si regola in base alla propria sensibilità sia nel valutare l’affidabilità delle notizie da condividere sia nel lasciar cadere o nelle modalità di replica a provocazioni e insulti. Molti sono quelli che dopo essere stati “scottati” hanno deciso di limitare la presenza quantitativa e qualitativa in rete, diventando più cauti ma perdendo anche fiducia nelle possibilità di espressione e condivisione nei social.
La dimensione e l’interesse pubblico acquisito da questo tema suggerisce non solo la necessità di ulteriori analisi, quantitative e qualitative, ma anche lo sviluppo di codici di comportamento, strumenti e strategie di azione che aiutino a contenere gli effetti corrosivi negativi che pratiche di questo tipo possono produrre.
L’INDAGINE
Indagine di approfondimento dell’ “Osservatorio Giovani” dell’Istituto Giuseppe Toniolo su “Diffusione, uso, insidie dei social network”, condotta a gennaio 2017 su un campione di 2182 persone, rappresentativo dei giovani italiani di età 20-34 anni.
I dati costituiscono un’anticipazione dell’ approfondimento che l’Osservatorio Giovani ha realizzato in occasione di “Parole O_Stili”, un evento contro la violenza nelle parole che si terrà a Trieste il 17 e 18 febbraio.
I RISULTATI PRINCIPALI
La quasi totalità dei giovani tra i 20 e i 34 anni usa la rete, la grande maggioranza è presente sui social network. Tra questi, il 90,3 per cento ha un account su Facebook, segue Instagram con 56,6 per cento, Google+ con 53,9 per cento, Twitter 39,9 per cento. Rilevante è anche la presenza su LinkedIn, più orientato a profili professionali, che arriva al 22,4 per cento. Gli utenti di Pinterest arrivano al 20,4 e su Snapchat al 16,1 per cento (che sale al 27,4 per cento nella fascia più giovane del campione, gli under 22). Più di nicchia gli altri.
Gli utenti di Facebook risultano anche i più assidui, presenti quotidianamente in oltre il 90 per cento dei casi (93%), seguiti da Intragram (74%) e Snapchat (56,9%).
Lo strumento privilegiato per connettersi è lo smartphone (72,7%).
A cosa servono i social?
Rispetto alle attività svolte nell’ultima settimana, quelle più comuni sono leggere post di amici/follower (fatta “spesso” dal 74,1% degli intervistati), leggere news (63,2%), conversare privatamente tramite messanger (57,8%). Attività che comportano inserimento di contenuti sono meno frequenti ma coinvolgono una larga parte del campione: commentare post di propri contatti (49, 1%), postare materiale sulla propria pagina (40,7%), condividere news (35,4%), postare proprie foto o video su pagine altrui (32,6%). Di rilievo anche le voci “Leggere/cercare annunci di lavoro” (28,3%) e “Visitare account di personaggi pubblici” (26,6%), commentare una news su una pagina di media ufficiali (23,5%).
Nel complesso, la presenza attiva sui social dei giovani appare ampia, con intensa interazione e condivisione di materiali, news e opinioni.
Allo stesso tempo emerge la consapevolezza dei rischi. Alto è infatti il consenso sul fatto che non vanno presi troppo sul serio perché i contenuti che vi si pubblicano possono essere tanto veri quanto “inventati” (86,6%).
LE “BUFALE”
Le cosiddette “bufale” sono notizie presentate e diffuse come vere e che invece si rivelano poi essere false. Qual è il livello di consapevolezza dei giovani verso questo fenomeno? Quanto è percepito come problema la formazione di convinzioni basate su fatti infondati? Come difendersi?
Il 28,5% ammette che gli è capitato di condividere una informazione che poi a scoperto esser falsa. Al 73,8% degli intervistati è inoltre capitato di accorgersi di bufale pubblicate da amici.
La possibilità di cadere in questa trappola è legata alla frequenza di uso dei social e dalla frequenza con cui si condividono news postate da propri contatti o da altre fonti non istituzionali. C’è però anche un interessante legame con il titolo di studio e quindi con li strumenti culturali di cui si dispone.
Tra chi ha titolo basso (si è fermato alla sola scuola dell’obbligo) la condivisione di un bufala sale al 31,7%, mentre scende al 28 per chi ha un titolo di scuola superiore, e al 24% tra i laureati.
I laureati ci cascano di meno ma si accorgono di più di una notizia falsa condivisa da un proprio amico/follower (77,8%, contro 74,6% di chi ha titolo intermedio e 70,4% di chi ha titolo basso).
Dopo una esperienza personale o la diffusione da parte di un amico, il 75,4% degli intervistati dichiara di aver aumentato la sensibilità verso tale tema e l’attenzione verso contenuti sospetti. Il 55,6% ha smesso di condividere contenuti da contatti con contenuti rivelati come bufale, il 41,7% si è trovato anche a rimuovere contatti dalla propria rete.
Anche sulla reazione e sull’acquisizione di consapevolezza dopo un episodio negativo esiste una differenza legata al capitale umano della persona. L’aumento della sensibilità verso il tema sale al 79,1% per i laureati, contro 76,7 e 71,4 rispettivamente di chi ha titolo intermedio e basso.
Di norma condivido sempre e comunque, tanto è impossibile appurare l’attendibilità di quello che circola in rete. Quanto spesso ti trovi in questa situazione?
Laureati Scuola sup. Obbligo Tutti
Sempre/spesso 8,8 9,6 15,0 11,2
Qualche volta 24,7 27,2 39,6 30,8
Mai 66,5 63,2 45,4 58,0
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0
Ricerca elaborata per Parole Ostili, in programma a Trieste il 17.18 febbraio. Paroleostili.com
In generale come ci si cautela? L’11,2% non adotta mai nessuna strategia, condivide in modo indiscriminato ritenendo che sia impossibile comunque controllare la veridicità di tutto. Questa accettazione incondizionata è fortemente legata al titolo di studio. Solo la minoranza (45,4%) di chi ha titolo basso è del tutto contraria alla diffusione indiscriminata, mentre si sale al 63,2% tra chi ha titolo medio e al 66,5% di chi ha titolo alto.
Riguardo al come appurare l’attendibilità, ad un estremo c’è il 23,9% del totale del campione che afferma di andare usualmente “a fiuto”, condividendo le notizie che in base ad una sua valutazione personale ritiene fondate o di interesse, all’altro estremo il 38,9% che restringe drasticamente la condivisione alle sole notizie di fonte ufficiale. La maggioranza adotta qualche criterio selettivo intermedio tra tali due estremi, basandosi sull’autorevolezza della fonte (privata o pubblica) che fornisce la notizia o su propria previa verifica dei contenuti.
Il 45,5% di chi ha avuto esperienza di diffusione di notizie infondate concorda con l’idea che tutto sommato le “bufale fanno parte del gioco e del bello dei Social network”, senza differenze rilevanti per titolo di studio.
Per il 53% di chi le ha subite è diminuita complessivamente la propria fiducia sui Social networks. In questo caso i più vulnerabili, perché rischiano maggiormente di caderci e hanno meno strumenti per difendersi, sono coloro che hanno titolo basso. Per essi la perdita di fiducia sale al 60,4 percento.
“La fiducia nei social network è comunque complessivamente bassa tra i giovani, ben consapevoli del fatto che molti li usano come passatempo e luogo in cui farsi notare o sfogare le proprie frustrazioni – ha detto il prof. Alessandro Rosina, curatore dell’indagine – Ma per una parte rilevante sono considerati anche un contesto in cui sviluppare dinamiche di relazione e scambio di informazioni, messo però in crisi dalle troppe insidie dalle quali non è sempre ben chiaro come difendersi”.