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Generazione Boomerang: Repubblica intervista Rosina e Elena Marta

Generazione Boomerang di Maria Novella De Luca (Repubblica- 10/1/2014)

 

Alcuni dicono che è come avere le ali spezzate. Altri non disfano mai la valigia. Altri invece, più ottimisti, parlano di “scalo tecnico”, di pausa obbligata, di momentanea sosta. Per tutti però, a venticinque, a trenta, addirittura a quarant’anni, l’approdo è lo stesso: la casa dei genitori, il welfare sicuro di mamma e papà, il luogo da cui si era andati via per tornare al punto di partenza. I sociologi l’hanno definita “generazione boomerang”, ti lanci fuori e vieni ributtato dentro, ma il dato ancora più nuovo è che tra i boomerang kids ci sono ormai anche le classi dell’età adulta, chi ha perso il lavoro, chi si è separato, chi non ce la fa più a pagare l’affitto. Un (mesto) gioco dell’oca che riguarda oggi in Italia uno spropositato numero di giovani, il 70% degli under 30, che dopo aver provato a farcela da soli sono costretti a ripiegare sul nido domestico.

Ecosì si fa marcia indietro, a volte addirittura in coppia, con i figli piccoli, verso l’unico ammortizzatore sociale che seppure azzoppato in Italia ancora resiste, e cioè la famiglia e le pensioni dei genitori. (Nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni il 41,9% dei figli vive ancora a casa, ma persiste anche un 7% di quarantenni che non vogliono lasciare la residenza di sempre o che invece lì sono tornati). «Quando è fallito il nostro negozio di elettronica — scrive Sonia sul suo blog Ricominciamo — i miei genitori ci hanno proposto di sistemarci nella loro mansarda con i bambini. È stata una salvezza, anche se passare da una casa vera ad un monolocale di 30metri quadri in quattro, e tornare a convivere con mamma e papà a 35 anni è stata davvero dura. Ma senza più l’angoscia dell’affitto, dovendo soltanto condividere le bollette e la spesa, Ettore ed io abbiamo provato a rimetterci in pista. Oggi vendiamo online prodotti bio per l’infanzia, soprattutto i pannolini di stoffa. Ho quasi paura nel dirlo, ma sta andando bene…».
In tutta Europa, ma a sorpresa anche negli Stati Uniti e in quei Paesi che avevano fatto dell’autonomia dei giovani un cardine sociale, è in corso una rivoluzione al contrario. Il lavoro precario, gli affitti impossibili, la fine dei percorsi di studi, la stessa instabilità della vita affettiva, stanno creando il fenomeno dei “ritorni indietro”. E se in Italia la “famiglia lunga”, e i legami comunque molto stretti tra genitori e figli anche adulti fa sì che da noi l’effetto boomerang abbia caratteristiche del tutto particolari, per nazioni come l’Inghilterra o gli Stati Uniti è un vero shock culturale. E infatti la definizione boomerang kids è americana, ed è il racconto di migliaia di studenti, che dopo aver contratto il prestito d’onore per poter pagare l’università, non trovano lavoro, sono indebitati, e dunque devono rinunciare all’autonomia.

 

Questa migrazione al contrario è per l’Italia invece un’emergenza nuova, come dimostra il “Rapporto giovani 2013” dell’Istituto Toniolo di Milano, che ha dedicato al “boomerang” un intero capitolo. «Il nostro paradosso — dice Alessandro Rosina, demografo e direttore scientifico del rapporto — è che proprio quando i giovani italiani stavano provando a farcela da soli, ad anticipare l’uscita dalla famiglia, la crisi ha bloccato questa voglia di autonomia. Il dato, altissimo, del 70% di under 30 che tornano a casa, vuol dire che però in tanti ci hanno provato a rendersi indipendenti». Ma nel giro di pochi anni l’entusiasmo si spegne.

 

«Si rientra alla fine di un periodo di studio all’estero, si torna perché il lavoro precario con cui si sperava di cominciare una vita nuova si interrompe, perché le risorse sono finite. Tra i boomerang kids c’è chi vive la casa di famiglia come uno scalo momentaneo, una sosta per ripartire, e c’è chi invece progressivamente si ripiega su se stesso, accade soprattutto ai più adulti, la famiglia diventa un rifugio dal mondo». Il senso di fallimento induce alla rassegnazione, e così anche chi aveva provato ad uscire in mare aperto, scivola nell’esercito dei “neet”, quegli oltre due milioni di trentenni che non studiano, non lavorano, ma soprattutto non cercano più né un impiego né una nuova strada.

 

«Per la mia generazione — ragiona Piero, 27 anni, napoletano, una laurea in Storia, un dottorato in Inghilterra — ripiombare nella condizione di figlio è davvero qualcosa di regressivo, una specie di anticamera della depressione. Viaggio da quando ero al liceo con il progetto Leonardo, poi ho fatto l’Erasmus, sono riuscito con orgoglio ad avere una borsa di studio alla London School of Economics. Ma finiti i fondi sono dovuto tornare. Non sopravvivi in Inghilterra senza un buon lavoro. Qui da noi l’università è chiusa, figuriamoci, volendo posso insegnare gratis e lo faccio, meglio di niente. Sto cercando di ripartire. Sì, il mio è uno scalo tecnico. E intanto mi ritrovo ad essere figlio. Dormo nella stanza con mio fratello che di anni ne ha 25. A volte ridiamo come pazzi. A volte ci viene da piangere».

 

Sì, perché questi “rientri adulti”, come sottolinea Elena Marta, docente di Psicologia di Comunità alla Cattolica di Milano, non sono indolori. Nonostante la famiglia italiana sia antropologicamente disposta all’accoglienza. «Se più generazioni si ritrovano sotto lo stesso tetto tutto è da riscrivere, anzi da rinegoziare: spazi, abitudini, confini. Il rischio è che i genitori ricomincino a comportarsi come se avessero in casa un adolescente, e i figli già grandi, complice il fallimento della vita autonoma, scivolino in una dimensione di rinuncia». Quando poi a convivere le età sono tre, nonni, figli e nipoti, tutto è ancora più complicato. Ed è quello che sta accadendo oggi sempre più spesso, perché la “generazione di mezzo” non ce la fa più, e sono ormai interi nuclei a cercare riparo sotto il tetto (e la pensione) dei nonni. «Se si sopravvive alla coabitazione forzata — aggiunge Elena Marta — si può anche creare una relazione virtuosa di aiuto reciproco, in cui i figli adulti riscoprono i genitori anziani, e i nipoti si ritrovano in una dimensione di affetto più vasta». Anche se, tornando ai più giovani, è proprio la conquista dell’autonomia il vero gol dell’andare a vivere da soli. (Lo afferma il 67% degli intervistati nel “Rapporto giovani”, mentre per il 77,2% affrancarsi significa soprattutto poter gestire più liberamente un rapporto di coppia).

 

«Il problema dei boomerang kids non è più soltanto italiano — conferma Alessandro Rosina — ma oltre i nostri confini la situazione è sicuramente più dinamica, esistono i centri per l’impiego, ci sono i sussidi, canali più solidi per entrare nel mondo del lavoro, mentre da noi resistono soltanto le reti informali, legate molto spesso alla famiglia».

 

Certo, a guardare i numeri, sembra una disfatta. Perché al 70% di ragazzi costretti ad emigrare al contrario, si aggiungono gli adulti che perdono il lavoro e tornano a pesare sugli anziani. E infine una categoria ben precisa: i separati e i divorziati. Luca Salmieri insegna Sociologia della Cultura all’università “La Sapienza” di Roma. «Quando la coppia si rompe i maschi riapprodano nella dimora d’origine. Per cultura, per bisogno, per comodità. Oggi è sempre più difficile avere due vite autonome dopo una separazione, spesso la casa resta alla madre con i figli, quindi è frequente che si cerchi soccorso dai genitori. Permanenze che possono durare anni, e che dunque ingrossano le file dei boomerang kids». Infatti. La famiglia italiana è diventata più piccola, ha perso il suo carattere di clan, ma, dice Salmieri, i legami restano stretti, «come fosse un elastico che si allarga e si restringe a seconda delle generazioni che deve contenere».
Giovanna ad esempio che dopo essere rimasta sola con Isabella, 5 anni, è tornata nella casa materna. «Una brutta separazione, e lui è scomparso. Niente soldi, niente telefonate, nulla. Forse economicamente ce l’avrei potuta fare, ma ho un lavoro impegnativo e Isabella era sempre da sola con la baby sitter. Così quando mia madre mi ha proposto di andare a vivere con lei, ci ho pensato a lungo e poi ho accettato. Ho perso la mia autonomia, a 37 anni tornare nella casa dei genitori può sembrare una sconfitta. Ma Isabella oggi è protetta e felice e mia madre fa la nonna a tempo pieno. E in fondo siamo tutte più serene».

Crisi, 7 milioni di under 35 vivono a casa con i genitori

Sono 6 milioni 964 mila i giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono con almeno un genitore. Si tratta del 61,2% degli under 35 non sposati. Una percentuale che nel 2012 risulta in crescita di due punti sul 2011. E’ quanto emerge dalle tabelle allegate all’ultimo Rapporto sulla coesione sociale, elaborate in base a dati Istat. Si contano così 31mila giovani in più, rispetto all’anno precedente, che ancora mangiano e dormono con la mamma e il papà. E soprattutto non sono solo ventenni: se tra i 18 e i 24 anni vivono a casa con i genitori in 3 milioni 864 mila, la cifra non si abbassa più di tanto andando a guardare tra i 25-34enni (3 milioni 100 mila).

 

Un realtà fotografata anche dal Rapporto Giovani, che ha certificato come anche in Lombardia la famiglia rappresenti l’unica certezza per la generazione dei “millennials”, vale a dire chi è diventato maggiorenne nel nuovo millennio. A volte la famiglia è una certezza che diventa un vero e proprio ammortizzatore sociale, soprattutto nel caso delle giovani donne: è il 10,1% che è stato costretto a tornare da mamma per difficoltà economiche (il dato si abbassa per i coetanei all’8,2%). Rispetto al resto degli italiani, i giovani lombardi lasciano la famiglia di origine più per sentirsi indipendenti (16,4% contro 12,9%), meno per motivi di studio (29,1% contro il 35,9%). Ma per migliorare le opportunità lavorative sono disposti anche a trasferirsi all’estero: il 45,9% contro il 42% del dato nazionale. Anche una quota rilevante di chi ha già un lavoro si dichiara disposto a trasferirsi oltre confine. Il valore è più alto per chi ha un contratto a tempo determinato (il 42,4% in Lombardia e il 38,2% come media italiana), ma che rimane rilevante (circa 1 su 3) anche tra chi ha un lavoro più stabile.

 

In altre parole a cavallo tra i 20 e 30 anni chi ancora non si è sposato in quasi la metà dei casi se ne sta con i suoi piuttosto che andare a vivere per conto proprio. Tornando alle percentuali, riferite alle persone celibi e nubili under 35, si scopre come il fenomeno sia più accentuato al Sud (68,3%, pari a 2 milioni 36 mila ragazzi). Più uomini con mamma e papà – Il ‘maschio italiano’ si conferma più attaccato alla mamma e al papà di quanto lo siano le donne.

 

Ecco che nel 2012 risultano pari a 3 milioni 948 mila i ragazzi tra i 18 e i 34 anni ancora a casa con i genitori, quasi un milione in più (+932mila) rispetto alle giovani nella stessa fascia d’età. E’ quanto emerge dalle tabelle allegate all’ultimo Rapporto sulla coesione sociale di Inps, Istat e ministero del Lavoro, pubblicato alla fine del 2013. In particolare si fa riferimento a una tavola elaborata su dati di fonte Istat. Tradotto in percentuali si tratta del 68,3% dei 18-34enni scapoli. Quindi quasi 7 su 10 tra gli uomini under 35 non sposati vive sotto lo stesso tetto dei genitori (la quota si abbassa al 53,9% quando si parla di ragazze).

Istat: a dicembre 671mila under 25 in cerca di lavoro

A dicembre 2013 gli occupati sono 22 milioni 270 mila, in diminuzione dello 0,1% rispetto al mese precedente (-25 mila) e dell’1,9% su base annua (-424 mila). A rilevarlo è l’Istat, che ha certificato come, rispetto a dicembre 2012, il numero di occupati sia calato di oltre un milione.

Il tasso di occupazione, pari al 55,3%, diminuisce di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 1,0 punti rispetto a dodici mesi prima. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 229 mila, diminuisce dell’1,0% rispetto al mese precedente (-32 mila) mentre aumenta del 10,0% su base annua (+293 mila). Il tasso di disoccupazione è pari al 12,7%, in calo di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali ma in aumento di 1,2 punti nei dodici mesi.

 

I disoccupati tra i 15-24enni sono 671 mila. L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,2%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 0,8 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 41,6%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 4,2 punti nel confronto tendenziale.

 

Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,4% rispetto al mese precedente (+51 mila) e dello 0,3% rispetto a dodici mesi prima (+46 mila). Il tasso di inattività si attesta al 36,5%, in aumento di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,2 punti su base annua.

Giovani e volontariato, intervista di Radio Sivà (Avis) alla professoressa Elena Marta

Radio Sivà, la radio ufficiale dell’Avis, ha intervistato la professoressa Elena Marta (docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e una delle curatrici del Rapporto Giovani) in merito alla ricerca su giovani e volontariato. Ecco l’intervista audio completa: 

 

Il Rapporto Giovani presentato al Presidente Napolitano

 Roma – Nella mattinata di martedì 28 gennaio, al Quirinale, nello studio privato del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il cardinale Angelo Scola, presidente dell’Istituto Toniolo, ha guidato la delegazione composta dal direttore dell’Istituto Enrico Fusi, dal rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli, dalla professoressa Paola Bignardi (coordinatrice del gruppo di ricerca del Rapporto Giovani), dal professor Alessandro Rosina (coordinatore scientifico del Rapporto) e dall’avvocato Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e partner del Rapporto.

 

Il cardinale Scola ha presentato al presidente Napolitano le finalità del Rapporto Giovani “nato per offrire una lettura scientifica e affidabile dell’universo giovanile italiano in questo tempo di rapidi mutamenti”. Il presidente Napolitano ha ascoltato con interesse la presentazione del Rapporto Giovani, prestando particolare attenzione ai temi del lavoro e dell’imprenditoria giovanile, della scuola, della relazione tra formazione e ingresso nella professione, della famiglia, del futuro e del volontariato. “È stato un incontro molto cordiale e intenso – ha spiegato il cardinale Scola – un’occasione privilegiata per condividere il lavoro di indagine del Rapporto Giovani, un contributo al Paese per far conoscere la realtà dei giovani, superando i numerosi stereotipi che circolano sui ragazzi. Il Rapporto Giovani, insieme alle Borse di studio, ai collegi, ai progetti di formazione internazionali, è un contributo che l’Istituto Toniolo offre agli studenti dell’Università Cattolica e alla realtà giovanile”.

Rosina: “Occorre incentivare partecipazione dei giovani”

Intervista ad Alessandro Rosina, docente di Demografia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e uno dei curatori del Rapporto Giovani

A scegliere l’Università ci vado con mammà

Il mensile Vita ha intervistato Alessandro Rosina e Pierpaolo Triani, docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e tra i curatori del Rapporto Giovani. Ecco il testo dell’articolo:

 

Di Sara De Carli

Scegliere l’Università insieme a mamma e papà, portandoseli fisicamente appresso agli Open day. Strano ma vero. Forse finanche un po’ paradossale, ma un segno dei tempi. Succede all’Università Cattolica, che negli Open day di presentazione delle sedi di Milano e Brescia, il prossimo febbraio, inserirà un momento e uno spazio dedicato esplicitamente alle famiglie. È la prima volta che accade nella sua storia, benché un’esperienza simile sia già stata sperimentata in passato nel campus di Piacenza.

«A compiere la scelta dell’università sono sempre più le famiglie, almeno a giudicare dal numero crescente di genitori che già da qualche anno accompagnano i figli all’Open day», spiega l’Università nella propria newsletter. «Da anni, infatti, cresce costantemente la presenza di mamme e papà in università per prendere visione diretta dei servizi, degli ambienti universitari, dei costi e delle agevolazioni, nonché dell’evoluzione del sistema universitario. Un fenomeno inedito che l’ateneo ha deciso di affrontare».

Ragazzi bamboccioni? «Fa parte di un cambiamento sociale che vede i genitori sempre più partecipi, rispetto a un tempo, delle scelte dei figli. Un fatto positivo, perché sottolinea l’accrescersi di una dimensione relazionale che porta a una maggiore attenzione ai percorsi di vita dei ragazzi», dice il pedagogista Pierpaolo Triani, che insegna in Cattolica ed è membro del gruppo operativo che ha realizzato di recente ilRapporto giovani, la ricerca longitudinale promossa dall’Istituto “Giuseppe Toniolo” di Studi Superiori, in collaborazione con Fondazione Cariplo e Ipsos. Secondo Alessandro Rosina, demografo, i dati confermano «la situazione di oggettiva difficoltà che costringe molti giovani a ricorrere al continuo aiuto della famiglia di origine. Quasi due intervistati su tre dopo un periodo di autonomia per studio o lavoro si sono trovati a dover fare marcia indietro e tornare a vivere con i genitori», spiega.

Il rischio dell’iperprotezione e di eccesso di ingerenza sulle scelte dei ragazzi è evidente. «In molti casi – afferma Rosina – i genitori percepiscono il proprio ruolo come indispensabile e trasmettono scarsa fiducia ai figli nella possibilità di farcela senza il loro aiuto. Dalle nostre analisi emerge inoltre una relazione significativa tra l’eccessiva ingerenza dei genitori e il rischio di diventare disoccupati di lunga durata. Fa riflettere anche il fatto che molti giovani considerino la casa dei genitori come un rifugio dal mondo: il 27.5% è molto d’accordo con questa affermazione e il 35.8% abbastanza d’accordo». Nelle intenzioni dell’Università incontrare i genitori nell’ambito di un momento dedicato dell’Open day è un modo per aiutarli ad accompagnare i figli nella scelta universitaria nel modo corretto, ad affiancarsi senza sostituirsi a loro, a garantire, come sottolinea il professor Triani, «il rispetto della loro autonomia e della loro responsabilizzazione». Però che strano!

Ilo: nei prossimi anni giovani Neet in aumento in Italia

Nel 2013 il numero di disoccupati nel mondo è salito di altri 5 milioni, sfiorando quota 202 milioni, e i più colpiti dall’incapacità della ripresa di creare sufficiente nuova occupazione sono i più giovani, con 74,5 milioni di senza lavoro di età compresa tra i 15 e i 24 anni in tutto il mondo, con un aumento di quasi un milione di unità rispetto al 2012. E’ quanto emerge dal rapporto Global Employment Trends 2014 dell’Ilo (International Labour Organization), che mette in guardia rispetto ai rischi di una “ripresa senza occupazione”. Il tasso di disoccupazione giovanile, aggiunge l’Ilo, ha raggiunto il 13,1% a livello globale, quasi il triplo del tasso di disoccupazione tra gli adulti, mentre continuano ad aumentare i ‘Neet’ (ovvero i giovani che non lavorano, non studiano e non sono impegnati in un’attività di formazione), che in alcuni paesi contano per quasi un quarto della popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni.

 

L’osservatorio internazionale punta apertamente il dito contro le politiche di austerità praticate in alcuni paesi dell’Eurozona, come l’Italia, per rimettere in sesto i conti pubblici non solo hanno depresso la domanda aggregata, con conseguenze negative sull’occupazione, ma non sono nemmeno riuscite a ridurre il debito, che è invece cresciuto ulteriormente. “Nei Paesi in crisi nella periferia dell’Eurozona” – i cosiddetti ‘Piigs’: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, si legge nel rapporto -, “le misure di consolidamento fiscale hanno avuto effetti negativi diretti sui consumi privati e, di conseguenza, la crescita è calata più del debito, aumentando ulteriormente il peso del debito in relazione al Pil”. In Giappone, dove invece è stata seguita una politica fiscale espansiva in contrasto alla crisi, sottolinea ancora l’Ilo, il rapporto debito/Pil non è cresciuto a ritmi più veloci che in passato. Secondo l’Ilo, un riequilibrio delle politiche macroeconomiche e un aumento dei redditi da lavoro migliorerebbero in modo significativo le prospettive del mercato del lavoro, creando 6,1 milioni di posti di lavoro in più nei paesi del G20 entro il 2020, riducendo il tasso di disoccupazione di 1,8 punti percentuali e rendendo più semplice anche il raggiungimento degli obiettivi fiscali.

 

Per l’Italia, l’Ilo stima un tasso di disoccupazione al 12,2% nel 2013, in deciso rialzo rispetto al 10,7% del 2012 e il doppio del 6,1% del 2007. Sono le stime del rapporto, il tasso dei senza lavoro è destinato a salire ancora nei prossimi anni, attestandosi al 12,6% nel 2014 per poi arrivare al 12,7% nel 2015 e nel 2016. In Italia la grande emergenza del mercato del lavoro riguarda i “giovani adulti”, ovvero le persone di età compresa tra i 25 e i 34 anni, che hanno subito l’effetto della crisi ancora più dei giovani sotto i 25 anni. Negli anni della crisi – dal 2007 al 2012 – la parte della popolazione compresa tra i 55 e i 64 anni ha invece addirittura beneficiato di un aumento dei tassi di occupazione. “Chiaramente questa concentrazione di perdite di posti di lavoro tra i lavoratori più giovani mina le speranze di una ripresa più rapida, a meno che le autorità non assumano iniziative decisive per espandere i loro sforzi anche per l’inclusione dei giovani adulti”.

Volontariato, il vademecum per attirare i giovani

Vita.it ha pubblicato le riflessioni della blogger Serena Carta sul tema del volontariato legato all’ambito giovanile. Riflessioni scaturite anche sulla base dell’indagine “Giovani e volontariato”, realizzata da Ipsos per conto dell’Istituto Toniolo nell’ambito del Rapporto Giovani. Ecco il testo dell’articolo:

 

Di Serena Carta

Sette regole d’oro per conquistare le nuove generazioni. Il primo punto? «on date motivo ai giovani che frequentano la vostra organizzazione di pensare che li state sfruttando. Considerateli una risorsa che nutre l’associazione: i giovani sono fucine di idee da ascoltare»

 

Associazioni e volontariato giovanile: un rapporto difficile? Sembrerebbe di sì, almeno da quel che emerge dall’indagine “Giovani e volontariato” realizzata da Ipsos per conto dell’Istituto Toniolo nell’ambito del “Rapporto Giovani”, un progetto di ricerca avviato nel 2011 con l’obiettivo di osservare la condizione giovanile in Italia. Lo studio ci dice che il 64,7% degli intervistati – ragazze e ragazzi tra i 18 e i 30 anni – non ha mai fatto volontariato. Un dato che mi ha sorpreso; forse perché vengo da una città come Torino, dove i cittadini under 30 hanno sempre risposto con entusiasmo alle offerte di volontariato civico e sociale. A cosa è dovuto questo risultato? Cosa fanno di sbagliato le organizzazioni del non profit? Ma soprattutto, quali strategie dovrebbero adottare per coinvolgere di più i giovani? Dopo aver raccolto qualche parere tra chi di pane e volontariato si nutre tutti i giorni, ho provato a rispondere alla domanda con una lista di suggerimenti e buone pratiche indirizzata a dirigenti e operatori del terzo settore.

 

1. Valorizzate i giovani volontari. Non date motivo ai giovani che frequentano la vostra organizzazione di pensare che li state sfruttando. Considerateli una risorsa che nutre l’associazione: i giovani sono fucine di idee da ascoltare e da cui farsi ispirare, non solo mani e braccia pronte all’uso per fare raccolta fondi al banchetto in piazza ogni 24 dicembre.

2. Riappropriatevi della funzione educativa. Lo ha detto il direttore di Vita, Riccardo Bonacina: «Le associazioni e organizzazioni della società civile negli ultimi dieci anni sono venute completamente meno al loro impegno educativo. Ovvero non sono state più capaci di attrarre dal punto di vista ideale, appaltando la propria testa alle teorie del management e affidando le organizzazioni ai fundraiser». Siate propagatori di alternative culturali nei territori che presidiate: coinvolgete la popolazione più giovane per formare i cittadini di domani al rispetto del bene pubblico e al miglioramento della società.

3. Incoraggiate il protagonismo giovanile.  L’attività di volontariato presso le vostre sedi deve offrire un palcoscenico su cui potersi esperimersi. Chiamate a raccolta i giovani del quartiere dandogli la possibilità di essere propositivi e di fare quello che sanno fare meglio. Coinvolgeteli in progetti che hanno a che fare con la cittadinanza attiva, l’intercultura, la democrazia partecipativa, l’informazione, l’arte o lo sport. Invitateli a diventare megafono del cambiamento a partire da attività concrete, aiutateli ad assumere il ruolo di dialogatori e mediatori tra le diverse componenti della cittadinanza.

4. Sperimentate i linguaggi del web. Anche online si possono costruire relazioni: non fatevi spaventare dalle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, ma scopritele e studiatele come nuovi modi per interagire con la comunità di volontari (loro sono già tutti su Facebook, mancate solo voi!). Usate il web per raccontare e creare interesse intorno a quello che fate. Creare e curare la propria presenza online è anche segno di trasparenza e volontà di aprire le porte della propria associazione a un pubblico più vasto.

5. Create reti e sinergie. Collaborate con le altre realtà del territorio che si occupano di aggregazione giovanile, scambiatevi spazi, competenze e idee. Muovetevi al di fuori delle sedi istituzionali e invitate i volontari a scoprire il territorio in tutte le sue dimensioni. Andate nelle scuole e manifestatevi nelle periferie: non aspettate che siano i giovani a trovarvi, andate voi a cercarli, osservateli e intercettate la loro attenzione.

6. Nominate un “responsabile giovani”. Lavorare con i giovani richiede grande investimento di tempo e impegno. Nominate un “responsabile giovani” che diventi il punto di riferimento per i ragazzi e le ragazze con cui collaborate. Scegliete un loro coetaneo, qualcuno che venga considerato “uno di noi” e che organizzi le attività in maniera regolare e costante. A quel punto, lasciate che il gruppo di volontari adotti modalità e tempistiche non convenzionali: non c’è niente di meglio che organizzare la riunione settimanale in serata, a casa di qualcuno, mangiando una pizza e bevendo una birra per creare la giusta voglia di impegnarsi e rinnovare di volta in volta la motivazione. Le parole d’ordine devono essere amicizia, convivialità e divertimento.

7. Date fiducia. Tutto quello è stato scritto fin qui necessita di un ingrediente fondamentale: ai giovani volontari bisogna dare fiducia. Fate la scelta di investire nel futuro: ascoltateli, dategli delle responsabilità e stimolate così il ricambio generazionale

Disoccupazione giovanile, altro record: a novembre 41,6%

A novembre il tasso di disoccupazione giovanile è cresciuto ancora toccando il 41,6% in aumento di 0,2 punti rispetto a ottobre (dato rivisto al rialzo al 41,4%) e di quattro punti rispetto a novembre 2012. A rilevare il dato drammatico per le nuove generazioni è l’Istat,  che ha anche sottolineato come il tasso sia al top dall’inizio delle serie storiche, ovvero dal 1977: a novembre 2013 erano dunque occupati 924 mila giovani tra i 15 e i 24 anni in calo dell’1,3% rispetto al mese precedente (-12 mila) e del 12,4% su base annua (-131 mila).

 

Il tasso di occupazione dei giovani è pari al 15,4% in calo di 0,2 punti rispetto a ottobre e di 2,1 punti rispetto a novembre 2012. I giovani disoccupati sono 659 mila con un aumento di 23 mila unità rispetto a novembre 2012. L’Istat ricorda che il tasso di disoccupazione giovanile è la quota dei giovani disoccupati sul totale degli attivi (occupati e disoccupati). L’incidenza dei disoccupati sull’intera popolazione in questa fascia di età è pari all’11%. I giovani inattivi sono nel complesso quattro milioni 424 mila, in aumento dell’1,9% (+81 mila) rispetto a novembre 2012. Il tasso di inattività dei giovani è pari al 73,7%, in crescita di 0,2 punti percentuali rispetto a ottobre e di 1,7 punti nei 12 mesi.

 

I disoccupati a novembre erano tre milioni 254 mila, in aumento di 57 mila unità rispetto a ottobre (+1,8%) e di 351 mila unità rispetto a novembre 2012 (+12,1%). La crescita tendenziale della disoccupazione è molto più consistente per gli uomini (+17,2%) che per le donne (+6,1%). Il tasso di disoccupazione è pari al 12,7%, al top dal 1977, anno di inizio delle serie storiche trimestrali.

 

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