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Serena Carta (Vita.it): “Giovani vanno intercettati, volontariato è speranza per il futuro di tutti”

Serena Carta, classe ’85, è una giovane giornalista e blogger per Vita.it (la versione web del magazine dedicato al racconto sociale, al volontariato, alla sostenibilità economica e ambientale e al mondo non profit). E’ curatrice della rubrica “Cervelli di ritorno“, dove racconta storie dei cervelli-in-fuga che hanno fatto ritorno in Italia, ma anche di coloro che hanno deciso di non partire e di chi ha messo in piedi reti e iniziative per offrire ai giovani del proprio territorio la scelta di restare. A lei abbiamo chiesto di commentare i dati dell’indagine su “Giovani e volontariato” realizzata da  Ipsos per conto dell’Istituto G. Toniolo nell’ambito del Rapporto Giovani.

 

“Sono stata molto sorpresa dai risultati dell’indagine, anche perché di persone impegnate nel mondo del volontariato e nella politica ne conosco eccome- ha spiegato Serena Carta- tra chi abitualmente mi circonda, sono probabilmente la maggioranza coloro che, negli anni delle scuole superiori e dell’università, hanno fatto parte di almeno un’associazione di volontariato (anche se, lo riconosco, con il passare degli anni il tempo – e a volte l’interesse – di fare i volontari si è ridotto).

 

Personalmente, sono cresciuta facendo volontariato. E, a pensarci bene, il merito devo darlo a Torino dove ho abitato per la maggior parte della mia vita; una città che, da quando ne ho memoria, offre ai giovani numerose occasioni per fare volontariato civico. Per me, che arrivavo dalla provincia, tutto è iniziato nell’ufficio dell’Informagiovani, nel pieno centro storico della città e punto di riferimento per chiunque volesse darsi da fare. Grazie alle attività proposte dall’Assessorato alle politiche giovanili, ho iniziato a frequentare ragazze e ragazzi di altre scuole e quartieri, ho preso parte ad attività che mai sarebbero state proposte nei curricula scolastici, ho esplorato in lungo e in largo il territorio in cui vivevo. Mi piace pensare che mi sia emancipata, culturalmente e socialmente, grazie al volontariato più che alla scuola. Ma non è cosa da dare per scontata (come appunto dimostra il Rapporto).

 

Bisogna intercettarli, i giovani. Bisogna andarli a incontrare nelle scuole. Bisogna spostarsi, installarsi e manifestarsi nei quartieri periferici perché, per esperienza, se l’Informagiovani sta in centro, è difficile che chi vive fuori lo conosca. Per la pubblica amministrazione, promuovere il volontariato, soprattutto civico, dovrebbe equivalere a investire nell’educazione e nella sensibilizzazione dei cittadini di domani. Per quel che mi riguarda, è grazie alle tante esperienze formative nell’associazionismo torinese e italiano che ho maturato un forte attaccamento e una forte responsabilità nei confronti di questo Paese. Il coinvolgimento, libero e gratuito, in un’associazione non solo ti fa sentire parte di una realtà che conta su di te, ma ti responsabilizza di fronte al bene comune e ti permette di incontrare persone con cui spartire sogni e interessi.

 

Il volontariato, soprattutto se vissuto negli anni della giovinezza, permette di sperimentare una forma di cittadinanza attiva, onesta e responsabile che – soprattutto nel nostro Paese – non può che rappresentare una ricchezza e una speranza per il futuro di tutti noi.

Istat: i giovani senza lavoro sono il 40,4% (+0,2%)

Nuove statistiche Istat sulla disoccupazione in Italia, con un forte campanello di allarme sulla condizione giovanile in ambito lavorativo nel nostro paese. A settembre 2013 gli occupati sono 22 milioni 349 mila, in diminuzione dello 0,4% rispetto al mese precedente (-80 mila) e del 2,1% su base annua (-490 mila). Il tasso di occupazione, pari al 55,4%, diminuisce di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di 1,2 punti rispetto a dodici mesi prima.

 

Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 194 mila, aumenta dello 0,9% rispetto al mese precedente (+29 mila) e del 14,0% su base annua (+391 mila): il tasso di disoccupazione si attesta dunque al 12,5%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,6 punti nei dodici mesi.

 

E i dati sulla disoccupazione giovanile, ancora una volta, sono tutt’altro che confortanti: ad oggi i disoccupati tra 15 e 24 anni sono 654 mila. L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari al 10,9%, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto ad agosto, ma in crescita di 0,6 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione giovanile, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 40,4%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 4,4 punti nel confronto tendenziale.

 

Il numero di individui inattivi tra 15 e 64 anni aumenta dello 0,5% rispetto al mese precedente (+71 mila unità) ma rimane sostanzialmente invariato rispetto a dodici mesi prima. Il tasso di inattività si attesta al 36,4%, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,1 punti su base annua.

Unioncamere: dall’inizio dell’anno 100mila giovani si sono messi in proprio

La voglia di provarci resta forte nei giovani alle prese con la crisi. Questo il dato emerso dalla ricerca Unioncamere, secondo cui, dall’inizio dell’anno, un vero e proprio esercito di italiani ‘under 35’ ha deciso di tentare la carta dell’impresa scegliendo, come si diceva una volta,  di mettersi ‘in proprio’. Delle quasi 300mila imprese nate tra l’inizio dell’anno e la fine di settembre, infatti, oltre 100mila (il 33,9%) hanno alla guida uno o più giovani con meno di 35 anni di età. La culla di questa vitalità imprenditoriale è il Sud, dove ha sede il 38,5% delle nuove imprese giovanili, con quasi 40mila attività aperte in nove mesi. I settori in cui i giovani sembrano individuare le maggiori possibilità di successo sono quelli del commercio (dove opera il 20,5% delle neo-imprese giovanili), delle costruzioni (9,4%) e dei servizi di ristorazione (5,6%). Nella grande maggioranza dei casi (il 76,8%) si tratta di imprese individuali, la forma più semplice – ma anche la più fragile – per operare sul mercato; il 15,6% ha scelto invece la forma della società di capitale, più idonea a sostenere progetti di sviluppo anche ambiziosi.

 

Nel complesso, il contributo dei giovani è stato determinante in questi mesi per consentire all’Azienda Italia di mantenere in attivo – seppur di poco – il bilancio tra aperture e chiusure di imprese. Tra gennaio e settembre, infatti, il consuntivo tra iscrizioni e cessazioni ai registri delle Camere di commercio ha fatto registrare un saldo attivo per 7.668 unità. Dopo il pesante deficit del primo trimestre (chiuso con un saldo di -31mila imprese) e il recupero del trimestre aprile-giugno (+26mila), alla fine di settembre il saldo tra aperture e chiusure di imprese è tornato in campo positivo grazie alle quasi 13mila imprese in più rilevate nel trimestre estivo. Il dato luglio-settembre è tuttavia il meno brillante degli ultimi dieci anni e conferma le forti tensioni sul mondo delle imprese; in particolare di quelle artigiane che, come nell’estate 2012, chiudono il trimestre con il segno meno.

 

Sebbene fiaccata da oltre un lustro di crisi, la vitalità del tessuto imprenditoriale italiano mostra dunque una notevole resilienza e, in particolare, una significativa tenuta della sua componente giovanile. Pur rappresentando poco più del 10% di tutte le imprese oggi iscritte alle anagrafi camerali, le imprese guidate da giovani con meno di 35 anni contribuiscono infatti per oltre il triplo di questo valore (esattamente il 33,9% nei primi nove mesi del 2013) all’afflusso di nuove forze imprenditoriali nel tessuto economico del paese. Una leva essenziale per contrastare le cessazioni di attività che, in questi anni, sono significativamente aumentate assottigliando progressivamente il saldo delle nuove forze imprenditoriali.

 

Dopo il Sud (di cui si è detto) l’area geografica in cui il contributo dei giovani imprenditori al flusso di iscrizioni appare maggiore è il Centro (32,6% la quota di imprese giovanili sul totale delle iscrizioni rilevate nel periodo gennaio-settembre di quest’anno), mentre nelle due circoscrizioni settentrionali il valore si è attestato intorno al 30% (30,7 nel Nord-Ovest e 29,7 nel Nord-Est).

 

Nella scelta della forma giuridica per la loro impresa, i giovani hanno fatto meno uso della forme di capitali (preferite soltanto nel 15,6% dei casi, a fronte di una media complessiva del 20,9%), preferendo – come già ricordato – la più semplice forma di impresa individuale, adottata dal 76,8% delle nuove imprese ‘under 35’. Una spiegazione di questa minore propensione a nascere più strutturati risiede, probabilmente, nella tipologia dell’attività economica scelta. Come accennato, dall’analisi per settori emerge come le iscrizioni di imprese giovanili si concentrino in modo più consistente nel commercio, nel’edilizia e nei servizi di alloggio e ristorazione. Presi insieme, questi tre settori hanno raccolto il 30% di tutte le nuove imprese giovanili aperte nei primi nove mesi dell’anno. Soffermandosi sui primi 10 settori tra quelli preferiti dai giovani imprenditori, quello in cui risulta maggiore il loro contributo al flusso complessivo di nuove imprese è quello delle Attività dei servizi finanziari, dove un’impresa su due – tra quelle aperte da gennaio a settembre – è ‘under 35’. Molto attraenti per i giovani si dimostrano anche il settore delle Altre attività di servizi per la persona (46,4% la componente delle iscrizioni ‘under 35’) e quello del commercio al dettaglio (43%).

 

Da un punto vista territoriale, la mappa dell’imprenditoria giovanile a fine settembre di quest’anno evidenzia un’incidenza di aziende di questo tipo relativamente più forte nelle province del Mezzogiorno, prima fra tutte la Calabria. La provincia a maggior incidenza di imprese giovanili sul totale (il 16,8%) è infatti Vibo Valentia, seguita da vicino da Crotone (16,6%) e da Reggio Calabria (quarta con il 16,1%). La prima provincia del centro è Frosinone (in 17ma posizione, con il 13,4%) mentre per trovare una provincia settentrionale bisogna scorrere la classifica fino alla 34ma posizione, occupata da Novara con l’11,3%. All’altro estremo della graduatoria, le province in cui le imprese guidate da giovani sono meno presenti sono Trieste (ultima con solo il 7,4%), seguita a pari merito da Pordenone e Bolzano (7,5%).

 

Vita.it: “Giovane a chi?”. Intervista a Cristina Pasqualini, ricercatrice Rapporto Giovani

Di Serena Carta

 

«Interessante il tuo blog, però c’è qualcosa che non mi quadra. Chi sono questi giovani di cui parli? Secondo me bisogna fare chiarezza quando si usa questa parola, abusata e sulla bocca di tutti. Guarda per esempio i media, che attribuiscono a “i giovani” ogni sorta di meriti, colpe e sventure – rappresentandoli talvolta come degli sfigati, talatra come dei talenti; per non parlare dei politici, che millantano iniziative a loro nome. Dovrebbero chiamarli cittadini e smetterla con questa farsa, tutto qui». Così ha commentato una volta un amico. Chi sono dunque i giovani italiani? Chi rientra in questa categoria? Quando è giusto chiamarli in causa? L’ho chiesto a Cristina Pasqualini, che di lavoro fa la sociologa e i giovani li “studia” dal 2000. Le ricerche di Cristina sono state pubblicate di recente nel Rapporto Giovani, una lente d’ingrandimento a 360 gradi sulla condizione giovanile in Italia. «La giovinezza è una fascia d’età aperta – mi ha spiegato – Dal punto di vista sociologico, demografico e statistico, fino a una decina di anni fa consideravamo “giovane” chi aveva un’età compresa tra i 18 e i 29 anni. Oggi il limite si è spostato ai 34 anni. All’interno di questo gruppo abbiamo individuato tre diverse categorie: ci sono i “giovani” che hanno dai 18 ai 24 anni, i “giovani adulti” dai 25 ai 29 e infine gli “adulti giovani” che anagraficamente dovrebbero essere adulti ma che all’interno della società vivono ancora una condizione di giovinezza».

 

Quello che fa la differenza tra l’essere giovani e l’essere adulti sono i cosiddetti “marcatori di passaggio“: terminare gli studi, trovare un lavoro, uscire dalla famiglia, costruirsi una famiglia propria e fare dei figli. Così prosegue Cristina: «L’Italia presenta un modello a sé, ovvero una transizione all’età adulta molto rallentata rispetto ad altri paesi. In Svezia, per esempio, i ragazzi escono di casa a 19 anni e sono da subito indipendenti. In Italia, invece, si conquista la propria indipendenza più tardi per due motivi: uno culturale, tipico nostrano – laddove la famiglia tende a lasciare andare con fatica i figli – e l’altro politico/economico». In una situazione di crisi economica mancano infatti all’appello politiche per l’autonomia, come l’istituzione di affitti agevolati, o per l’ingresso nel mondo del lavoro. Invece di concentrarsi su queste, la politica italiana ha preferito divertirsi a «sparare sui giovani»: bamboccioni, ragazzi che non vogliono crescere, generazione perduta, choosy. Tutte etichette in negativo. «Alla luce della situazione attuale – continua Cristina – la sfida del Rapporto Giovani è quella di condurre un’analisi seria e documentata della condizione giovanile italiana. Quanto pesano nel ritardo dell’ingresso nell’età adulta le variabili culturali, economiche e strutturali? Personalmente, penso che non sia colpa dei giovani se non riescono a emanciparsi, ma di un sistema che non gli dà le possibilità di farlo». Quali sono allora le caratteristiche di chi, in Italia, ha tra i 18 e i 34 anni? «Ci sono differenze significative tra i cosiddetti “millennials” o “generazione mobile”, cioè coloro che hanno raggiunto i 18 anni nel nuovo millennio, e i 30enni, la “generazione bloccata” e la più bersagliata in questi anni. I millennials sembrano più preparati dei loro fratelli maggiori: sono laureati e spesso posseggono master, hanno fatto esperienze all’estero, dimostrano un certo protagonismo e hanno voglia di metterci la faccia e di partecipare (sebbene mostrino diffidenza verso i partiti e cerchino nuove forme di coesione). Tutte peculiarità che non si riscontrano nella generazione precedente: una generazione che definiamo invisibile, la cui partecipazione politica è venuta meno, sopraffatta dall’individualismo e dalla tendenza a risolvere i problemi collettivi in maniera individuale. I ragazzi più giovani sembrano invece aver compreso che ci sono difficoltà condivise e comuni e che per risolverle bisogna fare rete e cooperare. I 34enni inoltre si sentono traditi: per anni hanno aspettato il loro turno, che non è mai arrivato. Per loro oggi è difficile reinventarsi o fare scelte di cambiamento radicale; al contrario, i 20enni hanno nel Dna concetti come flessibilità e mobilità».

 

I più giovani della società italiana, quindi, hanno interiorizzato il viaggio, lo scambio e l’esperienza all’estero per studio e per lavoro. Sempre di più i confini europei e non saranno varcati dall’entusiasmo di giovani cittadini che renderebbero orgogliosi i padri dell’Ue. Ma su questo Cristina non nasconde la sua preoccupazione: «Si formano, fanno esperienze, vanno all’estero: ma quando tornano, cosa trovano? Le politiche per i giovani nel nostro Paese sono veramente scarse, soprattutto in certi territori si fa ancora molto poco. Se ci sarà un ritorno, sarà problematico. Stiamo parlando di una generazione molto preparata: sarà disposta a rimanere in attesa, come hanno fatto i fratelli più grandi?». In questo panorama, la famiglia ha un ruolo determinante: «I millennials sono figli di un’istituzione, quella familiare, che negli ultimi anni ha rappresentato l’ammortizzatore sociale più grande d’Italia. La famiglia li ha protetti, rendendoli poco consapevoli dei rischi e dei problemi del mondo esterno. Ma le nuove povertà nate dalla crisi economica la stanno indebolendo: se viene meno il supporto dei genitori, che non saranno più in grado di tenere i figli in casa fino ai 34 anni, cosa succederà ai giovani? Come faranno a inserirsi nel mondo del lavoro e a diventare autonomi in assenza di misure statali che vanno in questa direzione?». Cristina e il team di ricercatori del Rapporto Giovani ritengono perciò fondamentale instaurare un dialogo costante con le istituzioni politiche: «Un esempio concreto di come si debba e si possa lavorare in sinergia è quello del Mi Generation Camp (ndr: un forum di tre giorni organizzato e promosso dal Comune di Milano per discutere pubblicamente di politiche giovanili). A partire dai dati delle nostre indagini, i politici hanno ragionato con noi ricercatori su quelle che possono essere le politiche per l’autonomia dei giovani nella città di Milano. Se non si collabora, le ricerche accademiche rimangono carta morta e se la classe dirigente non ha le competenze per riconoscere e analizzare i fenomeni della nostra epoca, sarà sempre più difficile trovare soluzioni adeguate».

 

Relativamente ai movimenti nati per il “ritorno dei cervelli”, infine, Cristina lancia un appello: «Attenzione, queste iniziative sono belle opportunità di fare rete ma non possono essere lasciate a se stesse, anche in questo caso è fondamentale creare contatto con le istituzioni. Come facciamo a dire “tornate tornate tornate” se poi non c’è un’attenzione istituzionale verso il ritorno? Abbiamo bisogno di politiche che lo rendano possibile. Ascoltiamo questi movimenti!».

 

http://blog.vita.it/cervellidiritorno/2013/10/27/giovane-a-chi/

 

Valli: “Giovani non devono perdere la speranza”

Intervista al presidente della Camera di Commercio di Monza e Brianza sul tema dell’imprenditoria giovanile

E’ in libreria il volume del rapporto giovani

E’ uscito in libreria il volume dal titolo “La condizione giovanile in Italia- Rapporto Giovani 2013” (“Il Mulino”, 232 pagine, 20 euro), promosso dall‘Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Fondazione Cariplo.

Suddiviso in quattro parti (“Vita nella famiglia di origine e rapporto con i genitori”, “Lavoro e conquista dell’autonomia”, “Partecipazione politica e consumi mediali”, “Valori, opinioni e atteggiamenti”) il volume costituisce il primo Rapporto pubblicato a partire dai dati dell’indagine, che si propone come uno dei principali punti di riferimento in Italia su analisi, riflessioni, politiche utili a conoscere e migliorare la condizione dei giovani.

 

“Dalla possibilità di realizzare pienamente e con successo il passaggio alla vita adulta dipendono il benessere e la prosperità della società stessa. Se le nuove generazioni non riescono a trovare un lavoro e a formare una propria famiglia con figli, il problema non riguarda solo loro, è il paese che mina strutturalmente le basi del proprio futuro. Nel dibattito pubblico è sempre presente il tema generazionale, ma poco si fa poi in concreto per dare vere risposte. Proprio perché mancano adeguati strumenti di conoscenza e interpretazione della realtà, il rischio è quello di alimentare luoghi comuni e fornire letture parziali che costituiscono un alibi alle carenze dell’azione pubblica” (estratto dalla quarta di copertina)

 

Il libro è disponibile in formato tradizionale (presso tutte le principali catene e le librerie indipendenti) e in versione e-book (14,99 euro) sui principali store online (Ibs, Apple) e direttamente sul sito della casa editrice “Il Mulino“.

 

Gli autori de “La condizione giovanile in Italia- Rapporto Giovani 2013” sono:

 

– Sara Alfieri

– Rita Bichi

– Fabio Introini

– Elena Marta

– Daniela Marzana

– Mauro Migliavacca

– Cristina Pasqualini

– Alessandro Rosina

– Eugenia Scabini

– Emiliano Sironi

– Pierpaolo Triani

“La difficile condizione dei giovani in Italia” – Introduzione al volume Rapporto Giovani

Di Alessandro Rosina

 

Non ci sono più i giovani di una volta? In realtà non ci sono mai stati. Si è giovani sempre in modo diverso rispetto alla generazione dei padri e delle madri, a volte in modo molto diverso. Più che identificare una categoria di persone, la giovinezza è una fase della vita che ciascuna generazione reinterpreta in modo unico e irripetibile, in base ai vincoli e alle opportunità del proprio tempo.

Alla base del concetto di generazione sta l’affinità di collocazione di suoi appartenenti, in particolare l’essere nati nello stesso intervallo limitato di anni e quindi l’essere cresciuti condividendo alla medesima età gli influssi degli eventi storici e del clima sociale della propria epoca e avendo davanti le sfide comuni del proprio tempo. Studiare il cambiamento sociale con una prospettiva generazionale è ancora più importante in questa epoca di forte accelerazione prodotta dalla globalizzazione, dall’innovazione tecnologica, dalle trasformazioni demografiche.

 

Sotto l’influsso di tali grandi mutamenti chi è giovane oggi vive quindi in modo diverso la sua condizione rispetto alla generazione dei propri genitori. Sono in grande ridefinizione le stesse tappe della transizione alla vita adulta, non solo come e quando vengono vissute ma anche interpretate. Gli eventi chiave continuano a essere la fine degli studi, l’ingresso nel mondo del lavoro, l’uscita dalla casa dei genitori, la formazione di una unione stabile di coppia, fino a diventare a propria volta genitori, punta più avanzata di un percorso di acquisizione progressiva degli impegni e delle responsabilità della condizione adulta.

 

Fino agli anni ’70 del secolo scorso la sequenza di tali eventi era predefinita e in grande maggioranza il percorso di conquista dell’autonomia della famiglia di origine veniva realizzato prima dei 25 anni per le donne e poco dopo per gli uomini, quasi sempre in concomitanza con il matrimonio. Ora non è più così. Le varie tappe risultano sempre più spostate in avanti e la sequenza degli eventi è sempre meno rigida. 

 

L’elevato tasso di cambiamento e grado di complessità che caratterizza le società moderne avanzate proietta i giovani in un contesto di incertezza, riguardo a rischi e implicazioni delle proprie azioni, mai sperimentato dalle generazioni precedenti. L’incertezza costituisce un vincolo importante all’interno dei processi decisionali. Se da un lato i giovani adulti hanno sempre più il desiderio e l’opportunità di costituire in modo creativo e strategico il loro percorso di vita, potendo comunque scegliere tra alternative strutturalmente determinate, dall’altro, però, complessità e incertezza tendono a rendere i giovani particolarmente prudenti nel  prendere decisioni definitive.

 

(…)

 

Le nuove generazioni italiane trovano più difficoltà, sia rispetto al passato sia relativamente ai coetanei degli altri paesi, nel conquistare una propria autonomia dalla famiglia di origine e nel realizzare le condizioni di formarne una propria. Questo evidentemente accentua ulteriormente, in prospettiva, la bassa natalità e quindi anche l’invecchiamento. Le difficoltà di stabilizzazione occupazionale e di adeguata remunerazione producono anche una grave perdita di fiducia da parte dei giovani, in primis verso la società, che non offre loro spazio e non li valorizza, ma poi anche verso se stessi e le proprie capacità. Con l’esito di incentivare la strategia di uscita verso l’estero o a rivedere al ribasso le proprie aspettative, a dar di meno rispetto a quanto potrebbero lasciando in larga parte sepolti i loro talenti.

 

Un paese che vuole promuovere le competenze e le capacità delle nuove generazioni- al fine di metterle al servizio di un solido modello di crescita e di sviluppo- ha bisogno prima di tutto di conoscerne le specificità e caratteristiche. Per dare risposte adeguate bisogna ascoltare con attenzione le domande che in modo autentico partono dai giovani.

 

Da un lato c’è quindi una questione sempre più centrale per lo sviluppo del paese e per la sua coesione sociale, che riguarda la difficoltà a mettere in piena funzione il potenziale delle nuove generazioni, dall’altro abbiamo una carenza di informazioni adeguate per indagare in modo approfondito e dettagliato la loro realtà e i cambiamenti in atto.

Censis: i giovani protagonisti dell’evoluzione digitale, 90% è online

Il 90,4% dei giovani si connette a internet, l’84,4% tutti i giorni, il 73,9% per almeno un’ora al giorno, il 46,7% con il wi-fi. Per informarsi utilizzano Facebook (il 71%), Google (65,2%) e YouTube (52,7%). Il 66,1% ha uno smartphone e il 60,9% scarica le app sul telefono o tablet. Questi i dati emersi dal Rapporto Censis Ucsi sulla comunicazione, presentato oggi a Roma.

 

 

Un’analisi in linea con quanto emerso dal Rapporto Giovani, in particolare per quanto concerne la fruibilità dei mezzi di comunicazione da parte delle nuove generazioni:

 

 

Il “Millenial” Lombardo: identità, sogni e aspirazioni

Le nuove generazioni e i loro problemi, aspirazioni e bisogni. Con l’obiettivo di comporre il più articolato e approfondito ritratto della generazione dei “millenials” (cioè di coloro che hanno raggiunto la maggiore età nel nuovo millennio) i curatori del Rapporto Giovani hanno stilato il primo identikit del Millenial lombardo. Ecco le sue caratteristiche:

 

 

Per conoscere l’identikit completo del Millenial lombardo clicca qui

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