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“Under 30, che fatica”. D-La Repubblica parla del Rapporto Giovani

Il settimanale “D-La Repubblica” ha dedicato un articolo al Rapporto Giovani. Ecco il testo:

 

Di Matteo Cioffi

 

E pensare che qualcuno li aveva definiti choosy. Schizzinosi, persino snob. Semmai oggi appare vero il contrario: gli under-30 italiani sono invece disposti a tutto pur di trovare un lavoro, accettando anche paghe ridicole e professioni poco gratificanti, a patto di non restare nell’unica condizione davvero inaccettabile: con le mani in mano. A confermarlo è una ricerca realizzata dall’Ipsos e promossa dall’Istituto Toniolo e dalla Fondazione Cariplo, su un campione di 9 mila giovani tutti con meno di 30 anni. Dallo studio emerge una “generazione Y” sicuramente insofferente nei confronti dell’attuale sistema, ma comunque grintosa e pronta a cogliere la prima occasione utile, con la speranza che possa essere l’avvio per realizzare le proprie ambizioni professionali.

 

Per questo, dunque. ci si adatta a denti stretti: ben un giovane su quattro, racconta la ricerca, pur di lavorare è disposto ad accettare un impiego anche sottopagato e lontano dalle sue aspettative (e dai suoi studi), sperando che sia solo una soluzione provvisoria. Lo strumento preferito per la ricerca di un’occupazione è il web (e ormai il 56,7% dei nostri ragazzi utilizza esclusivamente Internet al momento di spedire il proprio cv).

 

Se poi le cose non vanno, c’è la tanto discussa fuga: l’estero rimane affascinante a prescindere e ben il 42% si dice disposto a fare le valigie (mentre solo un 25% non lascerebbe mai l’Italia). La famiglia è vista come sostegno fondamentale per l’85% degli intervistati. E la politica? Sfiducia quasi unanime: i partiti sono bocciati da 9 giovani su 10, i sindacati hanno solo il 29% di consensi favorevoli, così come la Chiesa (7 su 10 la criticano) alla quale si preferiscono alcune figure (parroci, insegnanti di religione, educatori).

 

“Lo studio mostra come in Italia non si stia investendo nei settori chiave” racconta Alessandro Rosina, curatore dell’indagine e docente di demografia e statistica sociale presso l’Università Cattolica di Milano. “Bisognerebbe invece allargare le opportunità professionali offerte ai ragazzi e garantire un reddito iniziale che possa permettere a ogni giovane di avviare un proprio percorso professionale. La famiglia, a  queste condizioni, rimane davvero l’unico rifugio, l’unico armonizzatore sociale. Ed è lì che in tempi di crisi si fa ritorno”. Un tornare da mamma e papà che per molti rappresenta il dover ricominciare dal punto di partenza.

Narcisi e ossessionati dal successo: su Time radiografia dei “Millennials”

Maurizio Molinari, corrispondente da New York per il quotidiano torinese La Stampa, sul suo blog “Finestra sull’America” traccia un profilo dei Millenials statunitensi.

Ecco il testo dell’articolo:

 

Negli Stati Uniti sono 80 milioni, sono ossessionati dal successo e dal narcisismo, si considerano dei “brand” che misurano sul numero di “followers” o “friends” che hanno sui socialnetwork, è più probabile che convivano con i genitori che con un partner e non vogliono rovesciare il potere perché sentono, in fin dei conti, di non averne alcun bisogno.

E’ il ritratto dei “Millennials” che emerge da un’inchiesta del magazine Time, che ha scelto di dedicare la copertina alla generazione di coloro che sono nati fra il 1980 ed il 2000 optando per il titolo “Me Me Me generation” al fine di sottolineare quanto si tratti di giovani che guardano a tal punto a se stessi da non sentire di aver bisogno di nessun altro.

 

Sociologi, psicologi e analisti di varie discipline sociali li descrivono come i figli dei baby-boomers degli anni Sessanta con la differenza che “i genitori guardavano sempre una loro foto in casa, in divisa o del matrimonio, mentre loro ne hanno 85 sul telefonino, e le guardano in continuazione”. Se la rivoluzione industriale consentì ai singoli di assumere maggiore coscienza delle proprie capacità, riuscendo a creare aziende private o a trasferirsi dalle campagne in città, i “Millennials” si sentono onnipotenti grazie ad una tecnologia cresciuta assieme a loro che gli consente di competere contro tutto e tutti: gli hackers riescono a sfidare le corporations, i bloggers affondano i giornali, i terroristi tengono in scacco i maggiori Stati-nazione, i video su YouTube condizionano i registi di Hollywood e chi crea le application si impone nell’industria.

 

In breve, i “Millennials” sentono di non aver bisogno delle generazioni precedenti ed è per questo che incutono timore. Al tempo stesso però l’eccesso di autostima e il narcisismo li portano a scontrarsi con la realtà di un mercato che non sempre li premia come vorrebbero. La conseguenza è nel fatto che il 70 per cento di loro controlla il cellulare ogni ora, molti soffrono la sindrome da vibrazioni – ovvero se nessuno gli scrive o li chiama vanno in agitazione – e si identificano sempre più in identità-brand, misurate sul numero di “followers” che hanno su Twitter o di “friends” accumulati su Facebook. Roy Baumeister, docente di psicologia dell’Università della Florida, ritiene che i “Millennials” siano il frutto della combinazione fra l’imprevedibile sviluppo della tecnologia e la scelta dei baby-boomers di allevare i figli con il più alto senso di autostima: “Sono cresciuti nella convinzione di diventare tutti principesse o rock star” e gli smartphone gli consentono di continuare il sogno.

 

Resta l’interrogativo di cosa avverrà a coloro che non riusciranno, per una ragione o per l’altra, a coronarlo.

“L’Espresso” dedica un articolo al Rapporto Giovani

Il settimanale “L’Espresso”, nella versione online, ha dedicato un articolo ai dati emersi dal Rapporto Giovani, l’indagine condotta dall’Istituto Toniolo su 9000 giovani dai 18 ai 29 anni, in particolare per quanto riguarda l’occupazione giovanile.  Ecco il testo pubblicato dal periodico diretto da Bruno Manfellotto:

 

Laureati, ma puliscono i cessi

 

Centodieci e lode e una ramazza in mano, impiegati in una ditta di pulizie, nel catering, o in qualsiasi altra azienda di servizi. Non esistono più i bamboccioni di una volta. Sono scomparsi anche i famosi “choosy”. O forse non sono mai esistiti. A confermarlo – se mai ci fossero stati dubbi – due studi che fotografano la loro buona volontà e la capacità di adattamento alla crisi e alle difficoltà economiche. Si tratta del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo di Milano – che ha fotografato la condizione dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni, un’età cruciale in cui chi esce dalle scuole superiori o dall’università si affaccia sul mondo del lavoro – e dell’ultima rilevazione di Confartigianato sull’imprenditoria giovanile.

 

I genitori veri ammortizzatori sociali. I ricercatori del Toniolo hanno intervistato novemila under 30 e i risultati sono ben diversi dalla percezione “politica” sdoganata – con eccessiva superficialità – da parlamentari e ministri. Secondo lo studio, infatti, la crisi influisce in modo pesante sulla qualità della vita dei ragazzi che, a livello europeo, vedono compromesse le loro prospettive per un futuro autosufficiente dalle famiglie, vero ammortizzatore sociale di questo Paese: lasciano la casa dei genitori e fanno figli più tardi degli altri.

 

Un giovane su quattro accetta tutto. A differenza di quanto potrebbe rispondere un bamboccione con il vizietto dell’essere “choosy”, però, per l’88% degli intervistati il lavoro è l’unico modo per costruirsi una famiglia e assicurarsi un’autonomia. Ma è proprio l’indipendenza un “bene” di difficile realizzazione, quasi un lusso. E’ per questo che un giovane su quattro – spiegano i ricercatori – ormai accetterebbe anche un impiego ben lontano dal lavoro desiderato. E al Sud il rapporto sale ad uno su tre. Un dato che smentisce le tante affermazioni fin troppo superficiali smerciate dalla politica nazionale e dà la tara di una disillusione sempre più incancrenita, tale per cui solo il 17% degli intervistati si dice soddisfatto del proprio lavoro.

 

Retribuzione uguale frustrazione. E tra stage sottopagati – che a dispetto del nome divengono un vero e proprio lavoro – e impieghi di fortuna, il principale motivo di frustrazione che emerge dal rapporto è legato alla retribuzione, inadeguata per il 47% degli intervistati: in pratica un giovane su due accetta di lavorare per uno stipendio che considera insufficiente e non rispondente alle prestazioni professionali erogate. Le briciole sempre meglio che niente.

 

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Occupazione giovanile, Tg4 parla del Rapporto Giovani

 

Giovani e occupazione, un tema sempre più di cruciale importanza per il futuro del paese. E a parlare di questa emergenza sociale è stato anche il TG4, che, nel servizio andato in onda sabato 4 maggio alle 19, ha citato anche il Rapporto Giovani (l’indagine effettuata dall’Istituto Toniolo su 9.000 giovani dai 18 ai 29 anni) che ha certificato come soltanto un giovane su cinque sia riuscito a trovare lavoro.

 

Clicca qui per vedere il servizio (min. 19.57)

I giovani e il lavoro: in Italia solo 1 su 5 ha un’occupazione, un dato tra i più bassi d’Europa

Per le nuove generazioni il lavoro rimane un mezzo per autorealizzarsi. Il 47% si adatta a svolgere una attività che non è coerente con il suo percorso di studi pur di lavorare

In Italia abbiamo uno dei valori più elevati di under 25 non occupati (sul 2012 ) e di giovani che non studiano e non lavorando (Neet) in Europa  Anche allargando la definizione di giovani e prendendo gli under 30 (18-29 anni) – comprendendo di fatto anche i giovani-adulti – la situazione risulta particolarmente preoccupante. Mentre nel resto d’Europa la gran parte dei maggiorenni under 30 lavora, da noi a farlo è solo la minoranza: il tasso di occupazione era il 48% nel 2005 ed è attualmente meno del 40% (il 39,7% nel 2012). Anche il tasso maschile è sceso sotto il 50% e si trova attualmente (dato più recente del 2012) al 45,4%. Si accentua pertanto il paradosso di un’Italia che ha meno giovani rispetto agli altri paesi Europei, ma anche resi meno attivi e partecipativi nella società e nel mercato del lavoro, di conseguenza più passivamente dipendenti economicamente dai genitori.

 

Per capire come questa condizione stia incidendo sulla vita dei giovani non bastano gli usuali indicatori sui livelli di disoccupazione, è cruciale avere un quadro più ampio e ricco su come essi percepiscono la situazione in cui si trovano e sulle strategie adottate per farvi fronte.

 

Il Rapporto Giovani, l’indagine avviata dall’Istituto Giuseppe Toniolo, in collaborazione con la Fondazione Cariplo e l’Università Cattolica, sta raccogliendo informazioni dettagliate sui valori, i desideri, le aspettative, sui progetti di vita e sulla loro realizzazione, seguendo in particolare i percorsi formativi e lavorativi delle nuove generazioni. L’obiettivo è quello di fornire le basi di una conoscenza solida dei cambiamenti in corso e del loro impatto sulla vita delle persone, utile anche per intervenire con strumenti adeguati per migliorarla. I dati ottenuti da un campione, rappresentativo su scala italiana, di circa 9000 giovani tra i 18 e i 29 anni, consentono di fornire una prima valutazione del rapporto problematico con il mondo del lavoro.

 

I dati dell’indagine mostrano come finora la crisi non abbia intaccato l’atteggiamento positivo dei Millennials (coloro che hanno compiuto i 18 anni dal 2000 in poi) rispetto al lavoro, ma li abbia portati ad un approccio più consapevole e pragmatico rispetto alle scelte del presente, sia in termini di formazione che di occupazione.

 

Sono infatti molti di più i giovani che considerano il lavoro un luogo di impegno personale e un mezzo per autorealizzarsi (circa 90% di risposte positive) piuttosto che una fonte di fatica e stress (59% di risposte positive). Rispetto alle generazioni precedenti, la carriera più che procurare prestigio sociale è intesa come miglioramento della possibilità di autorealizzazione e richiede impegno personale. Ma molto sentito è anche l’aspetto del reddito, il forte rischio percepito è quello di un lavoro che possa anche piacere ma non consenta di conquistare una propria indipendenza economica e progettare il proprio futuro.

 

E’ però interessante notare come chi ha realizzato una propria idea imprenditoriale o ha comunque una propria attività autonoma, tenda maggiormente a vedere il lavoro come possibilità di successo e autorealizzazione. Chi invece ha un lavoro a tempo indeterminato più facilmente lo percepisce come luogo di fatica e stress e come mera fonte di reddito. Questo suggerisce come, in situazione di carenza di opportunità occupazionali, difficilmente non si accetti o si abbandoni un contratto a tempo indeterminato anche quando non pienamente soddisfacente con le proprie aspirazioni di realizzazione individuale.

 

Questo spirito di adattamento trova conferma anche passando dagli atteggiamenti generali alla valutazione qualitativa specifica dell’attuale impiego. Tra chi ha un lavoro solo il 17,5% si dichiara pienamente soddisfatto, mentre quasi il 24%  lo è poco o per nulla.

 

  • Un giovane su quattro, quindi, pur di lavorare e non rimanere a casa a rigirarsi i pollici, accetta un impiego lontano dalle proprie aspettative. La percentuale di non soddisfatti arriva a un giovane su tre al Sud, dove le opportunità sono generalmente più scarse.
  • La ricerca evidenzia ancora che se si chiede in generale quanto si è soddisfatti della propria situazione finanziaria, prevalgono i non soddisfatti (50,8%), valore che rimane pressoché identico anche per i laureati (51%).

 

“Un dato”, commenta Alessandro Rosina, tra i coordinatori dell’Indagine del Toniolo, “che ci conferma come molti giovani – contrariamente allo stereotipo che li indica come schizzinosi o bamboccioni – si adattino a una remunerazione più bassa e a un lavoro non soddisfacente come soluzione provvisoria per cercare di superare la crisi evitando così di ingrossare le fila dei disoccupati. Da qualche anno il primo maggio è per i giovani soprattutto la festa del lavoro che non c’è, non solo nel senso che non lo si trova ma anche perché quello che si trova non aiuta a conquistare una piena autonomia e a porre basi solide per il proprio futuro”.

 

Riguardo alle varie dimensioni della soddisfazione dell’attuale attività lavorativa, un giovane su due si adegua ad un salario sensibilmente più basso rispetto a quello che considera adeguato. Una quota molto alta, quasi pari al 47% si adatta a svolgere una attività che non è coerente con il suo percorso di studi. Il problema della bassa stabilità del lavoro riguarda invece un giovane su tre. Compensa il relativamente buon rapporto con superiori e colleghi.

 

La via verso l’estero

Le nuove generazioni italiane trovano più difficoltà, sia rispetto al passato sia relativamente ai coetanei degli altri Paesi, nel conquistare una propria autonomia dalla famiglia di origine e nel realizzare le condizioni per formare una propria famiglia. Questo evidentemente accentua ulteriormente, in prospettiva, la bassa natalità e quindi anche l’invecchiamento. Le difficoltà di stabilizzazione occupazionale e di adeguata remunerazione producono anche una grave perdita di fiducia da parte dei giovani, in primis verso la società che non offre loro spazio e non li valorizza, ma poi anche verso se stessi e le proprie capacità. Con l’esito di incentivare la strategia di uscita verso l’estero o a rivedere al ribasso le proprie aspettative, a dar di meno rispetto a quanto potrebbero lasciando in larga parte sepolti i loro talenti.

A conferma di questo un altro dato che emerge dalla ricerca  riguarda è che  quasi il 42% dei giovani si dichiara pronto ad andare all’estero per migliorare le proprie opportunità di lavoro. Solo il 25% non è disposto a trasferirsi.

I più propensi a muoversi oltre confine sono i giovani del Nord (si sale oltre il 44,5%) e di sesso maschile (oltre il 45% dei maschi contro il 38% delle ragazze).

 

La famiglia unica vera certezza.

Oltre l’85% afferma poi che la famiglia rappresenta un sostegno fondamentale. Infatti,  i desideri e le aspettative delle giovani generazioni non sembrano, almeno per il momento, segnare il passo, nonostante le difficoltà e la congiuntura economica negativa la famiglia rappresenta una fondamentale certezza.

Le persistenti difficoltà del presente e l’incertezza del futuro rischiano però di frenare i progetti dei giovani (oltre il 63% dopo essere uscito per studio o lavoro è tornato a vivere con i genitori) rendendo per molti la casa dei genitori una prigione dorata: per più della metà degli intervistati la famiglia si configura come rifugio dal mondo (il 26,5% è molto d’accordo con questa definizione mentre il 40% si dichiara abbastanza d’accordo).

Fede e rivoluzione digitale, la Chiesa proiettata verso i giovani

Intervista a Monsignor Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, che, al Festival del Giornalismo di Perugia ha partecipato all’incontro dal titolo “Cybertecnologia: fede e rivoluzione digitale”. Un aspetto sempre più rilevante, quello dell‘utilizzo dei social network da parte dei giovani, che interroga anche la Chiesa Cattolica.

 

Mons. Tighe, come si può rapportare la fede con la rivoluzione digitale in atto? 

 

Abbiamo capito che per i giovani i mezzi digitali costituiscono una dimensione normale della loro vita, li utilizzano per condividere esperienze ed essere informati. Se la fede non è presente in questo mondo digitale siamo assenti dalla vita di tante persone: più che parlare di una presenza non tanto strumenti da usare, ma un modo di essere presente che è coerente con la dinamica dei social networks.

 

Con l’arrivo di questi ultimi sono infatti cambiate molte cose e anche il modo di imparare e di condividere è cambiato profondamente:  fare delle domande. Forse come Chiesa siamo abituati all’uso del microfono, noi parliamo e loro devono ascoltarci. Questa tentazione esiste sempre, ma sarebbe uno sbaglio: dobbiamo pensare a come rapportarci con quella realtà ed essere pronti a ricevere anche delle domande.  E’ un nuovo modo per essere presenti, ma che è molto spontaneo tra i giovani: condividono la fede  in modo molto naturale, anche per spiegare la speranza che hanno.

 

Credo che sia fondamentale capire che anche i social network sono globali e che ogni paese ha la sua cultura: ad esempio i giovani americani sono quasi evangelici nella loro professione di fede, in Europa invece vige un altro stile. La cosa più importante è non avere paura di condividere la realtà di chi siamo, il nostro modo coerente di esprimere la dimensione della nostra vita.

 

Ascolta l’intervista completa

 

 

Napolitano: “Dovere politico e morale pensare al lavoro che non c’è”

Giorgio Napolitano nel messaggio inviato in occasione della Festa del Lavoro:

 

 

“Purtroppo, oggi, c’è da pensare anche al lavoro che non c’è, al lavoro cercato inutilmente, al lavoro a rischio e precario. Abbiamo il dovere politico e morale di concentrarci su questi problemi”. Lo afferma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato in occasione della Festa del Lavoro al ministro del Lavoro, ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, al presidente della Federazione Maestri del Lavoro d’Italia.

 

“Sta esplodendo in Europa e anche su più vasta scala la questione della disoccupazione giovanile, di una generazione senza lavoro. E’ questa la nuova grande questione sociale del nostro tempo” osserva il capo dello Stato.

 

“In Italia – aggiunge Napolitano – c’è stata negli ultimi anni una drammatica perdita di posti di lavoro. La disoccupazione colpisce un gran numero di famiglie. Sono quasi un milione i nuclei famigliari in cui nessun individuo in età lavorativa ha un’occupazione. In cinque anni la cifra è più che raddoppiata e oltre la metà di queste famiglie si trova al Sud. In tale difficile situazione aumenta l’emigrazione, soprattutto di giovani italiani con alti livelli di istruzione che cercano e trovano lavoro all’estero”.

 

“Il Primo Maggio – sottolinea il capo dello Stato – non è solo la festa dei lavoratori, ma anche, e più che mai, il giorno dell’impegno per il lavoro. E’ il giorno in cui dobbiamo mettere decisamente al centro dell’attenzione il lavoro, fondamento della nostra Repubblica”.

 

Per il presidente della Repubblica, per contrastare la crisi, favorire la crescita e creare occupazione. è “indispensabile” il concorso di tutti, parti sociali e forze di maggioranza e opposizione. “Ho accolto la sollecitazione a rendermi disponibile per una rielezione a Presidente solo per senso del dovere in un momento grave per la Nazione – ribadisce Napolitano – essendo urgente sbloccare la formazione di un governo che affrontasse le difficoltà in cui si trovano oggi troppe famiglie, troppe imprese, troppi lavoratori italiani”.

 

“Bisogna arginare rapidamente questa situazione di emergenza e occorre al contempo impostare le riforme di sistema necessarie per contrastare il declino, per tornare a crescere durevolmente. Al fine di conseguire questi obiettivi è indispensabile il concorso di tutte le forze sociali e politiche, delle forze parlamentari di maggioranza e di opposizione”, conclude Napolitano.

 

 

Disoccupazione giovani top dal 1977 dramma al Sud, tasso raddoppia

Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) nel 2012 ha toccato il record assoluto. Il livello si è, infatti, attestato al 35,3%, il livello più alto da 35 anni, ovvero dal 1977, inizio delle serie storiche ricostruite dell’Istat.

In Italia il tasso di disoccupazione é passato dal 6,4% del 1977 al 10,7% del 2012.

Sebbene presenti andamenti simili nelle tre macro aree, ha segnalato ritmi di crescita differenti.

In 35 anni il Mezzogiorno ha mostrato la crescita maggiore, con il tasso più che raddoppiato: dall’8,0% del 1977 al 17,2% del 2012.

 

Leggi l’ ansa

 

Il Comunicato dell’Istat:

 

Tra il 1977 e il 2012 il numero medio annuo di occupati è passato da 19 milioni 511 mila a 22 milioni 899 mila. L’incremento occupazionale complessivo ha beneficiato in misura determinante della crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Il numero di donne occupate è aumentato da 6 milioni 150 mila a 9 milioni 458 mila, con un’incidenza sul totale degli occupati che è salita dal 31,5% al 41,3%.

L’andamento del tasso di occupazione negli anni si è articolato in diverse fasi: tra il 1977 e il 1980 risulta in crescita; seguono cinque anni di calo, nel corso dei quali il tasso di occupazione scende dal 54,6% al 53,3%; in moderato aumento tra il 1986 e il 1991 e di nuovo in forte riduzione ― dal 54,9% al 52,5% ― nei quattro anni successivi; in aumento tra il 1996 e il 2008 (dal 52,9% al 58,7%) e ancora in discesa fino a toccare il 56,8% nel 2012.

Il numero di disoccupati è cresciuto da 1 milione 340 mila del 1977 a 2 milioni 744 mila del 2012. L’incremento ha interessato sia la componente maschile (+863 mila) sia quella femminile (+541 mila).

Fasi alterne di crescita e di contrazione hanno caratterizzato anche il tasso di disoccupazione. Tra il 1977 e il 1987 il tasso è aumentato di 3,9 punti percentuali (dal 6,4% al 10,3%), mentre nei successivi quattro anni è stato registrato un calo fino all’8,6%. Dal 1991 al 1998 il tasso è tornato a crescere raggiungendo l’11,3% per poi calare nei successivi dieci anni toccando il valore minimo del 6,1% nel 2007. Dal 2008 il tasso è salito fino a portarsi al 10,7% del 2012.

Il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni è diminuito di circa 600 mila individui negli ultimi 35 anni, passando da quasi 15 milioni a 14 milioni 386 mila. Tale calo è sintesi della crescita della componente maschile, che è passata da 3 milioni 820 mila a 5 milioni 140 mila, più che compensata dalla diminuzione della componente femminile. Il tasso di inattività è sceso dal 42,5% del 1977 al 36,3% del 2012.

 

 

I Millennials, una generazione in “movimento”?

di Alessandro Rosina

 

Gli attuali ventenni e trentenni fanno parte della generazione dei Millennials, che viene ritratta in modo omogeneo da ricerche in tutto il mondo con tre “C”. Oltre a essere molto sensibili alle esigenze di “cambiamento” sono molto disponibili a mobilitarsi “combattivamente” per obiettivi di interesse comune. La loro partecipazione è però fluida, legata a temi specifici e poco irreggimentabile nelle tradizionali forme di appartenenza ai partiti. Con essi funziona molto di più il movimento: il mettersi in moto tutti assieme per creare un’onda e vedere l’effetto che fa (quanto può diventare travolgente). Non a caso Grillo ha usato l’espressione “tsunami tour” per la sua campagna elettorale.

 

C’è infine la “c” di connessi. E anche questa caratteristica dei Millennials è stata acquisita come specificità dal M5S, tanto da aver fatto del web il pressoché unico strumento di informazione, incontro, confronto (sperimentando, per ora senza grande successo, anche forme di democrazia partecipativa). Su questo aspetto va considerato che, come confermano i dati Istat e l’indagine “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo, la fruizione della rete tra i ventenni italiani è del tutto in linea con la media europea, mentre l’uso tra i nostri cinquantenni (e oltre) è sensibilmente più bassa.

 

Non si tratta però solo di una questiona quantitativa: anche la qualità è diversa. I Millennials considerano l’informazione online più libera e autorevole, non solo rispetto a quella televisiva, ma anche a quella cartacea. È soprattutto tra essi che crescono i cittadini 2.0, quelli cioè che non usano il web solo per informarsi, ma anche come forma di interazione e di e-partecipation.

 

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Stefano Colli Lanzi: “Istituzioni autoreferenziali, non aiutano i giovani nella ricerca del lavoro”

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