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Papa Francesco: UNIVERSITA’ CATTOLICA AIUTA GIOVANI NEL TEMPO CRISI

Papa Francesco,dopo il Regina Coeli, in San Pietro, domenica 14 aprile 2013, ha ricordato la missione dell’Università Cattolica in occasione della Giornata per l’Universià Cattolica, quest’anno dedicata al tema “Le nuove generazioni oltre la crisi”.

 

Oggi in Italia si celebra la Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul tema «Le nuove generazioni oltre la crisi». Questo Ateneo, nato dalla mente e dal cuore di Padre Agostino Gemelli e con un grande sostegno popolare, ha preparato migliaia e migliaia di giovani ad essere cittadini competenti e responsabili, costruttori del bene comune. Invito a sostenere sempre questo Ateneo, perché continui ad offrire alle nuove generazioni un’ottima formazione, per affrontare le sfide del tempo presente.

 

Chiesa, secondo il Rapporto Giovani i giovani italiani sono provati dalla crisi ma ancora pieni di speranze

 

 

La Segreteria di Stato, in occasione della Giornata per l’Università Cattolica, nel messaggio al cardinale Angelo Scola, presidente dell’Istituto Toniolo di Milano, ha citato il Rapporto Giovani circa le nuove generazioni “che sono certamente provate dalla crisi, specialmente dalla mancanza di prospettive certe per l’occupazione, ma sono ancora ricchi di speranze, di aspirazioni e di potenzialità positive”.

 

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“Qui i giovani sono importanti solo a parole”

di Lidia Baratta

Linkiesta

 

Gli ultimi dati diffusi dal ministero del Lavoro non lasciano dubbi: oltre un milione di lavoratori è stato licenziato l’anno scorso, quasi 330mila solo negli ultimi tre mesi del 2012. La situazione occupazionale è in netto peggioramento, con un aumento della perdita dei posti di lavoro del 15 per cento rispetto al 2011. Il risultato è che il 28,4% degli italiani (dati Istat) è a rischio povertà. A esser penalizzati sono soprattutto i giovani, tra difficoltà lavorative e redditi che calano a picco nel corso degli anni. Non è un caso forse che, come emerge da una recente indagine condotta da Ipsos, i ragazzi tra i 25 e i 35 anni guardino al futuro con molta preoccupazione. A peggiorare la situazione, c’è una sfiducia generalizzata nei confronti della politica, considerata incapace di dare risposte adeguate al disagio crescente: per quasi il 60% degli italiani (giovani e adulti) il sistema del welfare nostrano non offre una buona copertura dei rischi né contribuisce a ridurre le differenze sociali. Ma perché le politiche sociali non risultano adeguate? «Basta guardare la ripartizione della spesa», risponde Alessandro Rosina, docente di Demografia all’Università Cattolica di Milano e autore del libro L’Italia che non cresce. Gli alibi di un Paese immobile, «ci sono lacune che confermano le difficoltà di giovani e famiglie. La famiglia è ancora l’unico vero ammortizzatore sociale, ma anche questa istituzione è in difficoltà».

 

Professore, quali sono le principali carenze del sistema di welfare italiano?


Bisogna guardare com’è ripartita la spesa sociale italiana rispetto agli altri Paesi. Per pensioni e sanità, siamo in linea con gli altri, le carenze emergono invece nelle politiche per giovani e famiglie. La spesa è molto bassa negli aiuti alle famiglie con figli, soprattutto con più di due figli, e nelle politiche che riguardano i giovani. Dalle politiche attive per il lavoro, per inserirsi meglio nel mercato, all’housing sociale, con i costi degli affitti calmierati, la spesa risulta carente. Sono lacune che mettono in difficoltà giovani e famiglie. La famiglia resta ancora l’unico vero ammortizzatore sociale per i giovani, ma ora anche questa istituzione è in difficoltà. Per fare un paragone, basta guardare alle politiche familiari messe in atto in Francia, sia con governi di destra sia di sinistra. L’investimento francese in questa voce è sempre stato alto, sia in una situazione di crisi sia no.

 

Eppure la cultura cattolica italiana si fonda proprio sulla famiglia come entità che dà stabilità sociale.

Con i principi noi italiani siamo bravissimi. Ma sulle cose concrete che funzionano non siamo per nulla bravi. Basti pensare che all’articolo 1 della nostra Costituzione c’è scritto che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e poi abbiamo i tassi di occupazione più bassi d’Europa. In Francia, le politiche familiari sono prioritarie perché c’è l’idea che aiutare le famiglie significa aiutare anche le future generazioni: i figli hanno un valore sociale che permette alla società di crescere meglio e di essere in grado di pagare anche le politiche per l’invecchiamento. In Italia invece i figli sono un bene privato, sono i genitori che danno loro il successo nella vita. Il figlio l’hai fatto tu e te ne prendi cura tu. E questo deriva dalla visione degli stessi genitori italiani che vedono i figli come un prolungamento di se stessi. Per i genitori è un piacere dire che il successo dei propri figli dipende dai loro sacrifici, è un piacere sapere che sono artefici del destino dei propri figli.

 

La famiglia, quindi, nonostante tutto resta una base sociale importante. Come si dice di solito, l’unico “vero ammortizzatore sociale”.


La famiglia resta una base di partenza importante. Chi ha una famiglia forte alle spalle, supera gli ostacoli. Chi non ce l’ha non li supera. Lo dice anche l’Ocse in una delle sue ultime ricerche: il successo dei giovani in Italia è legato molto alle caratteristiche dei genitori più che alla persona stessa. Da qui deriva una scarsa mobilità sociale. Che si può vedere anche per quanto riguarda i titoli di studio delle famiglie e quelli dei figli. Le politiche per lo studio, rispetto a quelle messe in atto all’estero, nel nostro Paese sono molto scarse. Per questo il destino dei giovani è vincolato ancora alle caratteristiche delle famiglie.

 

La risposta di tutti è che in un momento di difficoltà come questo le politiche sociali sono un costo che non si può sostenere.


Non è vero. Il welfare ha in sé una parte che è costo, che va tagliata, ma dall’altra parte è anche investimento e questo deve essere incentivato. Pensiamo alle politiche di conciliazione lavoro-famiglia. Gli asili nido non sono un costo, sono un investimento, perché fanno sì che le donne non abbandonino il lavoro portando le famiglie in uno stato di povertà. Famiglie che poi richiederanno politiche sociali di assistenza e che quindi rappresenteranno un costo per lo Stato. La costruzione di asili nido non è una politica di genere, ma una politica che riguarda la società intera. Pensiamo anche alle donne che hanno avviato un’impresa e che per carenza di servizi sono costrette ad abbandonare la propria attività. È lavoro buttato via. Si pensa di risparmiare non costruendo asili nido e invece non si pensa che investendo negli asili ci saranno più donne che lavorano, quindi maggiore ricchezza e minore richiesta di politiche sociali di tipo assistenziale. Un altro esempio sono i neet (Not in Education, Employment or Training, ndr), i giovani che non studiano e non lavorano: se fossero integrati nel tessuto sociale e produttivo, contribuirebbero a fare crescere il pil italiano del 2 per cento. Una politica di investimento nel mondo del lavoro per i ragazzi sarebbe lungimirante.

 

Questo presuppone politiche con una visione di lungo termine e non emergenziale.


Certo. Invece la nostra politica ha una visione statica: si pensa a quanti soldi ho e dove posso risparmiare. Con una visione dinamica, invece, so che se spendo un euro oggi, in futuro possono diventare due.

 

Si può arrivare a una copertura ottimale solo con il welfare pubblico o serve un mix tra pubblico e privato?


Serve un welfare mix. Il pubblico non può ritirarsi dall’investire in politiche sociali. Deve investire meglio e coinvolgere le risorse disponibili anche nel privato, per esempio nel terzo settore e nel mondo sociale, continuando ad avere un ruolo di regia nel welfare. Questa è una discussione che si sta facendo in molti Paesi europei. La spesa pubblica è aumentata ovunque, ovunque lo Stato fa fatica a coprire da solo la spesa per il welfare.

 

Ma come si può pretendere che i giovani abbiano per esempio i soldi per una previdenza integrativa privata quando non hanno uno stipendio sufficiente per l’affitto della casa?


Il metodo pensionistico contributivo introdotto dalla riforma Fornero era necessario. Altrimenti saltava tutto il sistema. Ma si è fatto questo passaggio riversando tutto il peso sulle nuove generazioni. Solo con il sistema contributivo la pensione sarà molto bassa. Senza contare che alcuni restano con il sistema retributivo, che garantisce una pensione molto più consistente rispetto al sistema contributivo. Ma le giovani generazioni che lavorano oggi pagano le tasse anche per pagare le pensioni di quelli che vanno in pensione con il sistema retributivo. Il contributivo garantisce una pensione bassa, da fame, che dovrà certamente essere integrata con altri soldi per garantire sussistenza. Ma se i giovani hanno una carriera discontinua e precaria e stipendi bassi, certo non possono pensare anche ad affinacare una pensione integrativa privata a quella pubblica.

 

Allora quali sono le misure più urgenti da attuare?

Anzitutto la riforma dei centri per l’impiego, perché garantiscano percorsi di formazione e ricollocamento lavorativo, e poi un sostegno al reddito adeguato. Che non significa un reddito minimo incondizionato, ma un sostegno al reddito unito a politiche di ricollocamento, meno lunghe e meno passive. È una cosa che ci chiede l’Europa.

 

Perché i centri per l’impiego oggi non funzionano?


Serve un impegno verso un percorso che aiuti il lavoratore a formarsi. Ma spesso gli stessi addetti di questi centri non hanno la formazione giusta per dare un aiuto effettivo. Non si possono fare solo e sempre i famosi corsi di informatica generale. In Italia i centri per l’impiego sono come le sale d’attesa delle stazioni ferroviarie: se perdi il treno, aspetti in sala d’attesa, leggi il giornale e poi sali sul treno successivo. I centri per l’impiego invece dovrebbero essere come i pit stop della Formula 1: ti fermi per cambiare le gomme, per fare benzina, e quando entri in circuito sei più forte di prima. Il momento di fermo in questo modo serve a potenziare il lavoratore.

 

Nello stesso tempo, bisogna pensare anche ai lavoratori anziani. L’aspettativa di vita cresce e anche l’età pensionabile. 


Servono politiche per l’invecchiamento attivo. La questione non è tanto spostare l’età del pensionamento, ma come migliorare il tasso di attività in età matura. La sfida all’invecchiamento si vince costruendo un sistema sociale e produttivo nel quale sia conveniente rimanere attivi più a lungo. Bisogna ridurre il rischio di obsolescenza attraverso l’aggiornamento continuo, ricalibrare le mansioni e i tempi di lavoro. Non si possono obbligare i 60enni a lavorare come quando avevano 40 anni. Si deve favorire la possibilità di creare attività proprie anche a 60 anni, cambiare attività di lavoro, dare l’opportunità di diventare imprenditori anche da giovani anziani.

 

Franco Anelli: “Il Rapporto Giovani segnala che oltre il 55% degli interpellati collocala scuola tra le istituzioni che contano di più”

 

L’Istituto Toniolo ha avviato un’interessante e utile indagine, intervistando 9.000 giovani che hanno compiuto i 18 anni nel nuovo millennio. Il primo “Rapporto Giovani”segnala che oltre il 55% degli interpellati collocala scuola tra le istituzioni che contano di più. Gli stessi giovani mostrano spirito di adattamento in risposta al momento economico: il 31,7% è pronto a cambiare città pur di lavorare e il 48,9% mette in conto di trasferirsi all’estero. E’ una generazione che guarda al proprio futuro pensando di costruire una famiglia e di avere due o più figli. Si tratta di informazioni preziose per un’università libera e cattolica come la nostra, che dalla sua fondazione, nel 1921, si è data il compito di perseguire una formazione piena e autentica della persona con il radicato convincimento che contribuire allo sviluppo intellettuale e morale del singolo studente significa – come scriveva Padre Gemelli – preparare una gioventù alla quale «è affidato il compito arduo di promuovere in se stessa e negli altri e quasi di sintetizzare nella propria azione lo sviluppo della vita nazionale». Molti laureati della Cattolica hanno rivestito e rivestono con responsabilità e competenza incarichi pubblici e di governo, sono al vertice di importanti imprese, si distinguono nella libera attività professionale: talenti, conoscenze e competenze impiegate nell’edificazione del “bene comune”, che non è una vaga espressione, bensì condizione essenziale per l’armonico sviluppo di ogni
ambito economico, sociale, politico. L’Ateneo dei cattolici italiani vuole vivere il tempo presente adeguatamente attrezzato […]

lettera-rettore

“Le nuove generazioni oltre la crisi”

 

Dieci giovani, tutti studenti dell’Università Cattolica, in un labirinto che cercano la via di uscita. Il labirinto rappresenta simbolicamente la crisi, i ragazzi con le torce trovano insieme il modo per uscirne. Il labirinto è il mistero, la luce delle torce è la volontà della ricerca. Come Diogene, filosofo del 400 a.C., che con la lanterna cercava l’uomo. Il futuro è l’orizzonte verso cui i giovani corrono. Il parco nella sua ampiezza evoca la libertà di pensare e di tornare a progettare,
protagonisti della propria vita. E, da ultimo, della vita del Paese.

E’ quanto intende comunicare lo spot dell’Istituto Toniolo, che, attraverso il Rapporto Giovani, sta tracciando il ritratto dei “millenials”, non una generazioni rassegnata, ma desideroso di realizzare le proprie aspettative.

 

 

Guarda lo spot

 

Come vive e cosa sogna lo stagista italiano?

 

Fonte Linkiesta

 

di Silvia Favasuli

 

 

Sa che per vivere a Milano servono minimo 1100 euro al mese ma spesso non ne guadagna nemmeno uno. Si ferma in ufficio due o tre ore al giorno in più del dovuto perché così «fa vedere che è motivato», anche se dall’alto non viene data nessuna prospettiva. Capita che lavori fino a 10 ore al giorno in uno dei più importanti studi di architettura di Milano e i colleghi gli dicano: «vai all’estero che qui perdi solo tempo». Può ritrovarsi in un ufficio di 18 persone di cui 5 tirocinanti.

 

 

Può avere degli amici operai che hanno la fidanzata, la macchina e stanno comprando casa e la notte si chiede: «Capiterà mai anche a me?». Spesso ha un amico lavoratore, che gli offre una brandina nel suo monolocale. E tutti i giorni, prima di andare a dormire, raccoglie gli scontrini della giornata e segna le spese fatte. Poi a fine mese, «decide dove tagliare».

 

 

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Corriere della sera: 200 mila disoccupati tra i giovani «dottori» del 2012

Fonte: Corriere.it

 

La laurea non basta più per lavorare:  nel 2012 si contano circa 200.000 disoccupati tra gli under 35 laureati. È quanto emerge da dati Istat, che indicano un aumento di circa il 28% sul 2011 di questo segmento della disoccupazione giovanile. La crisi colpisce quindi anche i giovani con i titoli di studio più elevati: a confronto con il 2008 si registra una crescita quasi del 43%.

 

 

CRESCE ANCHE IL NUMERO DEI LAUREATI – Nel dettaglio si tratta di 197 mila ragazzi tra i 15 e i 34 anni, in cerca di un impiego e con in tasca un titolo accademico (+27,6% sul 2011). E il risultato non cambia anche allargando lo sguardo al totale delle persone disoccupate (15 anni e più) con certificati di laurea e post laurea: se ne contano 307.000, in aumento del 32,3% su base annua. Un rialzo perfino superiore all’incremento medio dei disoccupati complessivi (+30,1%). Naturalmente l’aumento dei dottori alla ricerca di un lavoro è anche spinto dalla crescita complessiva delle persone con il titolo di studio più alto. Quindi l’aumento dei laureati tra i disoccupati dipende anche dal fatto che stanno crescendo nella popolazione attiva. Infatti, se si osservano i tassi di disoccupazione, ovvero il rapporto percentuale tra il numero di chi cerca un impiego e il totale delle forze lavoro, ai giovani con «passaporto» accademico va ancora meno peggio rispetto ai coetanei con titoli di studio inferiori.

 

 

 

Giovani e bellezza è ancora possibile oggi educare i giovani al bello

 

Il 14 marzo a Firenze, nella città del Fiore, dove si può toccare con mano il bello, grazie al genio creativo e operoso di artisti antichi e moderni, si è svolto presso l’Auditorium Ente CRF, in via Folco Portinari 5/r il seminario dal titolo “Piace ciò che è bello o è bello ciò che piace?”. Scopo dell’iniziativa, promossa dall’Istituto Toniolo e dalla Pastorale giovanile della diocesi di Firenze, è stato chiedersi se sia ancora oggi possibile educare alla bellezza le nuove generazioni,  oltre l’effimero e l’apparenza.

 

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Per le risposte ai giovani serve convergenza fra le forze politiche

Ospite di Porta a Porta, durante la puntata post elettorale, Alessandro Rosina ha sottolineato come i dati del Rapporto Giovani sul tema “Giovani e orientamento politico” hanno parlato chiaro. La sfiducia generalizzata verso i partiti e la bocciatura degli schieramenti tradizionali dice dell’incapacità della politica di dare ai giovani italiani le stesse opportunità dei coetanei europei.

 

Sui giovani insomma – è emerso durante la trasmissione condotta da Bruno Vespa – ci vuole convergenza tra le forze politiche per dare risposte concrete a una generazione che non si vuole arrendere.

 

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Gardini e Bonanni: “La sfiducia dei giovani è dovuta alla mancanza di risposte da parte dello Stato”

 

Per Maurizio  Gardini, presidente della Confcooperative e Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, intervistati da Radio Vaticana, all’interno di una tavola rotonda dedicata alle prossime elezioni, la sfiducia dei giovani nelle Istituzioni dipende dal fatto che non trovano risposte concrete da parte dello Stato alle loro esigenze.

 

Rispetto alla sfiducia dei giovani verso i Sindacati Bonanni ha aggiunto: “Molti giovani non avendo purtroppo un’occupazione, non conoscono il lavoro svolto del sindacato”.

 

Ascolta il programma al minuto 44

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