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Nativi digitali: la rete non incide sulle decisioni che contano

 

“Le nuove tecnologie hanno aumentato il livello di informazione tra i giovani – afferma a  Radio Vaticana 105FM, Rita Bichi –  docente della Cattolica, ma gli stessi giovani sembrano consapevoli dei limiti della rete che non riesce ad incidere sul livello di partecipazione alla politica e al sociale, dove le decisioni che contano passano sempre attraverso i vecchi canali”.

 

Secondo il Rapporto Giovani l’85% dei giovani italiani tra i 15 e i 34 anni usa internet per informarsi, tra giornali on line, ascoltare radio e vedere la tv, inviare mail e scambiare opinioni sui social network. Dopo i 55 anni, però, solo il 50% degli italiani usa la rete.

 

Quale contributo, intanto, di partecipazione alla vita politica sono disposti a dare i giovani? Secondo un campione di giovani tra i 18 ed i 29 anni, il 30% si schiera con il centrosinistra, il 17% con il centrodestra, il 14,5% al centro. Vince però, spiega Alessandro Rosina, docente della Cattolica, chi non vuole collocarsi rifiutando la logica destra/sinistra, pari al 38,5%. Il bacino maggiore del non voto”.

 

Ascolta il servizio su Radio Vaticana

 

Mario Mauro: “L’indagine del Toniolo è un campanello d’allarme per la politica”

Mario Mauro, deputato al Parlamento europeo nel PPE, commenta i dati del Rapporto Giovani sulle intenzioni di voto e di partecipazione elettorale dei giovani italiani.

 

 

 

 

 

 

“Sono interessanti i dati promossi dall’Istituto Toniolo che rendono più chiara la sfida che viene oggi fatta alla politica dai giovani”. Lo ha dichiarato l’onorevole Mario Mauro, candidato al Senato in Lombardia nella lista “Con Monti per l’Italia”.

 

“La ricerca – continua Mauro – sottolinea infatti come tra i giovani italiani e la politica non ci sia un rapporto positivo. Questo a causa delle troppe promesse mancate e della carenza di risposte credibili per ridare speranza alle nuove generazioni”.

 

“Il voto di fine febbraio – conclude Mauro – è quindi l’occasione di decidere finalmente in prospettiva che scommessa fare sul futuro dell’Italia, consegnandoci per sempre alla logica della contrapposizione sterile, oppure capendo che in futuro bisognerà collaborare anche con chi oggi sentiamo nemico”.

(AgenParl)

 

 

 

Bisogna dare un’occhiata al 38,5% di giovani che rifiutano logica destra – sinistra

Potito Salatto, eurodeputato, vicepresidente della delegazione Fli-Udc-Svp al Parlamento europeo

 

“Contrariamente alle precedenti generazioni che amavano collocarsi politicamente su posizioni radicali, dallo studio effettuato dall’ Istituto Toniolo di Milano, risulta oggi che ben il 38,5% dei  giovani rifiuta la logica destra-sinistra”. Lo dichiara in una nota l’ eurodeputato Potito Salatto, vicepresidente della delegazione Udc-Fli-Svp al Parlamento europeo.

 

“Questo dato – aggiunge Salatto – dimostra ancora una volta che le ideologie sono in via di estinzione e che le scelte politiche ed elettorali guardano più ai programmi e alla classe dirigente. L’ impegno di noi europarlamentari
italiani aderenti al PPE per realizzare in Italia il Partito Popolare Europeo si pone questo obiettivo di  fondo, pur sottolineando valori e principi universalmente riconosciuti fuori da schematismi superati dalla storia.
E’ a quel bacino del 38,5% che dobbiamo offrire un’ occasione di impegno per compiere un salto culturale anche nel
nostro Paese”.

(AgenParl)

Luigi Bobba – Dai giovani indicatori di una forte distanza per la politica

 

“Una buona notizia, un problema e un’attesa”. Queste le reazioni di Luigi Bobba – parlamentare uscente del PD e candidato alla Camera in Piemonte – ai dati del Rapporto Giovani sul tema della partecipazione elettorale e del voto nelle nuove generazioni.  ”Una buona notizia sta nel fatto che circa il 30% dei giovani si collocano nel centrosinistra, una misura quasi doppia rispetto a quelli che si dichiarano sia di centrodestra sia di centro. Il problema sta in particolare il quel 21% che afferma che non andra’ a votare, ma anche nel 25% del campione che, a poco piu’ di venti giorni dal voto, non sa ancora chi indichera’ sulla scheda elettorale. Due indicatori di una distanza dalla politica che, a volte, si trasforma in disgusto o semplicemente si esprime come difficolta’ a formarsi un orientamento politico chiaro e convinto”.

 

”L’attesa – e sicuramente questo e’ il dato piu’ da esplorare – e’ evidenziata da quel 38,5% di giovani -sottolinea Bobba- che non si riconoscono sull’asse destra/sinistra. Rifiutano di farsi incasellare nelle tradizionali categorie della politica forse per manifestare un disagio che, ne’ i leaders politici, ne’ le loro parole, riescono piu’ ad intercettare. Non di meno hanno ben chiare quali dovrebbero essere le priorita’ della politica: favorire la crescita e l’innovazione dell’Italia ma anche promuovere equita’ e giustizia sociale in un Paese troppo segnato dalle disuguaglianze”. ”Crescita ed equita’ -osserva Bobba- sono le parole piu’ dimenticate in particolare dal governo Berlusconi ma anche molto trascurate dallo stesso Monti. Il rigore dell’ultimo anno ha oscurato qualsiasi barlume di crescita e lasciato nel cassetto, in attesa di tempi migliori, i provvedimenti volti a perseguire una redistribuzione piu’ equa della ricchezza”. ”C’e’, infine, un segnale da non trascurare: la voglia di partecipare attraverso la rete o mobilitandosi su obiettivi specifici, non e’ affatto spenta. Solo il 30% esclude la possibilita’ di partecipare ad azioni di protesta in rete o anche in piazza. Disponibilita’ confermata anche dal fatto, che dopo la crescita e la riduzione delle disuguaglianze, questi giovani vogliono un’Italia dove i cittadini abbiano maggior potere decisionale. Chi si candida – conclude Luigi Bobba – alle prossime elezioni politiche, non puo’ mancare questo appuntamento con i giovani: anche attraverso il voto puo’ nascere un legame piu’ virtuoso con la politica”.

(AgenParl)

Giorgia Meloni – La ricerca del Toniolo conferma che ai giovani non interessano simboli, ma risposte concrete

“I risultati della ricerca dell’Istituto Toniolo sul rapporto fra giovani e politica dimostrano che le nuove generazioni sono molto meno ideologizzate di quelle passate e che quello che interessa ai giovani under 30 anni non sono più simboli o nomi dei partiti ma politiche che sappiano dare risposte concrete. Ed è proprio quello che Fratelli d’Italia intende fare utilizzando strumenti incisivi come l’inserimento in Costituzione del principio di equità fra generazioni, l’equiparazione fra elettorato attivo e passivo, il contratto di lavoro unico e l’eliminazione di quelli atipici, l’introduzione dell’apprendistato come principale strumento per l’ingresso nel mondo del lavoro, un regime fiscale agevolato per le imprese composte da giovani, l’introduzione del quoziente familiare ed il sostegno alle giovani coppie”.

E’ quanto dichiara Giorgia Meloni, fondatore di ‘Fratelli d’Italia-Centrodestra nazionale’, commentando i risultati del Rapporto Giovani.

(AgenParl)

 

Le nuove generazioni stanno messe peggio di quelle passate

“E’ la prima volta che le nuove generazioni sono messe peggio di quelle precedenti. Bisogna riflettere su questo”. Così  l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola  all’incontro “Nuove generazioni,Comunicazione,  Futuro”, organizzato dall’Ufficio per le comunicazioni sociali sabato 26 gennaio a ll’Istituto dei Ciechi di Milano, in occasione della festa del patrono dei giornalisti, san Francesco di Sales. Scola ha fatto una riflessione sulla libertà, commentando i dati del  Rapporto giovani da cui emerge che i giovani under 30, pur avendo grande accesso alle nuove tecnologie e alle nuove fonti di informazione online, sono consapevoli che ciò  non possa servire a cambiare i processi decisionali. ”La franchezza con cui i giovani si esprimono sui social network e l’aiuto delle nuove tecnologie – spiega – a volte anche con insulti e pregiudizi, è tuttavia un’espressione di libertà. In una fase di transizione come la nostra, quella della liberta’ e’ la questione fondamentale. Ma ognuno di noi la pratica in modo riduttivo”. Secondo il cardinale ”la liberta’ si e’ ridotta alla liberta’ di scelta – continua – sganciata dal principio del bene e del male. Il solo atto di scegliere e’ considerato distintivo della liberta’, ma non e’ cosi’.  La verita’ e’ che la liberta’, tanto conclamata, e’ in realta’ poco realizzata, soprattutto per i giovani”.
Nelle nuove generazioni c’e’ grande ”interesse all’informazione – conclude Scola – verso la realtà, la conoscenza ma nello stesso tempo c’è la necessità di rilevare che  tutto questo da solo non basta: se non si mettono in moto  dei dinamismi,  dei processi di attuazione dell’urgenza di libertàa di libertà che consentano a quella sana inquietudine che ci  fa riflettere su un’esperienza effettiva e   integrale non è un bene per la vita delle nostre società, segno dell’appiattimento della struttura di civiltà, che tocca anche la cultura e la politica in cui siamo immersi,  in questa nostra stanca Europa”.

 

Repubblica_i ragazzi di oggi stanno peggio

 

Il Giornale

 

Enrico Mentana: I giovano hanno il mondo il tasca ma non non hanno accesso ad una società invecchiata

«Stanno a guardare la realtà come se osservassero la vetrina di un negozio. Un diaframma invisibile eppure infrangibile c’è e rimane tra loro e il reale. I giovani di oggi hanno evidentemente sete di sapere, hanno consapevolezza di come va il mondo,  hanno il mondo il tasca letteralmente nello smartphone ma non  non hanno accesso ad una società invecchiata. I dati lo dicono: la socielizzazione virtuale è un placebo rispetto alla socializzazione reale», ha detto  Enrico Mentana, commentando i dati del Rapporto Giovani durante l’incontro con il cardinale Angelo Scola in occasione della festa di San Francesco di Sales.

Connessi e sempre a caccia di notizie ma non credono di cambiare il mondo

di Zita Dazzi

(tratto  da La Repubblica del 27 gennaio 2013)

 

Informati e dotati di senso critico, sempre connessi e avidi di approfondimenti, ma disillusi sulle possibilità di cambiare il mondo pur avendolo in tasca, sotto forma di smartphone e quindi di accesso in tempo reale a tutto quel che avviene in ogni parte del globo. In nove casi su dieci, i giovani usano Internet per navigare, comunicare, chattare, ascoltare e vedere, informarsi ma anche formarsi opinioni proprie sulle informazioni raccolte, e poi scambiarle sotto forma di post e di tweet, rilanciando in scala infinita le notizie dei quotidiani o dei telegiornali.

La Rete come rampa di lancio verso l’esterno soprattutto per i giovani lombardi, i più tecnologici e istruiti del Paese. Sempre su Facebook, sempre sul pezzo, poco influenzabili — a loro dire — da quel che sentono nei talk show televisivi, ma famelici di notizie online e interessati a discutere sul web quel che hanno letto sulla carta. È questo il ritratto dei «nativi digitali» per quel che riguarda i temi della comunicazione e delle nuove tecnologie. Un identikit preciso, quello che esce dalla sezione dedicata all’informazione del ‘Rapporto giovani’ dell’Istituto Toniolo su 9mila 18-29enni, ricerca curata da un gruppo di docenti dell’università Cattolica coordinati da Alessandro Rosina, con il sostegno di Fondazione Cariplo. Lo studio sui «millennials», come li hanno chiamati, è stato presentato in apertura dell’annuale incontro del cardinale Angelo Scola con i giornalisti, all’Istituto dei ciechi,

in occasione della celebrazione di San Francesco di Sales.

Rispetto a tre anni fa, è diminuito di tre punti il consumo di notizie attraverso la tivù (oggi è all’84 per cento), di dieci punti quello attraverso i quotidiani in formato cartaceo (oggi al 35,7 per cento), ma è salito di trenta punti (oggi all’82 per cento) il consumo di informazione attraverso i siti dei giornali che arrivano anche in edicola. «Complice la crisi, il 70 per cento dei giovani opta per l’informazione gratuita online, mentre solo il 15 per cento l’acquista in edicola più di una volta a settimana — spiega Rita Bichi, una delle ricercatrici —. Ma neanche questo basta loro. Ogni notizia viene poi rilanciata e discussa, approfondita e confrontata proprio attraverso la Rete: quasi il 50 per cento degli under 30 legge le notizie online usando un tablet o uno smartphone. I tg vengono guardati da 8 giovani su 10, perché la televisione è accesa in ogni casa. Ma il 40 per cento dei giovani, e in particolare quelli lombardi, ci dice che per farsi un’opinione sulle questioni politiche è necessario andare sui siti dei giornali online e leggere i quotidiani».

Solo poco più di uno su tre (35 per cento) si affida unicamente alla televisione per capire come vanno il mondo e la politica italiana, forse perché nei dibattiti si urla troppo, forse perché in televisione c’è meno possibilità di confronto. Ma Rosina mette in guardia: «Le nuove tecnologie hanno migliorato l’informazione e aumentato la consapevolezza, ma solo per uno su quattro questo ha incentivato il protagonismo politico. E solo il 13 per cento vede un vero rinnovamento della classe dirigente grazie alla comunicazione amplificata dalla Rete. Oltre il 50 per cento pensa che le decisioni vere siano prese attraverso altri canali e uno su cinque conclude che il web serve anche a far emergere movimenti populistici».

(27 gennaio 2013)

I giovani, il lavoro e l’inquietudine per un futuro fragile

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 di Aldo Bonomi

 Sociologo, fondatore e direttore di Aaster

da Sole 24 Ore – 23/12/12

 

In Italia la riflessione sulla questione  giovanile è scandita dalle tristi statistiche su disoccupazione o precarietà o su quei 2 milioni e 200 mila sospesi nel limbo del non studio e del non lavoro. I giovani sono pochi, quasi una specie protetta, e soprattutto contano poco. Vale la pena andare oltre gli usuali indicatori per scomporre e ricomporre i dato del dramma giovanile. A partire da 3 ricerche, 3 diversi punti di osservazione. Il primo è rappresentato da oltre 3300 giovani clienti di una grande banca nazionale, tra i 18 e i 34 anni, intervistati sulla crisi. Si parla sempre dei giovani come economicamente deprivati. Ci siamo chiesti invece come vivano questa fase storica i figli di quel cedio medio risparmiatore oggi stretto tra debito e costo della vita. Sono per lo più giovani adulti occupati, il 66% ha un lavoro e guadagna un reddito, e patrimonializzati visto che il 44% risparmia oltre il 20% del reddito: non poco di questi tempi. Insomma chi è riuscito a fare il salto nella società adulta. Bene, né il gruzzolo né il lavoro ormai bastano più ad acciuffare il futuro. Il 54 % di loro giudica il proprio reddito insufficiente e il 41% ha visto peggiorare le condizioni della famiglia negli ultimi quattro anni. Su tutto temono il futuro, per loro un’ombra da cui fuggire più che la meta verso cui procedere: il 37% risparmia per far fronte ad imprevisti non per costruire un percorso di crescita. Il 55% vede il futuro pieno di rischi e incognite e il 75,2% giudica peggiore la situazione futura dei giovani rispetto ai genitori. I due rischi più paventati nel diventare adulti sono disoccupazione (34%) e povertà (33%). Sono intrappolati in un presente che vedono come il tritacarne di un passaggio epocale che la società adulta stenta a dominare e pensare. E reagiscono mettendo al primo posto nella scala dei valori famiglia e posto fisso. Hanno sviluppato una coscienza triste dell’insicurezza. Inseguono la stabilità eppure, per migliorare la propria condizione, il 76,1% si trasferirebbe in un’altra provincia, il 65,7% in un’altra regione, il 54,2% espatrierebbe. Mettendosi sotto sforzo: il 91,1% è disponibile a straordinari, l’80,8% a rinunciare ai  ai consumi, il 61,8% a fare un secondo lavoro, un quarto a lavorare in nero. Il 75,5% è convinto che l’unico modo per fare carriera è trasferirsi all’estero. Un adattamento passivo più che un problema di aspettative troppo alte. Il 46% vive ancora con i genitori: di questi il 55 % per motivi economici. Familisti mediterranei? In parte si; ma anche persone che valutano razionalmente l’autonomia come rischio di povertà. Anche nell’anglosassone e individualista America sta aumentando il doubling-up delle famiglie, ovvero la presenza di adulti e giovani non studenti oltre al capofamiglia. Anche il secondo punto di osservazione, l’indagine della fondazione Toniolo su 4.500 giovani italiani mette al centro il tema dell’adattamento alla crisi. Con sullo sfondo l’enorme tema della contraddizione tra una popolazione giovanile con investimenti formativi fuori squadra rispetto alla capacità di assorbimento del sistema produttivo. E il conseguente adattamento al ribasso: uno su due si adegua ad un salario più basso di quello che considererebbe adeguato e il 47% a svolgere un’attività che non è coerente con gli studi. Solo il 33% dei laureati svolge un lavoro coerente con quanto studiato. E il 77% dei maschi tra 18 e 29 anni dopo un periodo di autonomia sono tornati a vivere in famiglia.  Sono solo “schizzinosi” o abbiamo un problema grande come una casa non solo sul lato delle famiglie e della scuola ma anche sul lato dell’adattamento del sistema produttivo all’economia della conoscenza? Questione grande che ha a che fare con il sentiero di uscita dalla crisi del nostro capitalismo. Tema che ritroviamo anche tra quei giovani che hanno tentato la strada dell’ingresso alto nel mondo del lavoro, tra le professioni sia tradizionali che del terziario digitale e creativo. Con un doppio lavoro di ricerca sulle due grandi concentrazioni metropolitane del lavoro della conoscenza, Milano e Roma, emerge in tutta evidenza la forza di una frattura generazionale che sta travolgendo le tradizionali distinzioni tra chi ha un ordine e chi non ha altro che la sua partita Iva con l’incognita del ruolo che potrà avere la nova legge sul riconoscimento delle professioni non-regolamentate. C’è in fondo più somiglianza, nelle difficoltà, tra un giovane designer e un giovane avvocato di quanto ne passi tra un praticante e il dominus di un grande studio. È il mercato bellezza, qualcuno potrebbe sostenere. Salvo che la crisi sta divaricando la forbice a tal punto che oggi a Roma il 76,9% dei giovani (fino a 30 anni) avvocati, architetti, ingegneri e il 46,7% dei loro colleghi trentenni (30-39 anni) guadagnano meno di mille euro al mese. A Milano il 60% dei giovani professionisti si identifica con l’etichetta sociale di precario; a Roma il 72 per cento. Nella capitale il 54% dei giovani professionisti giudica negativa la propria condizione economica e il 26,4% vorrebbe passare da autonomo a dipendente.
In entrata nel mondo del lavoro il 51% dei giovani professionisti romani è favorevole alle modifiche dell’art. 18 e ben l’85% al contrasto delle “finte partite Iva” nella riforma Fornero. Insomma, voglia di rottura degli equilibri e richiesta di tutele convivono. Il problema dell’oggi, dei giovani davanti alla crisi, non si limita dunque alle condizioni di accesso al mercato ma al fare società, a come sviluppare cooperazione trasversale per sostenersi mutuamente. In assenza della quale non resta che adattarsi o fare esodo. Non lasciare i cittadini del futuro dentro questa tenaglia dovrebbe essere l’obiettivo da darsi. A loro i miei auguri. Ne hanno bisogno.

 

Aldo Bonomi Sole24 Ore

 

Il Sole 24 Ore – leggi su http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2012-12-23/giovani-lavoro-inquietudine-futuro-081343.shtml?uuid=Aby2AcEH

 

 

 

 

 

Giovani, l’astensionismo è il primo partito (ma in calo)

di Emanuele Buzzi

Corriere della Sera, 20/01/13

 

Delusi e disillusi Il 51% si informa di politica, ma il giudizio sulla classe dirigente è impietoso: per il 76% è «incompetente»

 

MILANO – Delusi, disillusi, arrabbiati. È il ritratto dei giovani italiani tra i diciotto e i trentaquattro anni. Ventenni e trentenni rapiti dal vento dell’antipolitica e frastornati dagli scandali che hanno colpito i partiti, ragazzi che vivono con disincanto il presente e guardano con incertezza al futuro. Secondo un sondaggio condotto da Mtv Italia (che ha lanciato la campagna «Io voto» per sensibilizzare i giovani verso la politica), solo il 45% degli intervistati si ritiene realmente felice e il 70% si dice fiero di vivere in Italia (una delle percentuali più basse a livello mondiale, la media internazionale è dell’82%, ndr ).

Il loro rapporto con la politica è emblematico: il 74% la associa alla corruzione, il 67% a una sensazione di disgusto, mentre al 57% degli intervistati provoca rabbia. Nonostante le elezioni siano alle porte poco più di 6 su dieci (62%) si dichiarano certi di andare a votare e quasi tre su quattro (73%) vedono nell’astensionismo «un modo per protestare, per esprimere dissenso rispetto all’attuale sistema politico».

Numeri che fanno riflettere, specie se accostati all’idea che i ventenni/trentenni hanno della nostra attuale classe politica: per il 76% è «incompetente», per il 67% «raccomandata» e per il 60% «anacronistica e incapace di rinnovarsi». Mondi che sembrano opposti. Siamo lontani dalla visione in cui «tutto è politica» di Thomas Mann, quasi agli antipodi. Uno su due (51%) si informa di politica ma la ritiene una componente non prioritaria della propria vita (e il dato è ancora più alto tra i ventenni), il 23% non si interessa o tende ad evitare temi politici. Solo il 2% è coinvolto attivamente. Tuttavia c’è qualche spiraglio di ottimismo. Il 49% dei giovani crede che un interessamento «inteso come informazione e consapevolezza oltre che come supporto diretto a un partito» sia fondamentale.

E anche a livello di orizzonti, i giovani hanno delle certezze. Il loro leader politico ideale lo hanno in mente: onesto (81%), chiaro, trasparente (66%), credibile (65%). Sull’agenda politica da lanciare hanno le idee chiare. Dopo tutte le polemiche di questi anni su bamboccioni e giovani schizzinosi al primo posto, tra le priorità, svetta la lotta alla disoccupazione giovanile (con il 28%). Subito a ruota i ventenni/trentenni vorrebbero risolvere i problemi legati alla crisi economica (26%) e alla pressione fiscale (13%). Lavoro, economia, anzitutto. Cambia invece il modo di manifestare il dissenso: ora il mondo dei giovani si divide. Il 46% ritiene che la protesta nelle strade sia «un valido mezzo», ma ora spunta anche un 45% che «pensa alla protesta sul web e sui social media». D’altronde in un altro sondaggio sugli under 30 promosso dall’Istituto Toniolo e dalla Fondazione Cariplo e diffuso a dicembre, solo l’8,5% dà un voto almeno sufficiente ai partiti.

La disaffezione è in realtà una costante: nulla di diverso con il passato. Negli ultimi quattro anni è cambiato poco, nonostante l’ulteriore deterioramento dell’immagine del mondo politico. Sempre per un’indagine sui giovani condotta da Mtv, nel 2009 il 92% degli intervistati dichiarava di non fidarsi dei politici. L’unica a salvarsi nel 2009 era l’Unione europea, che godeva della fiducia del 52% dei ragazzi. All’epoca i potenziali astenuti toccavano cifre record: il 90% aveva affermato che avrebbe evitato le urne in caso di elezioni. Oggi, alla vigilia delle Politiche, il partito del non-voto è ancora una solida realtà, ma è in netto calo. Anche se restano la rabbia e la delusione.

 

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