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I giovani «salvano» la scuola ma criticano la Chiesa

Fonte vaticaninsider.lastampa.it

 

 

 di Andrea Tornielli

 

 

In un panorama di sfiducia radicale e generalizzata nei confronti delle istituzioni, i giovani «salvano» la scuola e le forze dell’ordine, mentre si mostrano più sfiduciati verso il sindacato.  Ambivalente il voto sulla Chiesa, che risulta promossa da più di cinque credenti su dieci, ma se si considera tutto il campione – senza estrapolare il dato sui credenti – le bocciature arrivano anche a sette su dieci. Ottengono la fiducia dei giovani le figure più vicine, come i sacerdoti, i missionari e gli insegnanti di religione.

 

È quanto emerge dal Rapporto Giovani www.rapportogiovani.it,, la grande indagine su 9000 giovani italiani promossa dall’Istituto Toniolo in collaborazione con Fondazione Cariplo, curata da un gruppo di docenti dell’Università Cattolica e realizzata dalla Ipsos. I ragazzi intervistati hanno un’età compresa fra i 18 e i 29 anni.

Il futuro delle nuove generazioni: la ricerca dello Ial nazionale realizzata da Demopolis.

Fonte www.demopolis.it

 

Al primo posto, fra le cose importanti della vita, i giovani pongono oggi il lavoro che – per la prima volta – supera con il 91% il primato duraturo della variabile “famiglia” fra le priorità delle nuove generazioni: l’occupazione è ritenuta condizione ineludibile per la progettazione del futuro. Pesa, sempre di più, l’incertezza sull’avvenire: meno di un quarto dei giovani italiani si immagina tra 5 anni con un lavoro stabile e ben retribuito. Il 78% dei giovani è convinto che nel nostro Paese per entrare nel mondo del lavoro, più che la preparazione, serva soprattutto la rete di relazioni, “conoscere persone che contano”.

Sono questi alcuni dei dati che emergono dall’indagine sui giovani fra i 18 ed i 34 anni dal titolo “Il futuro delle nuove generazioni in Italia”, promossa dallo IAL Nazionale in sinergia con la CISL e realizzata dall’Istituto di Ricerche Demopolis. 

 

L’indagine racconta di giovani estremamente realisti, che guardano all’avvenire senza farsi molte illusioni, pienamente consapevoli delle difficoltà del contesto.

 

I risultati della ricerca, condotta su un campione di 3.600 intervistati rappresentativo dei cittadini italiani tra i 18 ed i 34 anni, restituiscono dalla viva voce dei giovani il loro vissuto personale e lavorativo, ma anche le preoccupazioni e le aspettative verso il futuro.

 

Fra gli aspetti che mettono più in difficoltà le nuove generazioni, l’84% dei giovani intervistati dall’Istituto Demopolis indica, al primo posto, l’incertezza sull’avvenire; il 72% segnala la temporaneità del lavoro, circa 7 su 10 la mancanza di un reddito adeguato alla pianificazione della propria vita, ma anche la discontinuità della retribuzione (65%) e la continua, logorante ricerca di un nuovo impiego (57%).

 

All’incertezza sistemica dei tempi che corrono, le nuove generazioni del Paese stanno imparando ad adattarsi. Ma al proprio futuro lavorativo non smettono di guardare con timore: incidono la paura di restare senza lavoro (70%) o di averne uno precario (61%); di non poter costruire una famiglia (60%), di non maturare una pensione (56%); di non riuscire a risparmiare (53%) o ad acquistare una casa (51%). E la preoccupazione cresce ulteriormente tra le giovani donne.

 

 

 

Fonte www.demopolis.it

 

Fare della crisi attuale una occasione di “nuova progettualità”

“Spesso anche la disponibilità ad adattarsi ad ogni lavoro non permette ai giovani di raggiungere l’indipendenza economica e di avere i mezzi sufficienti per formarsi una famiglia. Il fenomeno dei lavoratori poveri, perché sottopagati e/o precari oltre a costituire un grave problema sociale, è un rilevante fattore diseconomico che si ripercuote negativamente sulla domanda interna  e contribuisce a ritardare la ripresa”. Lo dice Gianni Bottalico, vicepresidente nazionale delle Acli. Già dirigente provinciale del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana, dal 2004 al 2012 è stato presidente delle Acli milanesi.

 

 

L’INTERVISTA

 

1) Il cardinale Angelo Scola ha rilanciato la fase 2 del Fondo Famiglia Lavoro. L’emergenza non è affatto rientrata. Qual è la fascia più in difficoltà?

 

 Che l’emergenza non sia rientrata lo dicono, ahimè, tutte le ricerche che continuano a segnalare perdita di posti di lavoro, aumento della disoccupazione con dei picchi preoccupanti per quella giovanile, erosione che appare inarrestabile, del risparmio delle famiglie, riduzione considerevole del loro tenore di vita. Il ceto medio continua ad impoverirsi e su questo non si è riflettuto abbastanza, soprattutto la politica fatica a valutare l’impatto di tale fenomeno in termini economici, sociali e di tenuta per la democrazia e la pace.A riportare l’attenzione su questi temi ha contribuito nel 2008 la lungimirante intuizione del cardinal Tettamanzi di istituire il Fondo Famiglia Lavoro che oggi il suo successore, l’Arcivescovo cardinal Angelo Scola, ha deciso di proseguire puntando, non a caso soprattutto sulla formazione professionale e sul sostegno all’avvio di nuove attività lavorative.Oggi la fascia di giovani più in difficoltà è quella appartenente ai segmenti più bassi del ceto medio:  questi ragazzi la crisi la pagano due volte, con meno risorse (familiari e pubbliche) a disposizione per la loro formazione e con meno opportunità di buon lavoro, a parità di capacità, dei loro colleghi appartenenti alle fasce sociali privilegiate.

 

2) I giovani, nonostante il tasso di disoccupazione non diminuisca, non mollano e continuano a crederci, pur di non rimanere disoccupati si adeguano a lavori non corrispondenti al titolo di studio e al percorso formativo e si adeguano a salari bassi. Cosa si deve chiedere al Paese per un cambiamento profondo? Cosa, in concreto, devono fare politica e società per uscire dalla crisi?

 

Va rilevato che sempre più spesso anche la disponibilità ad adattarsi ad ogni lavoro non permette ai giovani di raggiungere l’indipendenza economica e di avere i mezzi sufficienti per formarsi una famiglia. Il fenomeno dei lavoratori poveri, perché sottopagati e/o precari oltre a costituire un grave problema sociale, è un rilevante fattore diseconomico che si ripercuote negativamente sulla domanda interna  e contribuisce a ritardare la ripresa.Di fronte a fenomeni di questo genere dobbiamo adoperarci per fare della crisi attuale una  occasione di “nuova progettualità” come ci invita a fare Benedetto XVI nella Caritas in veritate. Al Paese va chiesto innanzitutto un maggior impegno per lo sviluppo economico e sociale. Occorre ricreare le condizioni nelle quali possano esserci delle reali opportunità di crescita professionale e sociale per tutti, invertendo la crescita delle disuguaglianze e perseguendo la riduzione dei divari sociali che invece negli anni della crisi sono cresciuti ulteriormente, come presupposto per far contare il merito e non solo l’appartenenza. In assenza di ciò le discussioni sul merito non fanno che consacrare i rapporti sociali esistenti a svantaggio della gran massa dei giovani. Lo stato non può comportarsi solo come arbitro ma deve intervenire, come esige la Costituzione (art. 3), per ridurre gli squilibri economici e sociali.Più in generale, credo vada profondamente ripensato il modello economico imperante in questi ultimi decenni. Abbiamo assistito al primato dell’economia sulla politica, ma l’economia reale a sua volta è stata dominata dalla finanza speculativa. Ciò ha divorato risorse ingentissime (paragonabili ai costi delle guerre mondiali) nel salvataggio pubblico degli istituti finanziari, pagato in gran parte con i tagli allo stato sociale in una misura superiore alle riforme che pure quest’ultimo richiedeva. Ed ha comportato, per effetto anche dell’apertura globale del mercato, una sotto-remunerazione del lavoro generalizzata, a favore dei profitti finanziari. In Occidente i salari non sono più sufficienti per una vita dignitosa ed alle masse di nuovi lavoratori dei Paesi emergenti i salari non permettono di comperare ciò che producono. Ma se non si aumenta la domanda interna dando più margini di profitto alle imprese ed ai lavori autonomi, più potere d’acquisto a stipendi e pensioni l’economia tarda a ripartire.

 

 3) Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?

 

Per prima cosa credo che dovremmo imparare qualcosa dagli errori compiuti, di cui non possiamo sbarazzarci facilmente ma che costituiranno una zavorra sul futuro delle giovani generazioni.Se si guarda ai soli indicatori economici e sociali ed al rimescolamento delle posizioni che sta avvenendo a livello internazionale, se ne trae una sensazione di massima allerta. Tuttavia sta alla politica in situazioni tanto difficili il compito di smussare gli egoismi e di ricondurre situazioni di criticità ad un disegno di bene comune.

La condizione dei giovani e la voglia di buona politica

di Alessandro Rosina

 benecomune.net

Siamo pieni di luoghi comuni sui giovani perché li conosciamo poco e forse anche loro stessi non hanno ancora ben chiaro cosa vogliono e possono fare come persone e come generazione. Quello che è certo è che sono molto insoddisfatti e disillusi. Ma sicuramente non rassegnati, pronti anzi ad entrare in campo ben motivati se solo intravedono spazi e opportunità. Alcuni dati utili per capire la realtà delle nuove generazioni sono offerti da una recente indagine realizzata dall’Istituto Toniolo tramite l’ISPOS arrivata ad intervistare 9000 giovani nel corso del 2012.

 

I temi trattati sono molto ampi e toccano gli aspetti principali della condizione dei giovani, dei loro valori e atteggiamenti oltre che dei progetti di vita. Gli intervistati, tra i 18 e i 29 anni, verranno inoltre seguiti per almeno 5 anni e sarà quindi possibile analizzare le loro scelte formative, lavorative e di conquista di una propria autonomia. I primi risultati, pubblicati su www.rapportogiovani.it, già aiutano a superare alcuni stereotipi. Ad esempio sono ben consapevoli della difficoltà del periodo di crisi e delle ridotte opportunità che offre il mercato del lavoro. Una larga parte reagisce adattandosi al meglio, accettando, pur di non rimanere inoperosi, anche lavori sensibilmente sotto le aspettative. Un under 30 su quattro di dichiara per nulla soddisfatto dell’attuale impiego e solo uno su cinque lo considera pienamente appagante. Circa la metà considera comunque inadeguato lo stipendio che percepisce e per oltre l’45% dei casi il lavoro accettato non è direttamente coerente con il proprio percorso di studi. Non si può quindi dire che lo spirito di adattamento manchi, quantomeno in larga parte di chi cerca comunque di mettersi in gioco. Nonostante le difficoltà, la progettualità e la voglia di realizzarsi dal punto di vista professionale e familiare rimangono alte. Oltre l’80% dei giovani cerca nel lavoro un’opportunità di realizzazione e di indipendenza. Inoltre sono pochi quelli che desiderano avere solo un figlio o meno, mentre la stragrande maggioranza preferirebbe averne due o più. Questo significa che se le nuove generazione fossero messe nelle condizioni, attraverso politiche adeguate maggiormente presenti in altri paesi, di realizzare i propri obiettivi riproduttivi, non avremmo in Italia un problema di denatalità.
Anche sul lato del rapporto con la politica e della partecipazione i risultati non sono scontati. Nel questionario dell’indagine è stato chiesto di dare un voto da uno a dieci alle varie istituzioni. Ne è uscita una bocciatura molto netta, chiaro segnale di un senso di sfiducia generalizzato. I limiti di un paese che non crescere pesano infatti ancor più sulle nuove generazioni rispetto al resto della popolazione, compromettendo non solo il benessere presente ma anche le opportunità future. Il voto verso la classe dirigente non può quindi che essere negativo, sia perché non è stata in grado di valorizzare al meglio risorse e potenzialità che il paese ha, sprecando soprattutto il talento e la voglia di fare dei giovani, ma anche per l’arroganza e l’indisponibilità a rimettersi in discussione e a rinnovarsi.
A fare le spese di questa caduta verticale di credibilità sono soprattutto i partiti. La percentuale di chi ha dato ad essi un voto positivo (maggiore o uguale a 6) è appena pari al 6%. Solo un po’ più alto il consenso verso il Governo (17%), che anche per età anagrafica non è sentito vicino alla realtà delle nuove generazioni. La soluzione non può certo arrivare da un ritorno al passato. I giovani, soprattutto, non si accontentano più di parole e di politiche annunciate, ma, troppo scottati e delusi dall’inadempienza dei governi passati, vogliono toccare con mano risultati e benefici. Delusi e scontenti, quindi, ma non remissivi e rassegnati. Risulta anzi elevata la voglia di esserci e di contare. Il loro consenso sale verso istituzioni e figure sentite più vicine, con le quali è maggiore la possibilità di coinvolgimento e di interazione.
Più che antipolitica emerge una forte domanda di buona politica. Una politica davvero orientata al bene comune, che torni a considerare le nuove generazioni come la ricchezza più importante di un paese e il loro futuro come la principale priorità su cui investire. Ma che dia anche spazi e opportunità ai giovani stessi per poter concretamente far la differenza tra le condizioni di partenza che hanno ereditato e la costruzione di un paese meglio in grado di interpretare e vincere le grandi sfide del loro secolo. Perché questo avvenga è necessario che i giovani possano migliorare la qualità delle propria formazione e trovare possibilità di emergere in un contesto nel quale non dominino nepotismo e cooptazione, ma sia consentito a ciascuno di mettersi in gioco con le proprie capacità e la propria voglia di fare.

 

benecomune.net

La famiglia riscopra una vocazione politica, di cittadinanza attiva

Una «sussidiarietà rovesciata, in cui le famiglie “sostituiscono” lo Stato, non potrà tenere a lungo. La soluzione è riscoprire un welfare plurale e promozionale, una nuova alleanza tra famiglie e stato, in cui la resistenza della famiglia sia sostenuta nella sua “normale fatica della vita quotidiana”».  Sono le parole di Francesco Belletti, Direttore del Cisf (Centro Internazionale Studi Falgilia) di Milano, dal 2009 Presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari e consultore del Pontifico Consiglio per la famiglia.

*Immagine di Freepik

 L’INTERVISTA

1) Dal Rapporto Giovani emerge che i giovani italiani vorrebbero almeno tre figli. E’ un dato atteso o la stupisce?

La differenza tra figli desiderati e figli realmente avuti è una costante degli ultimi decenni, e il Rapporto Giovani conferma che anche le nuove generazioni, interpellate nel pieno di una crisi così dura, nonostante la negatività del clima complessivo, continuano a credere che avere figli – che avere più figli! – sia una scelta positiva, sia un progetto, sia un bel desiderio. E poi si scontrano con una società (politica, fisco, economia, media) che rende la nascita di un figlio un fattore di “rischio povertà”.  Ai giovani spetta mettere in gioco speranza e progetto sul futuro, e la ricerca conferma che i nostri giovani ci stanno, a questo gioco; alla società spetta offrire le condizioni perché questa speranza e questi progetti possano accadere. E su questo è proprio la società a tradire.

2) La crisi morde e le statistiche dicono che il rifugio rimane la famiglia. Ma fino a quando si può contare sulla famiglia?

Le relazioni familiari tengono in modo ancora sorprendente, soprattutto nel nostro Paese, nonostante molti e crescenti segnali di fragilità (nel 2011 ci sono state quasi 90.000 separazioni!). Soprattutto i compiti di cura e solidarietà reciproca vengono assolti con grande tenacia. Anzi, la famiglia getta ponti di solidarietà e reciprocità proprio nelle relazioni tra generazioni, riempiendo un vuoto della società e della politica. Cos’altro è il crescente debito pubblico, se non un tradimento rispetto al patto di solidarietà con le generazioni future? Se il Paese oggi spende più di quello che produce, oggettivamente scarica il debito sui propri figli, sul proprio futuro. Invece proprio in famiglia le generazioni giovani di fatto possono contare sui propri genitori e sui propri nonni per costruire il proprio futuro, o anche per superare un presente di precarietà lavorativa, di scarse politiche di promozione, di impoverimenti dell’offerta formativa istituzionale.Però questa “sussidiarietà rovesciata, in cui le famiglie “sostituiscono” lo Stato, non potrà tenere a lungo. La soluzione è riscoprire un welfare plurale e promozionale, una nuova alleanza tra famiglie e stato, in cui la resistenza della famiglia sia sostenuta nella sua “normale fatica della vita quotidiana”. Ad esempio, un fisco a misura di famiglia proteggerebbe tante famiglie dal rischio povertà.

3) Cosa manca veramente a sostegno della famiglia?

Oggettivamente non si può non partire dalle colpe della politica, nel campo delle politiche familiari. Solo quest’anno, il 7 giugno 2012, per la prima volta il Governo – paradossalmente un Governo “non politico” – ha approvato un “Piano nazionale per la famiglia”, un documento organico che afferma che le politiche familiari non sono un’azione residuale, su categorie ristrette, ma devono diventare una priorità nell’agenda dello sviluppo del Paese. Peccato che dal Piano sia stata totalmente cancellata la riforma del sistema fiscale (parte essenziale di una politica familiare concreta), e che nel Piano non siano indicati né i tempi né le risorse di attuazione delle varie e appropriate linee di azione. Per decenni i pubblici poteri hanno “sfruttato” la famiglia, senza sostenerla; ora è tempo di restituire alla famiglia quel sostegno che la famiglia ha sempre garantito al bene comune, ponendosi come un insostituibile capitale sociale del Paese.Però qualcosa si può e si deve chiedere anche alle famiglie: occorre che ogni famiglia riscopra per sé una vocazione politica, di cittadinanza attiva, diventando un soggetto della vita pubblica, anche a livello della comunità locale. Occorre farsi sentire di più, come famiglie, come associazioni familiari, per fare pressione sulla politica, perché investa finalmente sulla famiglia. Occorre cioè una nuova cittadinanza attiva da parte di ogni famiglia, e le associazioni familiari hanno davanti a sé questo grande compito di mobilitazione e rappresentanza.Non dimenticherei che l’attenzione alla famiglia deve crescere anche negli altri attori sociali; in particolare il sistema delle imprese, i sindacati, il mercato devono uscire da una logica settoriale, e riconoscere la famiglia come un soggetto di pari dignità, e lo spazio di vita familiare come un luogo da cusotidre e promuovere, proprio perché è anche un attore economico, al cui interno si decidono scelte di consumo, di risparmio, di lavoro. Vorrei più sindacati a chiedere politiche familiari, e più imprenditori a promuovere condizioni di lavoro capaci di conciliare vita familiare e vita lavorativa. Sono certo che ne guadagnerebbe ogni impresa, la tutela dei lavoratori, il sistema Paese.

4) E i giovani che devono fare famiglia?

Anche per le nuove generazioni si apre un tempo di responsabilità: a loro toccherà costruire – o forse ri-costruire – questo Paese, attraverso il loro lavoro, il loro coraggio, la loro capacità di generare famiglie, figli, opere, imprese e progetti. Però questo nuovo protagonismo esige un vero e proprio nuovo Patto sociale, che finalmente metta al centro della politica e delle scelte del Paese una generazione che troppo spesso è quasi “invisibile”. Il Rapporto Giovani, in questo senso, potrà essere un prezioso strumento per dare voce ai giovani di fronte alla pubblica opinione e a chi ha responsabilità pubbliche. Non sprechiamo questa occasione.

La crisi morde, ci si rifugia nella famiglia

 Fonte Ansa

 

ROMA -La soddisfazione per le proprie condizioni di vita, complice la crisi, cala e gli italiani si rifugiano nella famiglia e nei rapporti di amicizia.  E’ il quadro che emerge dall’indagine Istat su ‘Deprivazione e soddisfazione, aspetti di vita quotidiana’ secondo cui “si riscontra una contrazione del livello di soddisfazione per la vita in generale, mentre aumenta per alcuni ambiti rilevanti della vita quotidiana, come le relazioni familiari e amicali”. Anche la soddisfazione per il tempo libero cresce, mentre peggiora quella per la situazione economica personale e familiare. Secondo l’indagine, nel 2011 sono aumentate le famiglie che dichiarano di non poter sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 33,3% al 38,4%), di non potersi permettere una settimana di ferie all’anno (dal 39,8% al 46,5%) o, se lo desiderassero, un pasto con carne o pesce ogni due giorni (dal 6,7% al 12,3%), nonché quella di chi non può permettersi di riscaldare adeguatamente l’abitazione (dal 11,2% al 17,9%). In compenso, il 91% degli intervistati si dichiara soddisfatto per le relazioni familiari (il 36,8% lo è molto): per le relazioni amicali tale quota è pari all’84,0%, con il 26,6% di molto soddisfatti.

SODDISFAZIONE ITALIANI IN CALO, E’ APPENA SUFFICIENTE – La soddisfazione per le proprie condizioni di vita è per gli italiani appena sufficiente. L’Istat ha chiesto a 19 mila famiglie per un totale di circa 48 mila individui:”quanto si ritiene soddisfatto della sua vita nel complesso?”. Potendo indicare un voto da 0 a 10 il risultato é stato pari a 6,8 (era 7,1 nel 2011). Rispetto al passato sono aumentati i divari territoriali e sociali nella diffusione del benessere soggettivo. La flessione è più intensa tra gli strati sociali e nei territori che già facevano rilevare livelli più bassi della soddisfazione per la vita nel complesso.

 

Fonte Ansa

Ancora brutte notizie sull’occupazione giovanile in Italia

 A settembre, i disoccupati sono saliti a 2,774 milioni, il peggior dato di sempre. Cresce anche la disoccupazione giovanile: è al 35% in aumento di 1,3 punti percentuali. A settembre il tasso di disoccupazione nella fascia d’età 15-24 anni (dato provvisorio e destagionalizzato), ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è stato pari al 35,1% in aumento di 1,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 4,7 punti nel confronto tendenziale.

L’Europa, via di fuga e riferimento ideale per i giovani

 

Fonte Radio1

 

Mentre le misure d’austerity imposte a Spagna e Grecia per uscire dalla crisi spingono i cittadini di questi paesi a non credere più nell’Europa unita e soprattutto nell’Eurozona, i giovani italiani vanno in controtendenza. La ricerca dell’Istituto Toniolo evidenzia come nel nostro Paese chi ha tra i 18 ed i 29 anni non ha più fiducia nella politica e nelle istituzioni interne. Si “salvano” solo il Presidente della Repubblica e l’Unione Europea che risultano i punti di riferimento più “solidi” con il 35 e il 41% delle preferenze. Ne hanno  parlato Alessandro Rosina, professore di Demografia all’Università Cattolica di Milano e Antonio Tajani, Vicepresidente della commissione Europea a “Prima d tutto”, il programma di informazione Un programma della Direzione di Radio1 e del Giornale Radio Rai (minuto 52.38).
 

 

Fonte Radio1

I costi della generazione Neet-In Italia si perde il 2% del Pil

Fonte Repubblica.it

 

In Europa 14 milioni di giovani non studiano né lavorano. Dai dati dell’istituto Eurofound una stima delle conseguenze negative in termini di perdita economica: 153 miliardi di euro, l’1,21 % del prodotto interno lordo di tutta l’Ue. E nel Belpaese le cose vanno peggio che altrove.

 

di MARCELLO LONGO

 

MILANO – Una moltitudine di giovani inattivi, apatici per scelta o per mancanza d’alternative. Con un peso non indifferente sullo scenario economico che li circonda. Se fosse integrata nel tessuto sociale e produttivo, la generazione Neet – quella che non studia, non lavora e non fa nient’altro (Not in Education, Employment or Training) – contribuirebbe a far crescere dell’1,2% il Pil del Vecchio continente e di circa il 2% quello italiano.

Fonte Repubblica.it

Fonte Eurofound

Nando Pagnoncelli

“In Italia un’analisi di questo tipo sui giovani non è mai stata realizzata”. A dirlo è Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Srl, partner operativo dell’Istituto G. Toniolo nella rilevazone dei dati per il Rapporto Giovani.  Per Pagnoncelli l’indagine non vuole essere una semplice fotografia del mondo giovanile ma ha l’ambizione di fornire un’interpretazione diacronica del mondo dei giovani.

 

L’Intervista

Sul mondo dei giovani sono diverse le ricerche in atto. Il Rapporto Giovani in che cosa si distingue dalle altre e che valore aggiunto può dare alla conoscenza del mondo giovanile?

 

 Rapporto Giovani nasce dall’ambizione di fornire un’interpretazione che potremmo definire diacronica del mondo dei giovani. Non una semplice fotografia del qui ed ora ma un’osservazione di lungo periodo: un’analisi longitudinale della durata minima di 5 anni di un campione di ragazzi dai 18 ai 29 anni. Si è scelta questa fascia di età per cogliere, nel corso del tempo, tutti i più importanti passaggi biografici dei nostri ragazzi: dalla scelta di proseguire o meno negli studi all’ingresso nel mondo del lavoro; dall’abbandono della famiglia di origine alla nascita del primo figlio e così via.

I punti di forza sono molteplici, primo fra tutti l’imponente dimensione campionaria (9.000 ragazzi rappresentativi di tutti i giovani italiani in quella stessa fascia d’età). Il valore aggiunto di questa indagine risiede nel monitorare costantemente i cambiamenti di vita dandone una motivazione sia di tipo congiunturale che valoriale.

Non nego che questa rilevazione rappresenta anche una sfida complessa e inedita che Ipsos ha prontamente raccolto con la consapevolezza di doverla affrontare ai massimi livelli sia dal punto di vista metodologico che sotto l’aspetto organizzativo.

 

 Le analisi proposte, a partire dalle rilevazioni effettuate, saranno un utile strumento per intervenire con politiche giovanili ed educative a lungo termine. In che modo questa ricerca garantisce un risultato nel tempo?

 

 I risultati che stanno emergendo ed emergeranno nel corso dei prossimi anni saranno certamente utili per supportare o stimolare politiche giovanili a lungo termine. Questa la ragione della scelta della longitudinalità dell’analisi. E non solo. L’ingente dimensione campionaria, accompagnata dall’autorevolezza delle analisi effettuate dal team dell’Istituto Toniolo, consentono di scendere ad un livello di dettaglio per macro aree geografiche in modo da poter fornire risposte specifiche alle diversità regionali che da sempre caratterizzano il nostro Paese.

Ma ne vedo anche un’utilità decisamente più immediata: sfatare alcuni luoghi comuni che in questi ultimi anni stanno contribuendo a definire un’immagine forse eccessivamente distorta dei nostri ragazzi. Le interessanti analisi che il Professor Alessandro Rosina ha avuto modo di esporre, grazie all’osservazione del nostro campione di giovani, vanno esattamente in questa direzione. Il Professore sostiene fermamente che “il bollo di sfigati, mammoni e bamboccioni è decisamente troppo” è letteralmente “una beffa” che va ad aggravare la già difficile condizione dei giovani che, come dichiarano nella nostra indagine, sono “costretti” a tornare nella casa della famiglia d’origine a causa delle difficoltà economiche che non riescono a superare. L’indagine può quindi aiutare tutti ad avere un punto di vista meno stereotipo sui giovani.

 

In Italia manca da tempo un’analisi simile …

 

Credo proprio che si possa dire che in Italia un’analisi di questo tipo sui giovani non sia mai stata realizzata. Le rilevazioni dell’istituto IARD avevano intenti simili ma ormai l’ultimo rapporto pubblicato risale a qualche anno fa. Un’altra delle innovazioni apportate dall’analisi longitudinale è la costruzione di un panel all’interno del quale convogliano i 9.000 ragazzi intervistati. Il panel verrà interrogato periodicamente proprio per monitorare i cambiamenti dando loro una spiegazione.

 

 

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