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Eredi&Innovatori: la storia di Lidya

Lidya SIMOVA è Rappresentante del Parlamento bulgaro presso il Parlamento europeo. Originaria di Sofia, nel 2004 si è trasferita a Milano per iscriversi alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica a Milano. La sua carriera inizia nel 2014 quando inizia a lavorare come esperto presso la Commissione sugli Affari europei nell’Assemblea Nazionale della Bulgaria. Nell’inverno del 2017 ha fatto parte del gabinetto del vice-primo ministro responsabile per la preparazione del Semestre della Presidenza bulgara del Consiglio dell’UE, nel governo di transizione, per poi trasferirsi definitivamente a Bruxelles, nel suo ruolo attuale. Lidya è intervenuta lo scorso 19 aprile al Convegno per la Giornata per l’Università Cattolica. Per l’occasione le abbiamo chiesto:

Che cosa significa essere erede e che cosa innovatore? E nel lavoro?

Si deve sempre cercare l’equilibrio tra il passato con le sue lezioni, la sua esperienza e direi anche il suo comfort e il futuro con le innumerevoli possibilità, alcune ancora sconosciute e i rischi associati. Per me è normale, anzi auspicabile, che i giovani siano innovatori, che cerchino di sperimentare e di costruire un futuro migliore. Se non lo fanno loro, chi altro potrebbe? Questo vale sia nel lavoro che nella vita in generale.

Come si raggiungono i risultati che lei ha già conquistato? Quali sono gli ingredienti immancabili?

Innanzitutto, studiare e lavorare. Senza la base essenziale di sapienza (nel senso di knowledge) e di etica lavorativa non si possono aspettare dei risultati. Poi c’è il senso di responsabilità – una volta accettato un lavoro, ho sempre cercato di farlo al meglio, che si tratti di lavorare nel call center o nel parlamento, e questo è stato di solito notato e premiato. Ogni tanto si fanno degli errori, ed è normale, però l’attitudine giusta è ammetterli e prenderne nota, non cercare dei colpevoli o nascondersi dietro gli errori altrui.

Come gli studi universitari stanno favorendo il suo lavoro politico?

Da un lato ci sono i corsi universiatri che mi hanno dato la base fondamentale per svolgere il mio lavoro oggi. Uno non può fare analisi politiche o esaminare disegni di legge senza conoscere la storia, l’economia, il diritto dell’Europa o senza saper scrivere e esprimere in modo chiaro il proprio pensiero. Poi anche nel lavoro capitano le situazioni quando devi leggere un articolo o un verbale di cento pagine e hai pochi giorni a disposizione, un po’ come prima degli esami. E la qualità più importante per me è proprio la capacità di individuare quel nucleo di informazione importantissima, l’essenza di queste centinaia di pagine e “distillarlo” in cinque pagine, per esempio, ed è proprio questo che si impara durante il percorso universitario.

Che cosa suggerirebbe a un giovane laureando e a una giovane matricola?

Alle matricole suggerisco, anzi raccomando: studiate bene! Guardate attentamente i corsi che avete scelto – vi interessano i temi di cui si parla durante le lezioni? Vi ispirano? Se la risposta è no, se vi siete iscritti ad un corso puittosto che ad un altro per la volontà dei genitori, per stare insieme a degli amici o qualsiasi altra ragione che non c’entra con la materia vera e propria del corso, allora forse è meglio ripensare, cambiare il corso. Investire il proprio tempo e i propri soldi in un corso che non interessa ma che si spera porti dei soldi dopo la laurea è, per me, troppo rischioso. Nessuno sa veramente come sarà il mercato di lavoro tra 3 o 5 anni. Viviamo in un mondo che cambia così velocemente, che è assolutamente inutile fare dei prognosi. Perciò scegliete delle materie che vi interessano – alla fine così imparerete molto di più! E poi il mio suggerimento per i giovani laureandi è: non aspettate di trovare il posto di lavoro perfetto subito dopo la laurea! Questa era la regola per la generazione dei nostri genitori ma non lo è più e non lo sarà mai più. Il nostro destino, ci piaccia o no, e studiare e reinventarsi per tutta la vita. Siate corraggiosi, sperimentate, magari ci sono dei lavori a cui non avete mai pensato e in cui sareste bravi. Poi si può sempre imparare qualcosa, anche nei lavori non tanto affascinanti. Non rinunaciate ai vostri sogni ma intanto non sprecate il vostro tempo. Se siete diligenti, il vostro momento arriverà.

L’estero o l’Italia: che cosa c’è all’orizzonte?

Per adesso per me c’è Bruxelles, almeno fino a dicembre quando scade il mio contratto alla fine del Trio Presidenziale – i semestri di Estonia, Bulgaria e Austria. Poi si vedrà – mi manca un po’ l’Italia (è da 7 anni che non ci vivo più quì) ma anche il mio paese con la famiglia e gli amici. La scelta facile sarebbe di tornare a Sofia e continuare il mio lavoro nel parlamento bulgaro. Allo stesso tempo mi piacerebbe cambiare un po’ la scena e magari andare in un terzo paese. Vivere all’estero arrichisce tantissimo, è una delle esperienze più belle che tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita. Poi non è detto che si rimanga per sempre, i nomadi di oggi non sono gli emmigrati dell’inizio del secolo che partivano e poi magari tornavano solo dopo 20 anni. Sono convinta che neanché il Belgio sarà l’ultimo paese in cui vivrò in vita mia.

I giovani italiani tra voglia di protagonismo e disillusione. Il 73,8% crede ancora nell’impegno sociale

In tutte le librerie è stato distribuito il Rapporto Giovani 2018 curato dall’Istituto Toniolo con il sostegno della Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo. Ci sono certamente elementi di rassegnazione, disillusione e distacco, ma emerge l’energia con la quale il 73,8% degli intervistati ritiene che sia ancora possibile impegnarsi in prima persona nella società. Essa si accompagna a quella maggioranza del 67,7% positivamente predisposta al cambiamento. Sotto la lente d’ingrandimento del RG2018 gli snodi principali della transizione alla vita adulta: il lavoro, l’autonomia e le scelte di vita a partire dalla scuola e dalla formazione. Il filo conduttore in questa edizione sono i valori, nella loro accezione più ampia: i valori in salute e quelli declinanti; i sistemi formativi e di orientamento; l’importanza delle soft skills; la domanda di rappresentanza e orientamento politico; la vita nella rete e i disvalori dell’hate speech; l’immigrazione e multiculturalismo; la coppia e la genitorialità; la fede e i valori religiosi.
Il tema dell’immigrazione fornisce significativi elementi per comprendere come gli under 35 si relazionino con le dinamiche sociali del nostro Paese. Oltre il 70% dei giovani intervistati ritiene che l’atteggiamento generale degli italiani nei confronti degli immigrati sia prevalentemente diffidente e ostile. Nel confronto con la rilevazione del 2015 il dato si impenna: in quell’anno, infatti, la stessa percezione riguardava il 57%. È interessante anche notare come la gran parte dei rispondenti esprima comunque una opinione e come solo il 4,9% se ne astenga. Inoltre, in condizioni di scarsità di lavoro di cui soffrono soprattutto le nuove generazioni, i giovani tendono ad assumere un atteggiamento protezionistico: la maggioranza (soprattutto nelle classi sociali più deboli) ritiene che l’immigrazione dovrebbe essere gestita in modo da non entrare in competizione con le condizioni di lavoro di chi già è in Italia. In particolare, più del 60% ritiene che i datori di lavoro dovrebbero prendere in considerazione l’offerta di lavoro degli italiani prima di valutare quella degli immigrati (62,6%), a fronte del 37,4% che si dichiara in disaccordo con questa affermazione. Il timore della concorrenza lavorativa degli immigrati non risulta comunque più forte rispetto al prolungamento della permanenza dei lavoratori più anziani e alla crescente automazione nei processi produttivi. Esiste quindi una preoccupazione generale sull’impatto dei cambiamenti demografici, sociali e tecnologici rispetto alle opportunità di lavoro, che spinge i giovani con capitale umano più debole verso posizioni difensive. Inoltre, se si considera l’atteggiamento verso gli stranieri regolari presenti in Italia, si ottiene una valutazione largamente positiva (solo uno su tre pensa che la loro presenza peggiori la sicurezza e l’economia del paese).
La “vita nella rete” è un altro grande tema indagato dal Rapporto. I giovani sono sempre connessi, ma in maniera autonoma e attenta, e con una chiara tendenza a rifiutare ogni forma di violenza e di odio. In particolare, rispetto alle cause del fenomeno hate speech, gli intervistati ritengono che l’odio in rete sia collegato, in qualche modo, alle tensioni che circolano all’interno della società. Lo afferma, infatti, (somma delle modalità «Molto d’accordo» e «Abbastanza d’accordo») il 61,2%. Le percentuali di accordo significativo sul fatto che esprimere l’odio in rete possa essere considerata una forma socialmente accettabile in cui incanalare l’espressione dell’odio e del risentimento sono molto basse (12,2%). Le percentuali si alzano lievemente quando si tratta di prendere posizione sul fatto che esprimere online atteggiamenti negativi verso l’altro possa in un certo senso sublimare la violenza sottraendola alla vita reale. Sono infatti d’accordo con questa affermazione il 19,9% dei giovani italiani. Questo non significa, però, che l’hate speech sarebbe, alla fine, «solo parole», quindi un fenomeno di cui non preoccuparsi affatto. Che si tratti di mero flatus vocis lo pensa solamente il 16,1% dei giovani italiani.
Dal RG2018 emerge, inoltre, la visione complessa e disomogenea dei giovani nei confronti della politica. Coloro che hanno espresso una vicinanza alta e convinta per almeno un partito sono il 35,1% del totale. Quelli che non si sentono così vicini ma esprimono un interesse potenziale per una forza politica sono il 24,2%. Mentre i disaffezionati, ovvero coloro che si sentono lontani da tutta l’offerta in campo sono il 40,7%. Nonostante l’attuale quadro poco incoraggiante, il 73,8 percento degli intervistati si dichiara convinto che sia ancora possibile impegnarsi in prima persona per cercare di far funzionare meglio le cose in Italia.
Il Rapporto mette anche a confronto i giovani italiani e i coetanei europei nel quadro delle aspirazioni professionali e come ritengano di poterle realizzare: sono i tedeschi (39,6%) e gli spagnoli (36,7%) a esprimere maggiori certezze su ciò che intendono realizzare nel loro futuro professionale, mentre si dichiarano certi del loro destino il 31,3% dei britannici, il 28,8% dei francesi e meno di 1 italiano su 4 (22,5%). Viceversa, i nostri giovani spiccano (40,7%) insieme a spagnoli (35,3%) e francesi (33,6%) tra quelli che dichiarano di avere sì delle aspirazioni professionali definite, ma non sanno se riusciranno a realizzarle. La compagine degli «indecisi tra alternative possibili», decisamente più ridotta, vede al primo posto gli inglesi (16,8%). Più preoccupante è il caso dei giovani disorientati, quelli che non hanno alcuna idea rispetto a un possibile percorso professionale o che non ci vogliono nemmeno pensare, che rappresentano insieme una quota consistente degli intervistati italiani (26,8%), francesi (25,4%) e britannici (23,4%).
Un altro aspetto che emerge dall’indagine è il modo con cui i giovani si pongono di fronte all’esperienza religiosa e alla trascendenza, che sta subendo profonde trasformazioni. Viene rivelata, infatti, una sensibilità religiosa non spenta, ma attutita. Si è di fronte a un «fai da te» in cui prevale la ricerca di benessere e armonia interiore. L’oggettività di un’esperienza religiosa, che fa i conti con regole, gerarchie e riti viene rifiutata. Alla domanda «Lei crede a qualche tipo di religione o credo filosofico?», le risposte si raccolgono attorno a due opzioni: quella della religione cattolica (52,7%) e quella di chi dichiara di non credere a nessuna religione (23%). Anche la frequenza ai riti conferma la distanza dei giovani dall’esperienza religiosa: coloro che dichiarano di frequentare la Chiesa una volta a settimana sono l’11,7%. Il 53,8% è costituito da frequentatori occasionali: il 20,2% partecipa a una funzione religiosa qualche volta l’anno oppure in particolari circostanze. Il 25,1% non partecipa mai.

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Quali sono gli indicatori sintetici di istruzione e di inclusione?

 

A cosa serve la scuola?

Quali sono le tue aspirazioni per il tuo futuro professionale?

Il Rapporto Giovani 2018 è in libreria!

Il filo conduttore della quinta edizione del Rapporto Giovani è costituito dai valori, nella loro declinazione più ampia. Oltre ad aggiornare il quadro sulla condizione delle nuove generazioni, su come affrontano gli snodi della transizione alla vita adulta e le implicazioni sociali ed economiche che ne conseguono, la ricerca annuale condotta dall’Osservatorio dell’Istituto Toniolo continua a essere il principale riferimento empirico sul mondo giovanile. Asse portante ne sono i dati della principale indagine nazionale su desideri, atteggiamenti e comportamenti degli under 35. La prospettiva longitudinale, la dimensione internazionale, la combinazione tra survey rappresentative e social media data ne fanno un luogo privilegiato di riflessione sulla realtà complessa e in continuo mutamento dei giovani italiani ed europei.

Il Rapporto Giovani 2018, edito da Il Mulino, è in vendita nelle librerie di tutta Italia.

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Eredi&Innovatori: la storia di Abdoulaye

ABDUL MBODJ, AVVOCATO

Abdoulaye Mbodj è intervenuto lo scorso 19 aprile al Convegno per la Giornata per l’Università Cattolica. Ha 33 anni e è originario di Dakar (Senegal). Vive in Italia dal 1991 con la famiglia. Laureato a pieni voti in Diritto Commerciale, oggi è il primo africano iscritto all’albo degli avvocati di Milano.

Che cosa significa essere erede e che cosa innovatore? E nel lavoro?

Per me essere erede significa ricevere gli insegnamenti ma non custodirli in modo acritico ma rielaborare l’insegnamento affinché sia interiorizzato e fatto proprio. La tradizione arriva dal passato ma per essere interessante deve aiutare a vivere il presente. Una ripetizione meccanica di parole, gesti, valori, non può tenere e nel tempo si dimostra inefficace e perdente. Se ciò che ti arriva dalla tradizione non viene messo in gioco oggi, se non è utile per vivere il presente, rimane una forma che soffoca e non fa crescere la personalità. Ereditare non significa ripetere identicamente l’esperienza acquisita. Quando si eredita non si acquisisce una copia da riproporre meccanicamente, ma si genera una cosa nuova (innovare). Riguadagnare qualcosa significa farlo proprio, riformularlo dentro un cammino personale. Anche nel lavoro.

Come si raggiungono i risultati che lei ha già conquistato? Come si superano gli ostacoli?

I risultati si raggiungono con tre ingredienti preziosi: fatica, perseveranza e cuore. Sono un mix essenziale. Fatica poiché tutti gli obiettivi sono come una camminata di trekking sulle Dolomiti: ci sono momenti difficili ma quando si raggiunge la meta, la soddisfazione è doppia. Perseveranza: è la molla che spinge a mantenere la costanza nell’impegno finalizzato a raggiungere l’obiettivo. Cuore: essere fedeli al proprio obiettivo e cercare di raggiungerlo con le proprie forze. Nel percorso molte volte ci sono cadute dalle quali è fondamentale rialzarsi e ripartire con vigore.

Come gli studi universitari stanno favorendo la sua professione?

Gli studi di Giurisprudenza svolti in Università Cattolica sono stati fondamentali nel mio percorso professionale: ho trovato professori di altissimo profilo (con i quali sono tuttora in contatto) che mi hanno insegnato il metodo, il rigore durante i cinque anni di Giurisprudenza (2004-2009). Durante gli anni universitari ho avuto la conferma che la mia strada sarebbe stata quella della libera professione forense. E’ stato fondamentale coniugare l’aspetto giuridico con quello umano. Questa caratteristica mi è rimasta anche a livello professionale: infatti cerco sempre di coniugare la professione forense con le istanze umane ed etiche, ragion per cui prediligo occuparmi, come avvocato, nel settore della consulenza legale, di fondazioni sociosanitarie che gestiscono le case di riposo, Aziende Speciali che erogano servizi socio-assistenziali ed Enti pubblici che erogano servizi pubblici essenziali. Mi permette di preservare “l’umanità” nell’esercizio della libera professione forense.

Che cosa suggerirebbe a un giovane laureando e a una giovane matricola?

A un giovane laureando consiglio di ricercare la concretezza appena si imbatte nel modo del lavoro. L’Università è fondamentale per imparare un metodo teorico che deve poi essere calato alla realtà. Per chi dopo la laurea in Giurisprudenza sceglie la libera professione forense di avvocato, ricordo sempre che, in fondo, l’avvocato è colui che ogni giorno ha un problema concreto e deve fornire una soluzione altrettanto concreta.
A una giovane matricola consiglio di perseverare a rincorrere i propri sogni e di scegliere la facoltà che piace a prescindere dalle statistiche del mercato del lavoro e delle opportunità di lavoro future. La realtà è assai mutevole negli anni. In cinque anni la società varia molto…
 
Che cosa significa per lei vivere in un Paese che non è quello natale?

Per me non è stato difficile in un Paese diverso da quello dal quale provengo. In Italia sono sempre stato accolto bene: dalle scuole elementari all’Università. Sono cresciuto in un ambiente caratterizzato dalle radici cristiane, pur essendo di religione musulmana. Ho sempre frequentato l’ambiente dell’oratorio “Casa del Giovane” di Casalpusterlengo. La mia città, Casalpusterlengo, mi ha sempre voluto bene e viceversa. In Università ho passato anni bellissimi che custodisco tutt’ora come un dono.

Eredi&Innovatori: la storia di Annalisa

Annalisa è intervenuta lo scorso 19 aprile al Convegno per la Giornata per l’Università Cattolica. Ha 28 anni, di Pavia, e ha vinto la seconda edizione del Fellowship Program UNOG dell’Istituto Giuseppe Toniolo. In particolare, ha svolto uno stage negli uffici ginevrini della Missione Permanente della Santa Sede, presso le Nazioni Unite. Da gennaio 2016 lavora alla IOM, dove si occupa del progetto “Migration Governance Indicators” (MGI). Lo scopo del progetto è sostenere gli Stati che valutano uno stato e l’esaustività della loro politica migratoria attraverso una serie di indicatori.

Che cosa significa essere erede e che cosa innovatore? E nel lavoro?
Mi piace questa parola “erede” perché la collego al concetto del “tesoro” che si riceve gratuitamente, senza “esserselo meritato”, è un dono.
Per me essere erede è fare memoria del fatto che non siamo soli, nel senso che non ci siamo fatti da noi dal nulla, che prendiamo in consegna quanto fatto da altri sino qui e che dobbiamo quello che abbiamo ad altri, che per noi hanno costruito. È un sano atto di realismo e di umiltà che nel lavoro ci permette di continuare ad imparare dagli altri e soprattutto da chi ha più esperienza, sempre senza sentirci arrivati. Io, in questo senso, mi sento una ricca ereditiera, erede di molti perchè non costruisco dal nulla, ma ho ricevuto molto e ho delle fondamenta più grandi di me. L’innovazione, invece, se guardo alla mia esperienza, nasce sempre dall’osservazione della realtà, non vive nell’iperuranio nella mente del signolo genio, ma è legata alle necessità e al desiderio di trovare risposte ai bisogni di cui la realtà ci parla ora. Inoltre, una volta che l’idea innovativa viene concepita, occorre che sia sviluppata e portata avanti perché diventi qualcosa di reale e questo non risiede nelle capacità di un singolo, è una cosa che si fa “insieme”. Nel mio lavoro questo è evidente, si può lavorare con lo scopo di emergere a tutti i costi o si può lavorare per costruire qualcosa di nuovo e utile di cui magari non si raccoglieranno direttamente i frutti ma che può far fare un piccolo passo in avanti per tutti.
In questo senso penso che oggi, in un mondo cosi individualista e dove la carriera e la ricerca del successo del singolo sembrano essere l’unico motore del lavoro, per me essere innovatore coincide con l’essere erede, con il ripartire non da un “io” esasperato ma da un “noi”, da un senso del sociale e del bene comune che supera gli egoismi e l’interesse del singolo.
Che cosa ha potuto imparare nella sua prima esperienza ginevrina?
Sono arrivata a Gineva tramite il progamma “Fellowship UNOG” dell’Istututo Toniolo nel 2015 per un’esperienza presso la Missione Permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite. Sono stati 11 mesi intensi e fondamentali che mi hanno permesso di vedere da vicino il mondo della diplomazia e delle organizzazioni internazionali e poter finalmente capire sul campo, al di fuori dei libri, la realtà di questo lavoro. In quesi mesi, lavorando accanto a professionisti capaci e umanamente attenti, ho iniziato a mettere a fuoco meglio cosa mi sarebbe piaciuto fare nella vita e quale potesse essere il mio posto. È stato proprio tramite questa esperienza e l’incontro con queste persone che è maturato in me l’interesse per le migrazioni, non come oggetto di disputa politica quale è oggi, ma come fenomeno umano.
Come gli studi universitari la stanno sostenendo nel far fronte alla grande problematica delle migrazioni, che oggi la vede in prima linea?
L’università mi ha aperto la testa, mi ha preparata a guardare in modo critico a fenomeni complessi quali quello migratorio senza la fretta di emettere sentenze. Mi ha insegnato che le cose che riguardano l’umano non sono “problemi da risolvere”, ma realtà innanzitutto da capire e da affrontare, legandole al contesto specifico.
In particolare all’ Università ho studiato per cinque anni lingua e cultura araba con dei professori davvero eccezionali e che hanno acceso in me un interesse genuino ed entusiasta per ciò che è “altro” da me, lungi dal qualunquismo che appiattisce tutto e dice che in fondo siamo tutti uguali. Certo, abbiamo tutti gli stessi diritti, ma, grazie al cielo, siamo diversi, “io sono io e tu sei tu”. Questo è una sfida e una ricchezza allo stesso tempo.
Può sembrare una constatazione banale questa (“io sono io e tu sei tu”) ma è un punto cruciale se si pensa ai migranti. Dal mio punto di vista è sbagliato dire che non c’è differenza o che “non ci sono problemi” con i migranti tanto quanto dire che i migranti sono il male. Scartare una delle facce della medaglia, la sfida – e quindi la fatica -, o la ricchezza – e quindi la positività di questa realtà -, è un di meno che non aiuta a risolvere la questione ma fornisce solo una scusa per chi vuole lavarsene le mani in un senso o in un altro.
Ci tengo anche a dire che sono molto grata all’Università Cattolica perchè mi ha sempre sostenuta nelle mie scelte, dandomi la possibilità – grazie alle borse di studio – di fare esperienze all’estero e di studiare in altre università prestigiose come Stanford o di trovare stage che mi portassero dove sognavo di andare, come il programma “Design your career” e la Fellowship UNOG dell’Istituto Toniolo. Mi sento di poter dire che qui si investe veramente nei giovani, dando loro strumenti concreti per diventare protagonisti del loro futuro.
Che cosa suggerirebbe a un giovane laureando e a una giovane matricola?
Vorrei dirgli di non avere paura. Non avere paura di rischiare e non avere paura di fallire.
Il mio curriculum vitae sarebbe lungo il triplo se vi inserissi tutte le borse di studio per cui ho fatto domanda senza poi vincere, i posti di lavoro per cui ho fatto il colloquio senza che la posizione fosse assegnata a me, le decine di application e di email con il mio cv mandate a cui non ho ricevuto alcuna risposta. È successo e continuerà a succedere. E va bene cosi, è cosi per tutti, non sei tu che sei sbagliato è solo che quella, ora, non è la tua strada. Non perdere tempo a lementarti o a compiangerti. Predi atto della realtà e ricomincia a guardare a te stesso con tenerezza e fiducia, non svalutarti. Se ripenso alla mia strada, le cose in cui non sono riuscita hanno contribuito non meno di quelle in cui sono riuscita a farmi arrivare fino a qui e sono sicura che mi indicheranno la via da seguire anche in futuro.
Tornerebbe in Italia?
Per chi sceglie una facoltà come Relazioni Internazionali è implicita una scelta circa l’orientamento internazionale della propria carriera. Mentre forse per altre facoltà o mestieri l’idea dell’estero nasce grazie a delle opportunità che si creano o per necessità, per chi desidera fare questo lavoro è una scelta praticamente implicita quando ci si iscrive all’università (lo è naturalmente in maniera più o meno cosciente).
Il lavoro,però,serve alla vita e non la vita per il lavoro, e ci sono molte altre considerazioni per cui potrei decidere di tornare in Italia: sicuramente perché sono italiana e del mio Paese amo un po’ tutto (pregi e difetti) e ho il desiderio di poter dare prima o poi un contributo concreto al suo miglioramento, e, soprattutto, perché non sono sola, sono sposata con Mattia, e ancora non sappiamo dove il nostro desiderio di stare insieme ci porterà.

Eredi&Innovatori: la storia di Tommaso

Tommaso Migliore, CEO & founder di MDOTM, si è laureato alla Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica.

La sua startup è stata l’unica dell’universo fintech ad essere selezionata, in tutta Europa, da Google for Entrepreneurs per partecipare a Blackbox Connect, un programma di accelerazione in Silicon Valley che mette in contatto eccellenze da tutto il mondo con mentori, esperti di settore e investitori per supportarle nella crescita.

Tommaso è intervenuto lo scorso 19 aprile al Convegno organizzato, nella sede dell’Ateneo milanese, in occasione della Giornata per l’Università Cattolica.


Che cosa significa essere erede e che cosa innovatore?

Innovazione non è sempre e solo sinonimo di invenzione, molto più spesso è evoluzione. Con il mio lavoro mi trovo a essere erede e innovatore allo stesso tempo: procedo sulle spalle dei giganti, di chi mi ha preceduto e cammino sulle mie gambe costruendo un’impresa che è partita due anni fa da un foglio di carta. La verità è che voglio dire la mia e aggiungere qualcosa di diverso e nuovo a un universo che già esiste.


Come si fa innovazione nel mondo della finanza?

Nel mio campo professionale, quello finanziario, l’innovazione passa dai processi, dalla tecnologia, dall’efficienza. Un’industria che gestisce il risparmio delle persone esiste da millenni, quello che facciamo noi oggi è mettere nelle mani di chi gestisce strumenti nuovi che analizzano i mercati e aiutano a investire sfruttando l’intelligenza artificiale e l’enorme potenza di calcolo che oggi abbiamo a disposizione e che possiamo applicare ai dati.


Che cosa suggerirebbe a chi si sta laureando e sta per iniziare a lavorare?

Il mio consiglio a chi inizia a lavorare oggi, magari fondando una startup – ma l’approccio deve essere lo stesso in ogni mestiere -, è quello di avere chiaro l’obiettivo, e di essere, allo stesso tempo, flessibile nei modi per raggiungerlo. Questo vuol dire che, strada facendo, magari bisogna cambiare strategia o cambiare l’angolo d’attacco, ma mai perdere di vista dove si vuole andare.


Quanto incidono la collaborazione, il lavoro di squadra, la condivisione delle idee?

Questa determinazione l’ho imparata giocando a hockey su ghiaccio da professionista: non esiste il pareggio e nessuno della squadra molla fino al fischio finale. Anche in azienda ci comportiamo come una squadra, ognuno ha il suo ruolo, ma l’obiettivo finale è lo stesso per tutti.

Eredi&Innovatori: la storia di Teresa

Teresa MEZZA, Dottoranda di ricerca Università Cattolica del Sacro Cuore, ha frequentato la Facoltà di Medicina e Chirurgia.

Ha ottenuto il riconoscimento Future Leaders Mentorship Programme for Clinical Diabetologists della European Foundation for the Study of Diabetes (EFSD) e ha vinto uno dei sei prestigiosi Rising Star Fellowship Programme. Teresa è intervenuta lo scorso 19 aprile al Convegno per la Giornata per l’Università Cattolica. Per l’occasione le abbiamo chiesto:

Che cosa significa essere erede e che cosa innovatore? E nel lavoro?

Un erede che vuole essere tale deve per forza esser anche innovatore. Mi spiego meglio: essere “erede” significa conservare ma soprattutto arricchire e sviluppare quanto ci viene tramandato in termini di conoscenze, valori e modelli di pensiero. E arricchire e sviluppare qualcosa significa sopratutto saperlo rendere attuale, in una società in cui dobbiamo continuamente misurarci in un contesto di cambiamenti radicali e istantanei. Nel lavoro essere eredi vuole dire proprio questo: essere in grado di diffondere in maniera, sempre più attuale, gli strumenti di pensiero e riflessione che l’ Università Cattolica ci fornisce da studenti e che le esperienze di vita hanno arricchito e amplificato.

Come si raggiungono i risultati che lei ha già conquistato? Quali sono gli ingredienti immancabili?

Alla base di un grande risultato c’è anzitutto semplicemente la convinzione o meglio la volontà e l’ambizione di volerlo raggiungere, applicandosi con le proprie conoscenze, nel mio campo, ad esempio, a far in modo di generare un impatto positivo per la collettività. Il secondo ingrediente, imprenscindibile, è il modello di pensiero e la competenza tecnica capace di disegnare il percorso di raggiungimento dell’obiettivo: e qui sta il valore di un’ Università come la Cattolica che mi ha dotato di strumenti fondamentali che mi hanno consentito di fare la differenza, nella mia attività di medico e ricercatrice, in campo internazionale.

Come gli studi universitari stanno favorendo la sua ricerca scientifica?

Oltre a strumenti e conoscenze tecniche, i miei studi universitari mi hanno soprattutto favorita nel modello di pensiero e nell’ approccio alla risoluzione dei problemi perché nella ricerca scientifica ce ne sono tanti. In secondo luogo, mi favoriscono nelle opportunità di potermi interfacciare con docenti e ricercatori di primo piano nazionale e internazionale, opportunità che stimolano e permettono di intraprendere diversi percorsi di crescita internazionali. In questo senso sta il concreto valore dei miei studi Universitari in Cattolica.

Che cosa suggerirebbe a un giovane laureando e a una giovane matricola?

A un giovane laureato suggerirei di concentrare le proprie energie in quello che è la sua passione vera, che accende la nostra fantasia e curiosità. Di non vivere la laurea come la fine di un percorso, ma come l’inizio della vera sfida in cui si è chiamati a vivere continuamente ansia di concorsi e ricerca di stabilità professionale e l’interesse perpetuo della gratificazione professione e intellettuale, che ci rende vivi e attivi e che si ottiene solo se riusciamo a fare quello che ci piace. A chi comincia oggi il proprio percorso di studi, suggerirei di non scoraggiarsi al primo esame non riuscito o al primo periodo buio, anzi è proprio dagli obiettivi non raggiunti che possiamo costruire la determinazione con cui fare il salto verso obiettivi più ambiziosi. La grinta e la determinazione che sono ingredienti fondamentali per costruire un percorso formativo e di vita che sia unico, vero e completo.

L’estero o l’Italia: che cosa c’è all’orizzonte?

Entrambi. Non sono convinta che andare fuori sia la soluzione ovvero non credo che il nostro Paese non abbia potenzialità e sia un paese da lasciare anche se hai ambizioni scientifiche e di ricerca che talvolta non trovano la giusta direzione. La mia stessa posizione non è semplice e sono consapevole, come altri miei colleghi, delle difficoltà che magari all’estero potremmo non incontrare. Al contempo, però, credo nell’Italia, nell’Università Cattolica dove ho studiato e mi sono laureata e nel Policlinico Gemelli dove oggi lavoro.  Ma penso non si possa rinunciare all’apertura internazionale, ovvero considerare di passare periodi anche brevi o mediamente lunghi fuori dal nostro Paese perché questo ci arricchisce e ci consente di apprendere nuovi modelli e strumenti e soprattutto ci consente di vedere in che modo noi ricercatori italiani possiamo fare la differenza, anche giocando in casa. Mi permetto di fare un piccolo excursus: quando mi trovavo negli Stati Uniti – presso il Joslin Diabetes Center (Harvard Medical School) – mi sono resa conto di come di fronte a un dato problema scientifico, molti miei colleghi di diverse nazionalità rimanevano concentrati sul problema studiandolo in maniera approfondita sotto diversi punti di vista. Noi italiani invece, spontaneamente, avevamo la capacità di aggiungere nuove variabili, inventare nuove teorie, anche per pura intuizione e con questo approccio più aperto e creativo riuscivamo a fare la differenza. Mi piace lavorare in contesti internazionali ma credo che il nostro sia un gran bel Paese da diversi punti di vista.

Accompagnare la fede dei giovani oggi, 19 aprile Roma

A Roma il prossimo 19 aprile è in programma la giornata di studio dal titolo “Accompagnare la fede dei giovani oggi” presso la Pontificia Università Antonianum in Via Alessandro Manzoni 1.

P R O G R A M M A
Mattina Ore 9.00
Moderatore Albert Schmucki OFM Vice Preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità

Saluti
Mary Melone SFA Rettore Magnifico della Pontificia Università Antonianum
Luca Bianchi OFMCap Preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità
Relazioni
Paola Bignardi Istituto Toniolo “Dio a modo mio”. I giovani di fronte alla fede.
Pausa
Nico Dal Molin Già Direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei L’accompagnamento dei giovani: dallo spirito del timore allo spirito dell’Amore

Pomeriggio Ore 14.00
Moderatore Alceo Grazioli TOR

Tavola rotonda:
Esperienze di accompagnamento spirituale e mondo dei giovani
Sr. Loredana Locci FMA Consigliera per la Pastorale giovanile dell’Ispettoria romana delle Figlie di Maria Ausiliatrice
Massimo Pampa loni SJ Pontificio Istituto Orientale
Alessandro Partini OFM Maestro dei postulanti della Provincia S. Bonaventura ofm
Pausa
Dibattito

Locandina

7×1: il lavoro nella comunicazione digitale

Grazie a Nicoletta Vittadini, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Cattolica di Milano e direttore del master “Digital communications specialist” scopriremo le nuove professioni della comunicazione digitale.

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Eredi & Innovatori, giovani protagonisti, 19 aprile Milano

In occasione della 94esima Giornata Universitaria, che avrà per tema “Eredi & Innovatori. Giovani protagonisti della storia”, giovedì 19 aprile, nel contesto della settimana milanese dedicata al design e all’innovazione, l’Ateneo aprirà la sua sede storica di Milano in largo Gemelli per un evento rivolto agli studenti, agli alumni e alla città.

In Aula Magna alle ore 17.30, dopo l’intervento del rettore Franco Anelli, il professor Aldo Grasso dialogherà con alcuni giovani laureati dell’Ateneo, protagonisti di storie di progettualità creativa, per interpretare il tema della Giornata Universitaria a partire dalla loro concreta esperienza.

Parteciperanno Silvia Fasciano, studentessa e youtuber, Mattia Macellari, presidente Gruppo Giovani Imprenditori Assolombarda; Abdoulaye Mbodj, avvocato, Teresa Mezza, dottoranda di ricerca della facoltà di Medicina e Chirurgia, Tommaso Migliore, ceo & founder MDOTM Ltd; Annalisa Pellegrino, Associate Migration Policy Officer, International Organization for Migration (IOM), Lidya Simova, rappresentante del Parlamento bulgaro presso il Parlamento europeo.

Nel corso dell’evento si potrà assistere anche a una videointervista dell’artista Emilio Isgrò. L’incontro si concluderà con l’inaugurazione dell’installazione Lorem Ipsum, ideata e realizzata per l’Ateneo dallo Studio Giò Forma e presentata dal cofounder Florian Boje.

Per rilevare i contenuti digitali dell’installazione si dovrà scaricare l’App Experience Gate disponibile gratuitamente sugli store Apple e Google Play.

In particolare l’esperienza della realtà aumentata sarà applicata all’albero che si trova al centro del primo chiostro di largo Gemelli e a quattro parole tridimensionali che saranno collocate negli angoli del giardino. I vocaboli sono stati scelti da Emilio Isgrò, Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, Aldo Grasso, e i due professionisti laureati dell’Ateneo, André Ndereyimana e Margherita Casale.

«Il tema della Giornata dell’università è volutamente un po’ provocatorio» spiega il prorettore Antonella Sciarrone Alibrandi. «Oggi più che mai c’è bisogno che i giovani si sentano protagonisti e che vivano il presente coscienti del loro passato e dell’eredità ricevuta. Un’eredità che, reinterpretata, li porta ad entrare con il passo giusto nella realtà. L’impegno dell’Università consiste nel dare loro, più che un bagaglio di conoscenze specifiche, tutti gli strumenti necessari per muoversi in un mondo complesso e in continua trasformazione. Credo che i giovani abbiano bisogno soprattutto di sentire che ci si fida di loro; devono essere aiutati a guardare avanti».

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