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Il 47% dei giovani italiani pronti ad adattarsi pur di lavorare. Solo il 35% è in grado di lasciare la casa dei genitori

LAVORO; IST. TONIOLO: IL 47% DEI GIOVANI ITALIANI PRONTI AD ADATTARSI PUR
DI LAVORARE PER POTERE PROGETTARE FUTURO. MA SOLO IL 35% E’ IN GRADO DI
LASCIARE LA CASA DEI GENITORI
E’ aumentata molto negli ultimi anni la disponibilità dei giovani ad adattarsi al lavoro e di
continuare a cercare di vedere positivamente la propria vita. Infatti gli italiani tra i 18 e i 32 anni ai
quali è’ stato chiesto di valutare con un voto da 1 a 5 il senso di soddisfazione sulla propria vita
raggiungono in media un valore pari a 4,3. In un contesto di perdurante difficoltà nel mondo del
lavoro l’autorealizzazione viene messa in secondo piano rispetto al reddito, soprattutto nelle classi
sociali medio basse. E la remunerazione è infatti uno dei principali punti dolenti della qualità del
lavoro svolto, assieme alla non sempre stretta coerenza con il proprio percorso formativo. Questa
condizione di adattamento riguarda tutti, ma è ancora più forte per chi ha un lavoro a tempo
determinato (49,3%). In tutte le dimensioni considerate – non solo sull’aspetto della
stabilità – il lavoro a tempo determinato risulta su valori più bassi rispetto a quello indeterminato.
L’unica eccezione è il rapporto con i superiori, forse anche per la necessità di mantenere relazioni
positive per il rinnovo del contratto (76% per il tempo determinato e il 68,4% per il lavoro
autonomo.
Sono questi i dati emersi dal “Rapporto Giovani” – promosso dall’Istituto Toniolo di Studi Superiori
con il sostengo di Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo – presentati al Meeting di Rimini da
Alessandro Rosina, docente di demografia all’Universita’ Cattolica del Sacro Cuore è uno dei
curatori del Rapporto giovani.
I risultati di questo approfondimento sono tratti dalla rilevazione effettuata ad ottobre 2015 su un
campione di 9358 persone, rappresentativo della popolazione italiana di età compresa fra i 18 e 32
anni
Sempre dal Rapporto Giovani emerge che la maggior stabilità di chi ha un lavoro a tempo
indeterminato e la soddisfazione complessiva verso il lavoro sono legate positivamente sia alla
soddisfazione per la propria vita e le scelte fatte, sia come atteggiamento positivo
verso COME ATTEGGIAMENTO POSITIVO VERSO il proprio futuro.
Al punto più basso si trovano i Neet, I GIOVANI CHE NON STUDIANO E NON LAVORANO.
La loro soddisfazione per la vita raggiungere 3,7 punti in media su 5, contro un valore pari a 4,3 di
chi ha un lavoro instabile e 4,8 per chi ha un lavoro a tempo indeterminato. I Neet sono anche la
categoria che meno è sicura delle scelte fatte nella propria vita. Il punto centrale della scala è 3 e il
voto alle scelte fatte finora è solo di poco superiore a tale soglia per i Neet (3,4).
Infine, tra gli under 30 che vivono con i genitori, la percentuale di chi progetta l’uscita entro un
anno dall’intervista è pari a poco più di un quarto nella fascia 18-24 e a poco più di un terzo nella
fascia 25-29. Valori non elevati se si pensa che la maggioranza dei giovani europei vive in
autonomia dopo i 25 anni. Esistono però differenze marcate sia rispetto alla presenza del lavoro sia
al tipo di lavoro: per chi ha un contratto a tempo determinato si sale al 45 percento di intenzioni
positive di uscita, mentre tra i Neet non solo il valore è molto basso (23 percento) ma rimane
sostanzialmente fermo all’aumentare dell’età. Un chiaro segnale di progetti di vita che vengono
rinviati e che progressivamente si trasformano in rinuncia definitiva.
Risultati che mostrano come lo scadimento delle opportunità di occupazione e la qualità del lavoro
stiano fortemente erodendo il futuro delle nuove generazioni.
L’elevata percentuale di Neet tra gli under 30 in Italia (il cui valore assoluto, superiore ai 2 milioni e
200 mila, è il più elevato in Europa) non compromette solo le vite lavorative dei giovani ma
costituisce un enorme macigno sulla sostenibilità sociale, sulle dinamiche demografiche e sullo
sviluppo economico dell’intero paese.
“Il tema del lavoro – spiega Alessandro Rosina – è molto sentito dai giovani italiani e dalle loro
famiglie. Già prima della crisi economica il tasso di occupazione giovanile risultava essere uno dei
più bassi in Europa. L’Italia è uno dei paesi avanzati che con l’entrata in questo secolo meno si sono
rivelati capaci di dotare i giovani di strumenti adatti per essere attivi e intraprendenti nel mondo del
lavoro”.
“Come conseguenza – aggiunge Rosina – i giovani, anziché essere protagonisti positivi di processi di
innovazione e inclusione che rendono più competitiva l’economia e più solida la società, si trovano
relegati ai margini, dipendenti a lungo dai genitori, con progetti professionali e di vita bloccati”.
“L’Italia è anche uno dei paesi – aggiunge Rosina – che meno hanno aiutato i giovani a proteggersi
dai rischi della crisi. La combinazione di carenze strutturali persistenti ed impatto congiunturale
della crisi ha portato l’Italia ad essere tra i paesi in Europa con più alta percentuale di under 30 che
non studiano e non lavorano e che non hanno formato una propria famiglia con figli”.
“Eppure i giovani italiani – conclude Rosina -non sono rinunciatari. Hanno in partenza progetti di
vita importanti da mettere in atto e un atteggiamento positivo verso il lavoro. Dove questi progetti
sono incentivati a realizzarsi producono risultati rilevanti ma diventano anche un riscontro positivo
che consente di trovare fiducia e determinazione nella costruzione del proprio futuro. Dove questo
incoraggiamento manca il rischio è quello dello scoraggiamento e della revisione verso il basso dei
propri obiettivi, fino anche alla rassegnazione e al rischio di marginalizzazione sociale.

 

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I giovani europei e l’immigrazione – il 69,3% dei giovani italiani convinto che la soluzione debba arrivare dall’Europa

Nel mese di agosto, il Rapporto giovani analizza i giovani europei e l’atteggiamento verso l’immigrazione.

L’indagine è svolta nei cinque paesi europei che detengono il maggior numero di abitanti con altra cittadinanza: Italia, Francia, Regno Unito, Germania e Spagna. In ognuno di questi paesi è stato sottoposto ai giovani – tra maggio e giugno 2015, per un’età compresa tra 18 ai 32 anni di età – un questionario, in auto-somministrazione, contenente domande relative ai processi migratori in atto nel loro paese.

Gli ultimi dati rilasciati da Eurostat [Eurostat 2015], che si riferiscono al primo gennaio 2014, mostrano che la Germania (DE) è il paese della comunità europea (EU) con il più alto numero di persone straniere abitanti sul territorio nazionale. Sono infatti 7.0 milioni, contro i 5.0 del Regno Unito (UK), i 4.9 dell’Italia (IT), i 4.7 della Spagna (ES) e i 4.2 della Francia (F). Questi cinque paesi insieme ospitano il 76% del totale dei non-national che vivono in tutti i paesi membri della Comunità europea rappresentando, di converso, il 63% della popolazione comunitaria.

Italia, Francia, Spagna, Regno Unito e Germania sono dunque le cinque nazioni maggiormente interessate in Europa dai flussi migratori in atto ormai da qualche decennio in Europa, a fronte di molteplici fattori che hanno motivato e motivano importanti movimenti di popolazione. Tra questi, prevale la povertà ma anche la cosiddetta “migrazione forzata” tra cui quella dei rifugiati, in fuga dai teatri di guerra presenti sul territorio di provenienza. Nel 2014, per la prima volta, il numero mondiale di migranti forzati ha sfiorato i 60 milioni, con un aumento annuo di 8 milioni. Di essi, un terzo è composto da richiedenti protezione internazionale (+54,3% rispetto al 2013) e rifugiati (+22,9%)

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Rapporto giovani analizza:

  1. la percezione dei giovani rispetto all’ampiezza numerica della presenza straniera nel paese nel quale vivono e la loro opinione, indipendentemente dal loro numero, rispetto a quanto questa presenza sia adeguata: gli immigrati sono troppi?
  2. le ragioni prevalenti che, secondo gli intervistati, inducono le persone a partire dal proprio paese di origine e i motivi della scelta, da parte di queste persone, del paese di accoglienza
  3. gli atteggiamenti che, nell’opinione dei giovani, descrivono meglio il reciproco rapporto national e non-national: sono ostili o amichevoli?
  4. le opinioni dei giovani europei intervistati in merito alla possibilità che gli immigrati producano problemi economici o sociali e/o che rappresentino una risorsa per il paese nel quale vivono; in che modo gli immigrati incidono sulla vita del paese nel quale vivono? Le persone che arrivano via mare fuggendo così da situazioni di pericolo e da paesi dove sono in corso conflitti e violenze sono state rappresentate nel 2015 come “l’emergenza sbarchi”; che cosa ne pensano i giovani europei?
  5. qual è il ruolo dei media sull’argomento?

Leggi il comunicato dell’indagine del Rapporto giovani

Leggi cosa dicono i media dell’indagine del Rapporto Giovani sull’immigrazione

Chi sono i ragazzi della GMG 2016?

Si tratta di tantissimi giovani appartenenti alla generazione dei Millennials che, se da una parte si dimostrano pronti all’accoglienza dei migranti e a svolgere attività di volontariato, dall’altra sono impegnati e preoccupati dalla necessità di rimettere insieme le tre F della loro vita: fare, felicità e futuro.

Un obiettivo importante che deve fare i conti, almeno in Italia, con la realtà di un Paese fra i meno attenti e meno attivi alla costruzione del futuro dei giovani: infatti, iI 91% degli italiani tra i 18 e i 32 anni concorda (molto o abbastanza) nel ritenere il lavoro come uno strumento diretto a procurare reddito, cruciale per affrontare il futuro (88%) e per costruirsi una vita familiare (87,5%). Un po’ più bassa la quota di chi lo considera soprattutto come modalità di autorealizzazione (85%).

Questi sono i dati rilevati dal Rapporto giovani promosso dall’Istituto Toniolo.

 

 

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Mentre in Italia 3 intervistati su 4 ritengono che nel proprio Paese le opportunità offerte siano inferiori rispetto alla media degli altri paesi sviluppati, si scende a meno di 2 su 3 in Spagna, a meno di 1 su 5 in Francia e Gran Bretagna, e meno di 1 su 10 in Germania. L’Italia è anche una delle nazioni in cui maggiore è la propensione ad andare all’estero per cogliere migliori opportunità di lavoro.

Sono pronti a costruire una loro famiglia?

Dal confronto con il loro coetanei europei, infatti, emerge che per i giovani italiani le tappe per la transizione allo stato adulto dall’autonomia dai genitori fino alla formazione di una propria famiglia e alla nascita del primo figlio – sono più dilatate nel tempo rispetto ai coetanei europei. L’età media di uscita dalla famiglia di origine è attorno ai 30 anni nel nostro paese, mentre è inferiore ai 25 nei paesi scandinavi, in Francia, Germania e Regno Unito.

 

Hanno fiducia nelle Istituzioni?

Quando ai giovani si domanda il loro grado di fiducia verso le istituzioni le risposte sono decisamente orientate al pessimismo: prevale il disincanto, il senso di distacco e di lontananza. Le risposte date dai giovani in merito alla figura di Papa Francesco sono invece di segno opposto. Per più del 90% di loro è una persona di grandi capacità comunicative, che suscita simpatia (80%) e ispira fiducia (70%)e lo ritengono un riferimento credibile, capace di contribuire a un deciso rinnovamento nel mondo ecclesiale e di fornire strumenti per guardare al futuro con meno incertezza e preoccupazione.

 

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Accoglierebbero un profugo?

A tale proposito sempre dal Rapporto Giovani del Toniolo emerge che il 40% dei giovani italiani è convinto che sia giusto accogliere solo i profughi che raggiungono il nostro Paese. Questa percentuale sale al 64% se si considerano anche i ragazzi che sono convinti che sia necessario accogliere tutti. Su questo tema i dati dell’Istituto Toniolo sono stati confrontati con quelli dei giovani di altre nazioni europee, evidenziando che per il 51% dei giovani tedeschi è giusto accogliere solo i profughi; per il 39% dei giovani francesi è giusto accogliere solo i rifugiati; i ragazzi inglesi propensi all’accoglienza dei profughi sono al 34%; i ragazzi spagnoli sono d’accordo nell’accogliere solo i rifugiati al 30%.

 

Leggi cosa dicono i media dell’indagine del Rapporto Giovani sui giovani della GMG

GMG – Giornata mondiale Gioventù a Cracovia 2016 – I media dicono del Rapporto giovani…

Dal 26 al 31 luglio i giovani hanno incontarto Papa Francesco a Cracovia per la Giornata mondiale della gioventù, GMG.

Leggi cosa dicono i media dell’indagine del Rapporto Giovani sui giovani della GMG

 

 

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I giovani e la scuola

La valorizzazione del capitale umano costituisce un fattore determinante per lo sviluppo di ogni società. Ecco perché il tema della scuola – e della formazione in generale – rappresenta uno dei  capisaldi da cui il Rapporto Giovani non può prescindere.

Chi e cosa orienta le scelte dei ragazzi quando si tratta di individuare la prossima tappa?
Che rapporto hanno i giovani con l’ambiente scolastico e con i propri compagni?
Che valore ha la formazione agli occhi delle giovani generazioni?

A queste e ad altre domande cerca di rispondere l’edizione 2016 del Rapporto Giovani, che alla scuola dedica un approfondimento ad hoc. Quest’ultima è osservata sotto una doppia luce, sia come istituzione formativa – dunque come luogo deputato a trasmettere ai ragazzi un patrimonio di conoscenze – e sia come ambiente educativo, all’interno del quale si impara a convivere e a muoversi all’interno di una comunità.
A livello metodologico, l’indagine rientra nell’ampio lavoro di ricerca che ha portato al Rapporto Giovani 2016: sono stati intervistati più di 9mila giovani, in un’età compresa fra i 18 e i 33 anni. L’indagine complessiva è confluita in un libro, La condizione giovanile in Italia – Rapporto Giovani 2016, edito da Società editrice il Mulino.

I temi della ricerca: La scelta della scuola; Le relazioni a scuola; Il bullismo; Gli scopi dell’istruzione; Il rapporto con le istituzioni

La scelta della scuola
La scelta della scuola secondaria di secondo grado rappresenta uno snodo fondamentale nella carriera scolastica, oltre a essere uno dei pochi riti di passaggio collettivi che ancora costellano la transizione alla vita adulta. I dati del Rapporto Giovani 2016 evidenziano come – ancora una volta – la famiglia di origine influenzi la scelta della scuola: per fare un esempio, chi ha entrambi i genitori laureati ha una probabilità di optare per il liceo tre volte superiore rispetto a chi è figlio di genitori senza diploma (70,3% contro 24,6%). Non solo, più della metà degli intervistati  (55,8%) ha affermato di aver fatto “molto” o “abbastanza” affidamento sul parere dei genitori nella scelta della scuola secondaria di secondo grado.

La scelta dell’università
La motivazione personale si conferma come fattore trainante nella decisione di proseguire o no gli studi dopo la maturità, pesando «molto» o «abbastanza» per l’80,9% degli intervistati.
L’influenza della famiglia rimane su livelli significativamente alti (50,2%), certamente anche per la
questione dei costi dell’istruzione (50,3%), in un contesto di welfare che offre scarsi sostegni al di fuori
delle reti familiari. Un terzo circa degli intervistati (32,1%) ha tenuto conto anche della possibilità di avere
una borsa di studio, così come della comodità di raggiungere la sede universitaria (30,0%). Ai laureati è stato chiesto quali fossero le motivazioni specifiche per la scelta concreta del tipo di facoltà. La maggioranza (57,6%) ha indicato la qualità dei servizi mentre una percentuale inferiore (43,4%) ha puntato sul prestigio sociale della facoltà. Un approccio pragmatico e allo stesso tempo riflessivo alla
scelta, da «consumatore critico» che percepisce il richiamo del brand, ma in tempi di austerità e di incertezza sulla reale spendibilità dell’istruzione, soppesa maggiormente il valore intrinseco del «prodotto».

Le relazioni a scuola
Ai giovani intervistati è stato chiesto di valutare con un voto da 1 a 10 diverse componenti della vita scolastica, tra cui le relazioni con i vari soggetti dell’”universo scuola”. L’apprezzamento più alto, sia per la scuola secondaria di primo grado sia per quella di secondo, è stato dato alla relazione con i compagni di classe, che si attesta quasi sempre intorno al 7. Se invece consideriamo la relazione con i professori, la qualità del rapporto si lega al tipo di scuola frequentata. Coloro che hanno scelto il liceo hanno dato un voto medio di 7,1, chi ha scelto un’istruzione tecnica ha dato 6,7, mentre si scende a 6,3 per gli studenti dell’istruzione professionale.

Prepotenze e illegalità
Si tratta di un fenomeno che negli ultimi anni ha ricevuto più attenzione di quanto non accadesse in precedenza. Purtroppo questo non ha eliminato del tutto il problema, e anzi i dati del Rapporto Giovani 2016 dipingono un quadro che non è per nulla incoraggiante. Per quanto riguarda gli atti di prepotenza fra alunni, infatti, il 19,4% dei giovani ha dichiarato di avervi assistito frequentemente: la percentuale è maggiore fra i maschi (20,4%) che fra le femmine (18,3%). Ancora più presenti fra gli studenti sono poi gli atti di discriminazione, ai quali ha dichiarato di aver assistito il 23,6% degli intervistati.

Gli scopi dell’istruzione
Ma a cosa serve istruirsi? Le due risposte che vanno per la maggiore riguardano l’eredità lasciata dalla scuola in termini di conoscenze, abilità e competenze. Per l’80,3% degli intervistati la scuola serve ad aumentare le conoscenze e le abilità personali, mentre per il 77,2% degli intervistati serve per imparare a ragionare. Ciò che colpisce (e preoccupa), però, è il nesso ancora molto debole che lega la formazione al futuro accesso al mondo del lavoro: l’idea che essere istruiti serva a trovare più facilmente un impiego convince meno della metà dei candidati (il 41%). Sale a 52,8% la percentuale di quelli che ritengono la scuola una risorsa utile per trovare un lavoro migliore.

Il rapporto con le istituzioni
Tra i giovani si registra un generale abbassamento dei già scarsi livelli di fiducia nelle istituzioni, fra le quali le più apprezzate sono le forze dell’ordine, la scuola e l’università. Rispetto ai dati registrati nelle precedenti edizioni del Rapporto, appare in calo la fiducia nelle istituzioni scolastiche e nell’Unione Europea, mentre mostra deboli cenni di risveglio il credito verso il mondo della politica.

 

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I giovani senza confine

Nei giovani di ogni epoca è sempre alta la propensione a partire e ad allargare i propri orizzonti. Oggi, tuttavia, la “voglia” di espatriare si sta trasformando rapidamente in “bisogno”, anche in quei Paesi che siamo abituati a pensare come punto di arrivo e non di partenza.
Da un lato, infatti, è sempre più riconosciuto che studiare all’estero o farvi un’esperienza di lavoro arricchisce le conoscenze e le competenze, potenzia qualità come l’autonomia e l’intraprendenza, e si rivela decisivo nel costruire una rete di contatti. D’altro canto, le difficoltà che i giovani incontrano – soprattutto in Italia – hanno creato un’ampia accettazione sociale di una tendenza ormai consolidata: le opportunità lavorative migliori vanno cercate altrove. Lavoro e mobilità tendono allora a diventare tutt’uno, e un’indagine sul primo aspetto non può prescindere dal secondo. Ecco perché si è scelto di dedicare un approfondimento alle “scelte di mobilità” dei giovani provenienti da cinque Paesi europei: Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito.
A livello metodologico, l’approfondimento rientra nell’ampio lavoro di ricerca che ha portato al Rapporto Giovani 2016. L’indagine complessiva è confluita in un libro, La condizione giovanile in Italia – Rapporto Giovani 2016, edito da Società editrice il Mulino. In questo caso specifico, la ricerca ha coinvolto mille giovani (provenienti dai cinque Paesi citati), che sono stati intervistati a luglio 2015.

Il valore di un’esperienza all’estero
I dati del Rapporto Giovani 2016 rivelano che il 20,4% dei giovani italiani è stato all’estero per motivi di studio, mentre l’11% l’ha fatto per ragioni lavorative. Resta poi un 68,6% che invece non è mai stato oltreconfine. I giovani italiani si rivelano così molto più “mobili” dei loro coetanei europei: in Francia è stato all’estero per studio l’8,8% del campione e per lavoro il 7%; in Germania rispettivamente il 6,1% e il 9,8%; nel Regno Unito il 10,5% e il 9,6%.
Ma quali sono le mete preferite dei giovani europei? Il Regno Unito risulta essere la destinazione prediletta da parte dei giovani italiani (29,8%), di quelli spagnoli (26,4%) e di quelli francesi (13,4%). Gli unici a guardare oltreoceano sono i tedeschi, che per il 15,8% preferiscono gli Stati Uniti.
Ciò che sorprende è la differente percezione dei giovani europei rispetto al valore di queste esperienze: l’idea che andare all’estero sia una necessità per trovare migliori opportunità di vita e lavoro è condivisa dal 45% degli italiani, ma soltanto dal 5,6% dei tedeschi e dal 7,7% dei britannici. Addirittura, per il 30,3% dei giovani tedeschi e per il 38,6% dei loro coetanei britannici un’esperienza di questo tipo è inutile, sia a livello lavorativo sia di vita.
La fiducia nel proprio Paese
Anche in questo caso le differenze tra i giovani europei sono molto evidenti. Per tre quarti dei giovani italiani (75,6%), infatti, le opportunità offerte dal proprio Paese sono “peggiori” o “abbastanza peggiori” rispetto alla media degli altri Paesi sviluppati: sulla stessa linea di pensiero ci sono gli spagnoli, con il 60,9%. La percentuale cala bruscamente nel caso dei francesi (20%), dei britannici (17%) e dei tedeschi (8,6%). Italiani e spagnoli divergono quando si tratta di considerare la situazione del proprio Paese nel lungo periodo: il 34% dei giovani spagnoli, infatti, dichiara di avere “molta” o “abbastanza” fiducia nel fatto che fra tre anni le opportunità offerte dalla madrepatria saranno migliori. Gli italiani invece restano pessimisti, con una percentuale che si ferma al 25,4%.
L’estero come prospettiva immediata
Riguardo alle intenzioni, dichiara che progetta di trasferirsi all’estero nel corso dell’anno il 6,9% degli italiani intervistati. Per gli altri Paesi, le percentuali corrispondenti sono del 4,5% in Francia, del 2,9% in Germania, del 4,5% in Spagna e del 2,2% nel Regno Unito.
La propensione a trasferirsi stabilmente
Infine, se si guarda al lungo periodo, i giovani italiani si confermano ancora una volta quelli più disposti a fare la valigia e partire. L’83,4% dei giovani italiani, infatti, è pronto a emigrare stabilmente per lavoro, e oltre il 60% è disposto a farlo anche andando all’estero. Il trasferimento permanente all’estero attira quasi la metà dei giovani spagnoli (45,5%), il 41,9% dei francesi e il 41,1% degli inglesi. Solo i tedeschi si fermano al 32,9%: il loro è l’unico caso in cui la propensione a trasferirsi all’interno del proprio Paese è maggiore, con una percentuale del 37,2%.

I giovani e il lavoro

I primi dieci anni del nuovo secolo sono stati indicati come il «decennio perduto» per l’Italia, per i bassi livelli di sviluppo e la crescita delle diseguaglianze. La crisi economica, iniziata nel 2008, ha peggiorato ulteriormente il quadro. Tutta la popolazione ne ha risentito, ma con maggior impatto sulle nuove generazioni.
In assenza di forti azioni di rilancio, il tempo necessario per riassorbire gli effetti negativi della crisi sull’occupazione potrebbe essere molto lungo in paesi come l’Italia e la Spagna (rispettivamente in 20 anni e 10 anni secondo stime dell’Fmi). Si pensi, come controesempio, che in Germania la disoccupazione è oggi a livelli ancor più bassi rispetto all’inizio della crisi internazionale.

I Neet
La percentuale in Italia di Neet (i giovani non in formazione e senza lavoro) è tra le più elevate  dell’Unione Europea dopo la Grecia. È salita nella nostra penisola, relativamente alle persone tra i 15 e i 29 anni, dal 19,3% del 2008 al 26,2% del 2014 (ultimo dato disponibile), mentre nell’Ue28, nello stesso periodo, è passata dal 13,0% al 15,4%.
Un dato che deriva dalla scarsa capacità di attivazione delle nuove generazioni nel mercato del lavoro e dalla inadeguata valorizzazione del loro capitale umano nel nostro sistema produttivo. Risente anche di una fragilità di partenza nel processo formativo. Ci distinguiamo tra i paesi più avanzati, in particolare, per un elevato tasso di abbandono precoce degli studi (il 15% non va oltre la terza media contro il 11% Ue28) e per una bassa percentuale di laureati (per i 30-34enni, rispettivamente il 22,4% contro il 36,9%. Fonte: Istat 2015). Il tasso di occupazione dei laureati tra i 25 e i 34 anni è risultato pari al 62% nel 2014, 20 punti sotto la media del mondo sviluppato.
«Garanzia Giovani» e Jobs Act
Il piano più importante degli ultimi decenni a favore dell’occupazione giovanile finanziato dall’Unione Europea, sta ottenendo risultati molto più modesti rispetto alle aspettative. Partito a maggio 2014, dopo oltre un anno e mezzo di attività, «Garanzia Giovani» è riuscito a raggiungere solo un terzo dell’intera platea dei Neet e ad offrire una concreta misura (formazione o lavoro) a meno di un Neet su 10.
Non certo i dati di un insuccesso, ma sicuramente troppo poco per una vera svolta nelle politiche di attivazione delle nuove generazioni. La sfida rimane aperta, soprattutto sul versante del potenziamento del sistema dei servizi per l’impiego, con la costituzione dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal).
Timidi e contrastanti sono stati anche i primi effetti del Jobs Act. I valori forniti dall’Istat, relativi agli ultimi mesi del 2015, sembrano però più incoraggianti sia sull’aumento degli occupati sia sulla stabilità contrattuale. Anche i dati più recenti continuano però ad essere meno favorevoli per i giovani, soprattutto se oltre ai disoccupati si considera l’enorme componente degli inattivi scoraggiati.
La povertà continua a colpire in modo più accentuato l’infanzia e i giovani. Particolarmente alta è l’incidenza della deprivazione materiale per le famiglie con più di due figli minori e per le famiglie con genitori under 35 [Fonte: Istat, La povertà in Italia. Anno 2014, 2014; Save the Children, Atlante dell’infanzia 2015].

Lavoro e tasso di fecondità
Limiti strutturali e culturali costituiscono un mix di fattori che influenzano in modo depressivo la realizzazione  di solide scelte di vita. In Italia meno del 12% dei giovani vive in un’unione di coppia tra i 16 e i 29 anni, un valore che è la metà rispetto alla media europea. Di conseguenza siamo diventati, assieme alla Spagna, il paese con più bassa fecondità realizzata prima dei 30 anni (Fonte: dati Eurostat, anno 2013). Non a caso il numero delle nascite ha toccato negli ultimi anni livelli negativi record per la storia del paese (da oltre un milione a metà anni Sessanta a meno di mezzo milione nel 2015, compreso il contributo degli stranieri).
Il 2015 è però anche l’anno in cui i segnali di ripresa e di fiducia di miglioramento della qualità della vita sono diventati evidenti. Gli indicatori Ipsos sul clima del paese, segnalano una rilevante riduzione di chi crede che il peggio debba ancora arrivare (dal 50% del secondo semestre del 2014 al 37% del secondo 2015). Le aspettative di fecondità del panel del Rapporto Giovani 2016 (oltre 9.000 giovani) in un orizzonte  brevissimo (un anno dall’intervista) e breve periodo (tre anni dall’intervista), confrontate con quelle emerse dall’indagine condotta nel 2012, sempre su circa 9.000 giovani, sono, seppur solo per l’orizzonte temporale meno immediato (tre anni dal momento dell’intervista), in favore dell’ipotesi che con l’uscita dalla crisi si possa avere un effetto positivo nel rialzo atteso della fecondità. La propensione ad avere un figlio risulta infatti migliorata nel 2015 rispetto al 2012.

 

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Il metodo della ricerca

L’Osservatorio Giovani si avvale di un’INDAGINE PRINCIPALE ANNUALE – coinvolgendo il campione più numericamente consistente disponibile in Italia – nella quale si rilevano caratteristiche e percorsi di vita dei giovani italiani. A questa rilevazione, su base triennale, si aggiungono una serie di APPROFONDIMENTI TEMATICI condotti su campioni NAZIONALI e INTERNAZIONALI.

L’indagine demoscopica principale, grazie a un panel longitudinale gestito da IPSOS Italia per Istituto Toniolo, monitora i cambiamenti su valori, aspettative, progetti e scelte di vita dei giovani, la fiducia nelle istituzioni, il loro ruolo nella società civile, il rapporto tra generazioni, ma anche analisi su tematiche riguardanti il lavoro, la famiglia, la genitorialità, la propensione all’imprenditorialità e al risparmio.
Inoltre, gli approfondimenti tematici consentono di ulteriormente analizzare ambiti molto specifici e, nel corso del 2020, effettuare carotaggi al fine di sondare e interpretare le conseguenze sociali dell’emergenza sanitaria COVID nel corso del 2020, anche a livello comparativo rispetto gli altri Paesi europei.

PRIMO CICLO (2012-2015)
Nel periodo 2012-2015 l’indagine è stata condotta su un collettivo iniziale di 9mila persone tra i 18 e i 29 anni, un target di età universalmente ritenuto “di difficile accesso” dalle agenzie di rilevazione demoscopica. Per garantire in modo efficiente la rappresentatività statistica del campione rispetto alla specifica popolazione di riferimento, si è optato per un reclutamento misto CATI-CAWI e CAPI-CAWI. Viene, quindi, redatto un rapporto di ricerca contenente tutti i dati rilevati in una singola fase e i principali trend osservati rispetto all’anno e alla serie storica precedente.

SECONDO CICLO (2016-2018)
Nel triennio 2016-2018 il panel per le rilevazioni longitudinali, realizzato appositamente per il Toniolo, è stato rinnovato fino al reintegro delle 9mila persone tra i 18 e i 32 anni. Inoltre, è ora possibile realizzare approfondimenti dettagliati su tutto il territorio nazionale grazie alla integrazione con il panel IPSOS (30mila persone) per le indagini orizzontali. Nel corso del 2019, con l’esaurirsi del panel longitudinale, ci si è concentrati nella analisi dei molti dati disponibili, nella finalizzazione della ricerca e delle pubblicazioni in sospeso e nella realizzazione di focus, in ambito nazionale e internazionale su temi quali natalità, demografia, partecipazione politica, consumi alimentari, religiosità.

TERZO CICLO (2021-2023)
Per il triennio 2021-2023: con gennaio 2021 è stato inaugurato il terzo ciclo di rilevazione su un panel 18-34 anni composto da 7mila persone, da seguire longitudinalmente per la durata di un triennio. Confermata anche la possibilità di eseguire approfondimenti tematici e, annualmente, una rilevazione internazionale che consenta studi comparativi con panel di giovani di altri Paesi europei e statunitensi.

I giovani e l’immigrazione

Da una parte le ultime generazioni sono quelle cresciute nel pieno della globalizzazione: come tali, hanno avuto la possibilità di muoversi in un tipo di società che dovrebbe favorire l’apertura e lo scambio. D’altro canto, gli stessi giovani sono stati investiti più di tutti gli altri dalla crisi economica del 2008, e ancora oggi ne subiscono le conseguenze. La generazione dei Millennial è quella precaria per eccellenza, con grandi difficoltà di inserimento lavorativo e orizzonti di progettualità limitati.
Ai giovani di questa generazione è stato sottoposto un questionario, contenente domande relative ai processi migratori in atto nel loro Paese. Più in particolare, l’indagine ha coinvolto i giovani dei cinque Paesi europei che detengono il maggior numero di abitanti con altra cittadinanza: Italia, Francia, Regno Unito, Germania e Spagna.

I temi della ricerca: Com’è percepita la presenza straniera; Le ragioni dei movimenti migratori; L’atteggiamento national vs non-national; Gli immigrati: problema o risorsa?; L’emergenza sbarchi nel 2015

Com’è percepita la presenza straniera
Quanto è profondo – nella fascia giovanile – il distacco fra la quota di immigrati presenti in un Paese e la quantità “ipotizzata” dall’opinione pubblica? Si tratta di una domanda centrale, perché le derive xenofobe spesso si alimentano proprio dai falsi numeri sull’immigrazione. In Italia, Francia, Spagna e Regno Unito il numero di stranieri presenti in ciascun Paese è compreso fra i 3 e i 5 milioni, in Germania invece si sale tra i 5 e i 10. In generale, chi quantifica correttamente la presenza straniera nel proprio Paese ammonta in media al 13,4% della popolazione: in Italia, Francia e Regno Unito si scende rispettivamente al 12,5%, 13,1% e 12,8%, mentre spagnoli e tedeschi salgono al 14,2% e 14,4%. Francesi e spagnoli sono anche i più “inconsapevoli”, con percentuali del 28,4% e del 25,7% di popolazione che dichiara di non saper quantificare la presenza straniera.
I più contraddittori, invece, sono gli italiani. Da una parte, il 22,3% dei giovani italiani sottostima l’effettivo numero di immigrati presenti sul territorio nazionale (è la percentuale più alta fra tutti e cinque i Paesi considerati). Dall’altra, sono gli stessi giovani italiani a dichiarare per il 68,8% che gli immigrati presenti sul territorio nazionale sono troppi (anche in questo caso, si tratta della percentuale più alta fra tutti e cinque i Paesi considerati). Al contrario, nonostante sia il Paese che ne ospita di più, la Germania registra un 41,5% di giovani che credono sia eccessivo il numero di stranieri nel proprio Paese: si tratta del valore più basso tra i cinque Paesi considerati.

Le ragioni dei movimenti migratori
Questa parte dell’indagine riguarda l’opinione dei giovani circa due aspetti: le motivazioni che determinano la partenza dei migranti, e la scelta del Paese di destinazione. Le posizioni dei giovani europei si diversificano in base al Paese nel quale vivono: la Spagna (39,7%) e il Regno Unito (42%) pongono l’accento sulle ragioni economiche (si parte per trovare un lavoro migliore); Italia (44,2%), Germania (46,7%) e Francia (36,4%), invece, si concentrano sulla fuga da situazioni di conflitto e/o regimi totalitari. Per quanto riguarda la scelta del Paese di destinazione, in tutti e cinque i Paesi la ragione prevalente è indicata come “la facilità di ingresso”. In particolare, se si vanno ad analizzare le ragioni ritenute valide per migrare in Italia, le più gettonate risultano essere la vicinanza, la facilità di ingresso e la funzione di passaggio verso altre destinazioni: nel complesso, una meta assai poco appetibile.

L’atteggiamento national vs non-national
L’atteggiamento della popolazione del Paese in cui si vive nei confronti della popolazione immigrata è giudicato in media diffidente. In generale, prevale l’idea che la popolazione non abbia nei confronti degli immigrati dei sentimenti amichevoli. L’ostilità maggiore si registra nel Regno Unito (19,5%), mentre è la Spagna il Paese in cui si registra la percentuale più alta di chi percepisce un atteggiamento amichevole (24,6%). Per quanto riguarda la situazione contraria, cioè l’atteggiamento degli stranieri nei confronti dei “national”, i più percepiti sono sentimenti di indifferenza (28% in Spagna e 30,4% nel Regno Unito) e di diffidenza (32,9% in Italia, 30,3% in Francia e 31,8% in Germania). Anche in questo caso, l’atteggiamento più amichevole si registra in Spagna, con un 25,4%. In generale, sembra essere ancora lontana la mutua accettazione della diversità dell’altro, anche nei Paesi in cui i processi migratori hanno alle spalle una storia lunga.

Gli immigrati: problema o risorsa?
La presenza di immigrati crea problemi secondo il giudizio dei giovani intervistati? Francesi e inglesi sono i più preoccupati delle conseguenze economiche dovute alla presenza di immigrati nel loro Paese: gli stranieri causano problemi sociali per il 23,4 dei francesi, e incrementano il lavoro nero per il 23,4% degli inglesi e dei francesi. Italiani, spagnoli e tedeschi, invece, sono più preoccupati delle conseguenze in termini di possibile aumento della criminalità. Alla domanda se gli immigrati migliorano la vita culturale del Paese nel quale risiedono, chi si è trovato più in disaccordo sono i francesi, con il 32,6%.

L’emergenza sbarchi nel 2015
Il 2015 è stato un anno nel quale gli arrivi via mare hanno costituito un’emergenza sociale e politica, per i Paesi coinvolti ma anche per l’Unione Europea nel suo complesso. Entrambi hanno trovato enormi difficoltà nel gestire quella che è stata definita a più voci “l’emergenza sbarchi”, tuttora rimasta irrisolta.
L’opinione dei giovani europei in merito a quest’ultima riflette lo smarrimento di chi si trova ai vertici: le quote di coloro che nei cinque Paesi hanno dichiarato di non saper esprimere un’opinione sono elevate (20% nel Regno Unito, 16,4% in Spagna e 14,9% in Francia). In tutti e cinque i Paesi, prevale l’opinione per cui andrebbero accolti soltanto i profughi. I più accoglienti sono gli spagnoli, il 27% dei quali dichiara che bisognerebbe accogliere tutti i migranti, a prescindere dalle ragioni del loro viaggio.

 

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I giovani e la famiglia

Il processo di formazione di una famiglia rappresenta uno dei passaggi cruciali che costituiscono la transizione all’età adulta.  In Italia, questo processo risulta posticipato rispetto a quanto accade nel resto d’Europa. Nel nostro Paese l’età media di uscita dalla casa dei genitori è pari a circa 30 anni: la conquista “ritardata” dell’autonomia fa slittare in avanti anche la formazione di una propria famiglia, ed eventualmente la scelta della maternità e paternità.

 

A sua volta, il rinvio reiterato del primo figlio riduce il tempo disponibile, aumentando così le probabilità di non avere figli per tutta la vita, o riducendo le possibilità che nascano secondogeniti e terzogeniti. Nel complesso, tutto questa fa sì che il nostro Paese si caratterizzi per un tasso molto basso di fecondità, addirittura fra i più bassi d’Europa. Dobbiamo dedurne che tra i giovani italiani si sta diffondendo una crescente disaffezione verso l’idea di diventare genitori?
In realtà, se guardiamo alle condizioni oggettive in cui si trovano a muoversi i Millennials italiani, troviamo un Paese in cui le istituzioni non sono state in grado di sostenere i giovani nel processo di acquisizione di autonomia, né li hanno supportati quando si è trattato di adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro. Ancora oggi, inoltre, le politiche di welfare non riescono a far fronte a una situazione in cui sempre più donne lavorano.

 

Tale contesto risulta infine esasperato dalle conseguenze della crisi economica, che fra il 2008 e il 2014 ha determinato un periodo di recessione senza precedenti nella storia del dopoguerra. Oggi i giovani vivono spesso situazioni lavorative di grande precarietà, che frenano progetti e aspettative per il futuro.
Queste dinamiche, però, non si limitano a incidere sulla sfera privata e sui desideri di coppia, ma hanno importanti ricadute per tutta la società. Esse infatti accentuano il processo di invecchiamento della popolazione, e questo fa sì che l’Italia sia sempre meno competitiva anche in termini di mercato del lavoro.
Il Rapporto Giovani si prefigge di indagare le aspettative di fecondità in Italia e la percezione del nucleo familiare secondo i giovani europei. I temi della ricerca: Le aspettative di fecondità; Il confronto tra 2012 e 2015; La percezione della famiglia nei Paesi europei

Le aspettative di fecondità
Per questo approfondimento, è stato richiesto agli intervistati il numero di figli idealmente desiderato per l’intera vita, e successivamente è stato chiesto quanti figli ci si aspetta effettivamente di riuscire ad avere, tenendo conto del contesto. Le risposte mostrano una tendenza evidente: le preferenze relative al numero di figli idealmente desiderati superano quelle che tengono conto del contesto reale. In assenza di costrizione, oltre l’80% degli uomini e delle donne vorrebbe infatti una famiglia composta da due o più bambini. Tenendo conto di limiti e costrizioni, però, tale percentuale scende attorno al 60%. In media, gli intervistati vorrebbero avere in tutto più di due figli, ma alla luce delle condizioni si scende “realisticamente” a uno. Se poi si guarda a una prospettiva di breve periodo, solo il 20% degli uomini (contro il 30% delle donne) prevede di avere un figlio entro i prossimi tre anni. Di tale quota, solo il 30% dei rispondenti prevede di averlo entro i dodici mesi. Una delle variabili di maggior interesse nella scelta di avere figli è l’occupazione: il  possesso di un impiego mostra un impatto decisamente positivo, rispetto a chi è disoccupato o inoccupato. Un altro fattore influente è il titolo di studio: chi ha un titolo di studio elevato tende a essere maggiormente impegnato nella valorizzazione del proprio capitale umano nel mondo del lavoro, e questo porta a ridurre le intenzioni di fecondità nel brevissimo termine.

Il confronto tra 2012 e 2015
Se si guarda alle intenzioni di mettere al mondo un figlio nei prossimi tre anni, si denota un incremento delle risposte positive dal 2012 al 2015. (Sul brevissimo periodo di un anno, invece, non sono state registrate differenze). Il risultato va preso con una certa cautela, ma è possibile leggere la positiva intenzione di fare figli a tre anni come la conseguenza di un maggiore clima di fiducia, che porta a pensare di poter recuperare scelte congelate nel periodo di recessione.

La percezione della famiglia nei Paesi europei
È stata dedicata un’indagine ad hoc al modo in cui i giovani europei vivono e considerano l’ambiente familiare, confrontando i dati raccolti in Italia, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito. Il primo ciclo di domande ha riguardato la rappresentazione della famiglia. Per quanto riguarda l’affermazione “la famiglia è semplicemente vivere insieme”, emerge una differenza statisticamente significativa tra i cinque Paesi considerati: in generale, la Germania è il Paese che riporta medie del “sì” più elevate, seguita dalla Francia. La Spagna riporta le medie più basse, seguita dalla Gran Bretagna. L’Italia si colloca in un posizione intermedia.
È stato poi considerato il ruolo della famiglia di origine come supporto nella vita del singolo. Rispetto all’affermazione “quanto ti ha aiutato la tua famiglia a stare bene con gli altri”, l’Italia si qualifica come il Paese con le medie di adesione più elevate, laddove i valori più bassi vanno attribuiti alla Spagna. Per quanto riguarda la capacità della famiglia di insegnare a rispettare le regole, le medie più elevate si registrano in Francia e in Italia, quelle più basse nel Regno Unito e in Spagna.
Infine, sono stati raccolti dei dati in merito all’influenza della famiglia di origine su alcune scelte di vita. Eccone alcune: il partito per cui votare (in cui le medie più basse si registrano fra i giovani spagnoli e le più alte nel Regno Unito); fare o meno volontariato (che vede in testa italiani e francesi); sposarsi o no (dove i meno influenzati sono francesi e spagnoli); il percorso di studio (che vede uno stacco netto fra gli italiani, i più influenzati dalla famiglia di origine, e gli altri Paesi UE); la fede in Dio (gli italiani si confermano quelli più legati all’ambiente di origine, e gli spagnoli i più autonomi); infine la carriera professionale, nella quale i più influenzati sono i giovani tedeschi.

 

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