Home Blog Pagina 92

Attenti alle disuguaglianze, i giovani ammirano i leader come Mandela

Ph. winnifredxoxo
Ph. winnifredxoxo
Ph. credit: winnifredxoxo (Flickr)

Attenti alle disuguaglianze, sia a livello sociale che economico, ma senza troppe illusioni sul potere dei governi di cambiare le cose. A un primo impatto, l’ultimo ritratto dei Millennials che emerge da un report del World Economic Forum non ci dice niente di nuovo. Bisogna guardare ai dettagli, alle percentuali “secondarie” tra le voci dell’indagine, per trovare qualche spunto di riflessione in più.

Partiamo dalla domanda canonica, quella che va a scandagliare i grandi temi, le questioni che per i Millennials rivestono oggi un ruolo di primaria importanza. In cima alla lista troviamo la disuguaglianza, sociale ed economica, percepita come il problema più urgente da risolvere sia a livello locale (43%) che mondiale (56%). Se però scendiamo al secondo “posto” fra le priorità dei giovani, queste cambiano a seconda che il contesto sia la città o il pianeta. A livello locale, infatti, il 31% degli intervistati ha indicato come tema forte la disoccupazione giovanile; in una prospettiva mondiale, invece, la scelta del 42% ricade su clima e rispetto dell’ambiente. Come a dire: l’attenzione per le sorti del pianeta resta alta, ma quando si guarda alla vita di tutti i giorni passa rapidamente in secondo piano.

Dei giovani non è facile nemmeno guadagnarsi la fiducia, come emerge da un altro quesito dell’indagine. Il governo federale e quello locale sono considerati istituzioni oneste, eque ed imparziali? La risposta è no per il 50% (governo federale) e per il 47% (governo locale). Ne escono malridotti anche i mezzi di informazione, ai quali va la sfiducia del 46% degli intervistati. È considerato equo e onesto, invece, il proprio datore di lavoro: a dirlo è il 68% dei candidati.

Infine, non stupisce che il leader più apprezzato dai Millennials sia Nelson Mandela, che della lotta alle disuguaglianze sociali ha fatto la ragione di un’intera esistenza. Il secondo leader più ammirato è papa Francesco, primo pontefice latinoamericano nella storia della Chiesa cattolica. Al terzo posto, tuttavia, si posiziona un personaggio di tutt’altra natura: parliamo di Elon Musk, imprenditore sudafricano naturalizzato statunitense, nonché ideatore di Paypal. Negli ultimi tempi ha fatto parlare di sé per i suoi progetti futuristi, tra cui Hyperloop, una sorta di “ultra-treno” che dovrebbe arrivare da Los Angeles a San Francisco (seicento chilometri) in mezzora. Attenti ai problemi di oggi insomma, ma i giovani sanno anche guardare lontano.

Il report pubblicato dal World Economic Forum raccoglie i dati del Global Shapers Annual Survey 2015, un’indagine condotta su oltre mille giovani fra i 20 e i 30 anni, distribuiti in 285 città su 125 Paesi di tutto il mondo.

Quando i Millennials diventano genitori. La cover story di TIME

La rivista statunitense TIME torna a occuparsi dei Millennials, con un’altra storia di copertina dedicata alla Generazione Y. Dopo la celebre inchiesta sulla Me Me Me Generation, TIME riporta l’attenzione sulla fascia giovanile, e questa volta osserva i Millennials in una veste inconsueta: quella di genitori. Quali sono le loro idee su come crescere i figli? Quali le differenze rispetto alle generazioni precedenti? La rivista esce in edicola il prossimo 26 ottobre, ma nel frattempo il magazine americano ha pubblicato un’infografica con alcune anticipazioni. La trovate di seguito.

 

millennials - TIME

 

 

Il cinema giovane viaggia su smartphone e parla inglese

Photo credit: Joakim Wahlander
Photo credit: Joakim Wahlander
Photo credit: Joakim Wahlander

Il cinema dei Millennials viaggia su smartphone e porta la firma dei registi americani. A dirlo è una recente indagine condotta nell’ambito del Rapporto Giovani,  su commissione dell’Ente Fondazione dello Spettacolo. L’approfondimento è stato realizzato su una rosa di 1.600 giovani nati dal 1982 al 1994, interrogati circa il consumo di film e cinema.

Per quanto riguarda i supporti, dai dati è emerso che il dispositivo tecnologico più utilizzato in famiglia per la visione dei film è lo smartphone (79,4%), seguito dalla tv (77,8%). Il tablet viene utilizzato dal 43,4% del campione. Se invece guardiamo alla tipologia delle pellicole, in generale i giovani preferiscono quelle americane (61,5%): il cinema italiano, dal canto suo, raccoglie una percentuale di consensi pari alla metà, il 33,6%. Tra i film europei, i preferiti sono i francesi.

Al cinema si va soprattutto in cerca di commedie (25,7%), seguite dai thriller  (18.2%), mentre riscuotono poco successo documentari e film storici (o tratti da storie vere). Nella scelta dei film da vedere il web gioca un ruolo sempre più preponderante, che scavalca ormai anche il parere degli amici. I giovani intervistati, infatti, quando decidono di andare al cinema si informano prevalentemente online, sia per la programmazione sia per le recensioni delle pellicole.

In linea con i trend degli ultimi anni, il luogo designato per la visione è soprattutto il multisala (70,7%), che spesso è anche il cinema più vicino a casa. In questo senso, il Sud si differenzia rispetto al resto del territorio: soltanto il 67,9% dei giovani del Sud ha come cinema più vicino a casa il multisala, rispetto al 78% di coloro che abitano al Nord. Resta il problema del biglietto: i costi elevati sono ancora un freno per l’acquisto da parte dei giovani. I Millennials intervistati, infatti, hanno dichiarato che andrebbero di più al cinema se il prezzo fosse più accessibile (68,3%).

Scarica il comunicato completo

“Millennials al cinema”: un evento alla Festa del Cinema di Roma

Lunedì 19 ottobre, alle ore 10.30, in occasione della Festa del Cinema di Roma, saranno presentati allo Spazio Arte – Rai Movie i dati della ricerca “Millennials al cinema”, commissionata dall’Ente Fondazione dello Spettacolo nell’ambito del Rapporto Giovani, l’indagine a cura dell’Istituto Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo.

L’indagine ha riguardato i Millennials (un campione, rappresentativo a livello nazionale, di 1.600 giovani nati dal 1982 al 1994) e la fruizione di film e cinema. I dati verranno presentati da Rita Bichi, Ordinario di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, curatore del Rapporto Giovani.

Interverranno

Luigi Cuciniello, presidente Anec

Davide Milani, presidente Ente Fondazione dello Spettacolo

Silvia Strada, Comunicazione e Relazioni esterne Agenzia Nazionale per i Giovani

Modera

Bruno Zambardino, docente di Economia e Organizzazione dello Spettacolo all’Università La Sapienza di Roma

Scarica il programma

“Capitale adolescenti”: la sfida del passaggio all’età adulta

Martedì 13 ottobre 2015, alle ore 10.00, si terrà a Roma la presentazione della ricerca “Capitale adolescenti. La sfida del passaggio all’età adulta in una società complessa” realizzata nelle scuole e tra i ragazzi e le ragazze della Capitale. L’evento si svolgerà presso la sala della Protomoteca in Campidoglio. L’iniziativa è promossa dai Salesiani di Roma in collaborazione con l’Istituto Toniolo, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Università Pontificia Salesiana.

Intervengono, tra gli altri,  DON LEONARDO MANCINI,  superiore salesiano per l’Italia Centrale, FRANCESCA DANESE, assessore alle Politiche Sociali di Roma Capitale, MARCO ROSSI DORIA, assessore alle Politiche Educative, Scolastiche e Giovanili di Roma Capitale, EMILIANO SIRONI, ricercatore  presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ELENA MARTA, docente di Psicologia Sociale e di Comunità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, GIULIANO VETTORATO, direttore dell’Istituto di Sociologia della Pontificia Università Salesiana e GIANCARLO CURSI, docente di Pedagogia Sociale presso la Pontificia Università Salesiana.

Disposti a pagarla, purché sia di carta. I Millennials e l’informazione

Ph. Jon S (Flickr)
Ph. Jon S (Flickr)
Ph. Jon S (Flickr)

Arriva una buona notizia per il mondo dei media: i giovani sono disposti a pagare per accedere alle notizie. Con una precisazione, che incontrerà il favore di alcuni e lo sconforto di altri: l’informazione “che vale”, quella per cui si mette mano al portafogli, rimane quella di quotidiani e riviste. Insomma, la tanto vituperata carta, data per spacciata un giorno sì e uno anche, resiste ancora. È quanto emerge da uno studio condotto sui Millennials americani, intitolato How Millennials get news: paying for content. L’indagine, che ha coinvolto circa mille giovani statunitensi  fra i 18 e i 34 anni, è stata condotta da Media Inside Project, su iniziativa dell’American Press Institute e di Associated Press-NORC Center for public affairs research.

Nel complesso, il 78 per cento degli intervistati ha sottoscritto un abbonamento per avere dei contenuti a pagamento, legati però alla sfera dell’entertainment. La maggior parte riguarda l’accesso a film online o in tv, seguiti dalla musica e dai video games. Se andiamo alle news, la percentuale di chi paga per avere dei contenuti a pagamento si attesta sul 40 per cento, quindi circa la metà. In particolare, il 21 per cento sottoscrive abbonamenti ai magazine, e il 15 per cento ai quotidiani cartacei. La percentuale scende all’ 11 per cento per i magazine digitali e al 10 per i quotidiani nello stesso formato.

Chi paga per le news tende ad avere un’età più avanzata, e a sfruttare la possibilità di aggiornarsi anche per le proprie esigenze lavorative. Cambia anche il modo in cui ci si approccia ai social network. Questi rimangono la risorsa più diffusa per informarsi, ma chi fa uso di notizie a pagamento mostra una maggiore propensione a condividere contenuti di questo tipo, o a commentare i post che li riguardano. Infine, i Millennials che utilizzano sottoscrizioni a giornali o riviste seguono di più lo sport e la politica rispetto a coloro che non le usano.

Ma perché “gli altri” giovani non vogliono pagare per accedere alle notizie? In realtà, le motivazioni che sono emerse dalle interviste non riguardano un mancato interesse nei confronti dell’informazione. Per alcuni, semplicemente non ce n’è bisogno, dato il panorama sterminato di informazione free che ci circonda. Un altro fronte si appella invece al proprio status di cittadino: essere informato è un mio diritto, perché è ciò che mi rende un membro attivo e consapevole della società, dunque non devo essere obbligato a pagare per aggiornarmi. Resta da capire cosa ne pensano gli editori.

I giovani italiani sempre più sfiduciati

Ph. credits Sander van der Wel
Ph. credits Sander van der Wel
Ph. credits Sander van der Wel

Disoccupati, angosciati, e adesso anche sfiduciati.  Rispetto ai coetanei di Germania, Gran Bretagna, Francia e Spagna, i giovani italiani sono quelli che vedono con maggior preoccupazione la situazione attuale del proprio Paese, e considerano le opportunità che offre sensibilmente peggiori rispetto al resto del mondo sviluppato. Oltre il 75% ha questa opinione. Notevolmente più favorevole,invece, la condizione del proprio Paese agli occhi di  francesi e inglesi. I più “sereni”, va da sé, sono i giovani tedeschi. La Germania presenta tassi di disoccupazione giovanile particolarmente bassi, di conseguenza registra la più bassa quota di giovani che considerano le opportunità in patria inferiori rispetto agli altri (appena l’8,6%).

Sono questi alcuni dati emersi dall’approfondimento internazionale sulla condizione delle nuove generazioni, realizzato a luglio 2015 nell’ambito dell’indagine “Rapporto giovani”. È stato intervistato un campione di mille giovani distribuiti fra Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia e Spagna.

Secondo il dossier, negli ultimi trent’anni si sono prodotte due grandi trasformazioni che hanno depotenziato il ruolo delle nuove generazioni italiane. La prima è stata la contrazione della fascia giovanile, dovuta al calo della natalità. La seconda dipende dal mercato del lavoro, dal quale i giovani sono si sono trovati esclusi. Al di là del tipo di contratto e delle modalità di impiego, quella che si è deteriorata è l’opportunità di essere inseriti in processi di crescita, di dimostrare quanto si vale e di veder riconosciuto pienamente tale valore. Di qui, il calo di fiducia che ha colpito le nuove generazioni.

Rispetto a questo scenario non incoraggiante, i giovani italiani non rimangono però passivi. In particolare, possiamo individuare tre possibili strategie di reazione. La prima è quella di un adattamento al ribasso, in attesa che le condizioni possano migliorare. I dati rilevati negli ultimi anni dal “Rapporto giovani” mostrano come sia cresciuta la propensione ad accettare anche un lavoro sotto inquadrato e sotto remunerato, pur di non rimanere inattivi. La seconda consiste nel diventare più intraprendenti: la maggioranza degli intervistati considera potenzialmente più appagante un lavoro gestito in proprio che alle dipendenze. La terza, infine, è l’opzione estero, sempre più battuta.

Scarica il comunicato completo con le tabelle dei dati

Giovani italiani all’estero. La storia di Annalisa all’Onu

Annalisa PellegrinoAlla voce “nazionalità”, sul passaporto c’è scritto “italiana”, vicino a una data di nascita che ultimamente suona come una sentenza. Annalisa è giovane, è nata e cresciuta in Italia, e vive all’estero. Prima di sprofondare nella retorica del “cervello in fuga”, però, val la pena fare una precisione.

Annalisa Pellegrino è una dei vincitori del Fellowship Program UNOG, un’iniziativa promossa dall’Istituto G. Toniolo e giunta ora alla seconda edizione. Il programma è rivolto agli studenti laureati (e laureandi) all’Università Cattolica che sognano la carriera diplomatica. A loro viene offerta l’opportunità di fare uno stage presso gli uffici ginevrini della Missione Permanente della Santa Sede, presso le Nazioni Unite. Annalisa è arrivata a Ginevra a febbraio, dopo tanti viaggi che l’hanno portata in giro per il mondo, e le hanno rivelato a poco a poco quale sarebbe stata la sua strada.

Come è nata la tua passione per l’ambito delle relazioni diplomatiche?

È nato tutto al liceo. Ho partecipato a un concorso provinciale che aveva come premio un viaggio di studio all’estero: ho vinto, e sono volata in Russia e in Ucraina. L’anno successivo ho accompagnato i vincitori della nuova edizione e ho aiutato a organizzare il viaggio, che ci avrebbe portato in Israele. Queste prime esperienze mi hanno aperto gli occhi sul mondo delle relazioni internazionali, anche grazie a una serie di incontri a cui ho partecipato. All’università poi ho fatto la triennale in Cattolica in Lingue per le relazioni internazionali –dove ho studiato arabo, la mia grande passione –, e la specialistica (sempre in Cattolica) in Scienze politiche per le relazioni internazionali.

Di cosa ti occupi all’Onu?

Lavorando con la Missione della Santa Sede posso seguire diverse agenzie internazionali. In questi giorni ad esempio sto seguendo il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, ma mi sono occupata anche di donne, sanità, commercio, politiche per lo sviluppo, proprietà intellettuale… è un panorama molto ampio. Nello specifico, il mio lavoro si divide in una parte “di ufficio”, in cui svolgo delle ricerche su diversi temi, e in un’altra in cui seguo vari comitati o incontri all’Onu, per i quali scrivo una serie di rapporti che vanno poi inviati a Roma. Tutto questo mi dà la possibilità di confrontarmi con realtà molto diverse e di tenermi aggiornata, in un certo senso si continua sempre a studiare.

C’è un’area del mondo a cui ti senti particolarmente legata?

Amo molto il Medio Oriente, proprio perché ho approfondito la studio della lingua e della cultura araba, oltre che della religione islamica. In questo momento, in particolare, mi sento molto coinvolta nella “questione” siriana: ho vissuto a Damasco per un breve periodo nel 2010, ed è stata un’esperienza bellissima. Ho avuto la fortuna di girare tutto il Paese poco prima che scoppiasse la crisi: ho visitato città come Aleppo, Homs, Palmira, ho trovato luoghi stupendi e una popolazione accogliente. Nonostante tutti i problemi della Siria di allora, in primis la dittatura di Bashar al-Assad, ho potuto apprezzare l’equilibrio prezioso che c’era fra le varie comunità religiose. Ho tanti ricordi di cene con musulmani e cristiani nel quartiere cristiano di Damasco, e viceversa. La famiglia che mi ha ospitato si trova ancora lì: hanno molta paura e non sanno bene che cosa succederà, hanno tentato di scappare ma purtroppo non è stato possibile.

Quali sono gli aspetti che ti hanno colpito di più, di questa tua esperienza alle Nazioni Unite?

L’ambiente dell’Onu è stata una grande rivelazione. Per me è un’emozione indescrivibile poter assistere a queste assemblee: immaginatevi com’è arrivare dall’università e trovarsi al Consiglio per i Diritti Umani, dove si tiene un dibattito di altissimo livello. D’altro canto, all’inizio subentra anche una sorta di delusione, perché quando uno arriva la prima volta è molto idealista, vorrebbe vedere le cose cambiare, vorrebbe vedere gli Stati che prendono posizioni nette su determinate questioni. Invece ci si scontra con la politica, che è fatta anche di compromessi, e a volte si ha l’impressione che si parli tanto ma senza fare davvero qualcosa. L’aspetto interessante della mia esperienza all’Onu è che dalla commistione tra queste emozioni contrastanti è nato un approccio più realista. Ho capito che non si cambia il mondo dall’oggi al domani, e che dietro ai discorsi “ufficiali” c’è tutto un lavoro diplomatico paziente, lungo e magari meno evidente, che però nel tempo cerca davvero di migliorare la situazione. Per questo dico che per me è fondamentale il rapporto con le persone che ho incontrato nella Missione: sono dei grandi maestri, che mi hanno insegnato come  stare davanti a queste contraddizioni senza rimanerne schiacciata.

Cosa significa fare relazioni diplomatiche in una delegazione vaticana? C’è un valore aggiunto?

Quando si lavora nella delegazione di uno Stato, la prospettiva è sempre relativa agli interessi di quell’area, ai rapporti privilegiati con i partner politici o commerciali con cui bisogna trattare. Raramente – a meno di progetti particolari – si alza un po’ la testa. La Chiesa cattolica invece è un’entità davvero universale, una realtà con cui ogni Paese bene o male si deve confrontare: questo ci dà la possibilità di sviluppare una relazione diversa, e più diretta, con tutti gli altri Stati. E poi resta il fatto che il Papa ha una visibilità enorme sull’arena internazionale. Da parte mia penso che la Chiesa abbia una posizione privilegiata nel tentare di risolvere pacificamente i conflitti, proprio per questo ruolo di ponte che ha sempre avuto.

Non pensi che potrebbe essere un ostacolo, nelle tue future relazioni con il mondo arabo e islamico?

Personalmente la vedo in un modo diverso. Innanzitutto io non posso “togliermi di dosso” la mia identità: il solo fatto di essere occidentale, ad esempio, ce l’ho scritto sul passaporto, e questo sarà sempre determinante nei miei rapporti con il mondo musulmano, e in generale con quello mediorientale. In realtà penso che proprio la mia appartenenza alla Chiesa cattolica mi abbia aiutata a non chiudermi su posizioni integraliste. Anzi, mi ha spinto a studiare approfonditamente la religione musulmana, la storia, la letteratura e tutta la ricchezza del patrimonio islamico, che tanto mi ha insegnato anche rispetto alla mia fede. Nel rapporto con gli amici musulmani, l’essere chiara e limpida sulla mia appartenenza alla Chiesa mi ha consentito di aprirmi di più all’altro e di esserne accolta, e ho in mente delle amicizie precise mentre lo dico. Penso a una compagna di corso musulmana, a molti ragazzi che ho conosciuto al Cairo, al mio professore siriano: non è mai stato un limite, è stato un vantaggio.

Saranno i Millennials a salvare il sindacato?

27406_pellizza

 

Potrebbero essere i Millennials a salvare il sindacato? Con questa domanda si apre un’inchiesta pubblicata di recente da The Atlantic, la storica rivista statunitense. Negli Usa la rappresentanza sindacale registra minimi storici, soprattutto se consideriamo i dati relativi alla fascia più giovane. Stando ai dati diffusi dal Bureau of Labor Statistics per l’anno 2014, sul totale degli iscritti al sindacato solo il 4,5% è costituito da soggetti fra i 16 e i 24 anni. La percentuale sale al 9,5% per gli iscritti fra i 25 e i 34 anni.

Nell’articolo di The Atlantic, tuttavia, si segnalano una serie di iniziative spontanee che segnano una (possibile) inversione di tendenza.  Prima fra tutte, la decisione clamorosa da parte di Gawker Media – una media company leader nel campo dell’informazione online – che a giugno ha aderito a Writers Guild of America East, una union riservata ai professionisti delle cosiddette “industrie creative”.  Un esempio di questo tipo apre nuovi scenari per il futuro del sindacato, che si potrebbe rivolgersi a tutto quel mondo – così tipico della “generazione Millennials” – che racchiude professioni legate al digitale, ai media, alla grafica, al design…

Non solo, ciò che fa ben sperare è una nuova attitudine dei giovani nei confronti della rappresentanza sindacale. Al netto delle adesioni, infatti – che restano minime –, i Millennials americani mostrano di privilegiare proprio quei  valori che hanno fatto la storia del sindacato: più flessibilità sul lavoro, trasparenza, attenzione agli squilibri salariali. Da qui, l’idea che proprio una generazione così precaria possa essere quella che rifonda un’istituzione così “datata”, nata da un modo di lavorare completamente diverso.

E nel nostro Paese? Il problema più evidente, nel caso dell’Italia, è anzitutto la scarsissima attenzione dedicata a questa tematica. Com’è noto, non esistono cifre ufficiali per gli iscritti al sindacato: in base ai dati dichiarati dalle tre principali confederazioni (CGIL, CISL e UIL) per il 2014, siamo su un totale di circa 12 milioni di persone. Di queste, tuttavia, una buona parte sono pensionati, e sulla quota di giovani le cifre sono pressoché introvabili.

Nel frattempo, i media restituiscono una fotografia della situazione ormai nota: complici la crisi economica e un mondo del lavoro sempre più frammentato, la disaffezione dei giovani italiani nei confronti della rappresentanza sindacale tende a farsi sempre più forte. Per assurdo, insomma, la categoria più vulnerabile sembra essere anche quella più sfiduciata. E i segnali di ottimismo, per ora, restano pochi.

Giovani che non studiano e non lavorano: un evento a Bookcity 2015

book_city_milanoNel 2014 l’Italia ha raggiunto il record europeo di NEET, giovani che non studiano e non lavorano. Siamo diventati la fabbrica principale nel mondo sviluppato di inattività giovanile, i più bravi a trasformare il potenziale dei giovani in un costo sociale. Come è successo? Come vivono i giovani tale situazione? E qual è la soluzione?

Queste le domande a cui Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale dell’Università Cattolica di Milano e presidente dell’Associazione «ITalents», tenta di dare una risposta. Lo fa con un testo-inchiesta che combina  indicatori ufficiali aggiornati, dati di indagini specifiche e storie di vita, all’interno di un solido quadro che deriva da analisi e ricerche scientifiche condotte in molti anni. Il testo si intitola Giovani che non studiano e non lavorano. Come riattivare i Neet e far ripartire l’Italia, ed è edito da Vita e Pensiero.

La presentazione avverrà giovedì 22 ottobre alle ore 11.00 presso la libreria Vita e Pensiero, nell’ambito delle iniziative legate a Bookcity 2015. Nel corso dell’evento, l’autore prenderà parte a un dibattito con Carlo Dell’Aringa, già sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, e Jhonny Dotti, Presidente di Welfare Italia e della Fondazione Solidarete, dedita allo sviluppo dell’impresa nel sud del mondo.

L’evento è promosso insieme all’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, che dal 2012 ha avviato un’indagine sul mondo giovanile. Alcuni degli approfondimenti sono raccolti nella collana “Quaderni del Rapporto Giovani” (Vita e Pensiero) i cui volumi sono scaricabili gratuitamente.

La locandina dell’evento

Ultime News