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GIOVANI NEL LABIRINTO ITALIA: IL 70% NON CREDE ALLA CRESCITA NEI PROSSIMI 3 ANNI”‏

I giovani italiani sono sempre più disillusi rispetto alla possibilità di trovare lavoro in Italia e sempre più disponibili a guardare fuori confine. Oltre l’85% degli intervistati (19-32 anni) è convinto, infatti, che in Italia siano scarse o limitate le opportunità lavorative legate alle proprie competenze professionali. Il perdurare della crisi economica e la carenza di efficacia delle politiche passate, inoltre, ha generato una forte sfiducia nel futuro: oltre il 70% ritiene, infatti, di avere poca o per nulla fiducia che l’Italia nei prossimi anni riuscirà a tornare a crescere sul livello degli altri paesi sviluppati. I giovani vedono le proprie capacità e intraprendenze indissolubilmente frenate dai limiti del sistema paese e dalle carenze della politica finora incapace di rimettere le nuove generazioni al centro della crescita.

 

E’ questo il pensiero dell’universo giovanile come emerge dal Rapporto Giovani 2014. E’ nelle librerie, proprio in questi giorni, il volume“La condizione giovanile in Italia – Rapporto Giovani 2014, edito da Il Mulino.  Si tratta del secondo rapporto annuale basato sui dati di un’ampia indagine nazionale promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo. La ricerca è stata elaborata a partire da un panel di 5000 persone tra i 19 e i 32 anni rappresentativo a livello nazionale.

 

La principale causa della disoccupazione è attribuita dal 37,3% dei giovani ai limiti dell’offerta del mercato del lavoro, considerata sia ridotta come quantità sia bassa come qualità, a cui va aggiunta una mancanza d’investimenti in ricerca e sviluppo. Il 20,9% ritiene che si debbano migliorare meccanismi di reclutamento, legati a regole troppo rigide e lontani dalla meritocrazia. Solo il 19,2% attribuisce ogni causa alla crisi economica, mentre il 17,4% è autocritico: a loro avviso i giovani non trovano lavoro per via della poca esperienza (15,3%), di una scarsa formazione e dalla difficoltà ad accettare alcuni tipi di lavori.

 

Nel contesto attuale il 70% dei giovani vede il domani pieno di rischi ed incognite. Disoccupazione e impieghi precari spingono sempre di più i giovani ad essere concreti e pragmatici. E’ così che il 75,7 % (80% dei giovani al Sud – 71,4% al Nord) rinuncia a programmare il proprio futuro per affrontare le difficoltà del presente. Se nel 2012 il lavoro era ancora considerato più un luogo di autorealizzazione che un mezzo per procurarsi reddito, ora, la situazione è completamente capovolta. L’obiettivo primario è quello di trovare un’occupazione retribuita rinviando nel medio-lungo periodo la propria realizzazione personale.

 

Il 70% pensa sarebbe più giusto arrivare a percepire a 35 anni tra i 1000 e i 2000 euro mensili, ma oltre la metà dei rispondenti teme che non riuscirà ad andar oltre i 1500Le difficoltà a trovare un lavoro hanno intaccato nei giovani non solo la fiducia nelle istituzioni, ma hanno anche ridotto il senso di appartenenza sociale, portando i giovani a rifugiarsi nella rete parentale più ristretta al punto che solo il 35% circa ritiene che la maggior parte delle persone sia degna di fiducia. Un alto grado di fiducia viene riposto unicamente nei famigliari e negli amici: l’80% dei giovani si ritiene infatti soddisfatto dei propri rapporti.

 

I dati del Rapporto Giovani” – afferma il prof. Alessandro Rosina, tra i curatori dell’indagine – ”aiutano ad andare oltre e rivelano come nelle nuove generazioni rimanga complessivamente alta la volontà di non rassegnarsi, ma come crescente sia anche la frustrazione per il sottoutilizzo delle proprie potenzialità. Sempre più complicato è trovare la propria strada. Una condizione che, complessivamente, rende il percorso di transizione alla vita adulta simile ad un labirinto nel quale alto è il rischio di girare a vuoto nonostante gli sforzi e buona volontà. In particolare i Neet sono la categoria più a rischio di perdere ogni speranza di miglioramento in carenza di politiche concrete ed efficaci in grado di aiutare i giovani italiani a mettere basi solide al proprio futuro attraverso una adeguata collocazione nel mondo del lavoro”.

 

“Scuola, Università, Lavoro- giovani tra desideri e speranze”: il Rapporto Giovani presentato a Bologna

Bologna- Martedì 16 dicembre nell’aula magna dell’Itis Belluzzi di via G.D. Cassini 3, si è tenuto il convegno dal titolo “Scuola, Università, Lavoro- giovani tra desideri e speranze”. Dopo il saluto introduttivo del preside Giuseppe Pedrielli nel corso dell’incontro è intervenuta anche Cristina Pasqualini, docente di Sociologia generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha presentato i dati del “Rapporto Giovani 2014-la condizione giovanile in Italia”. Al termine del successivo dibattito, che ha visto l’intervento di Matteo Cuttarello, studente dell’Università Cattolica e co-fondatore di Readbook, Matteo Ferrari, docente di Religione cattolica all’Itc “G.Salvemini” di Casalecchio di Reno (Bologna) ha tratto le conclusioni della giornata: un incontro positivo per capire sempre di più i problemi e le aspettative dei giovani.

Il Rapporto Giovani presentato a Melfi

A Melfi, giovedì 18 dicembre al museo civico di Palazzo Donadoni a Melfi, è stato presentato il volume “La condizione giovanile in Italia – Rapporto Giovani 2014” (ed. Il Mulino).  I dati presenti nel secondo rapporto annuale dell’indagine sui giovani italiani sono stati illustrati dal professor Emiliano Sironi del Laboratorio di Statistica applicata dell’Università Cattolica di Milano.

locandina Melfi

Il Rapporto Giovani 2014 presentato alla presenza del ministro Poletti

I giovani italiani sono sempre più disillusi rispetto alla possibilità di trovare lavoro in Italia e sempre più disponibili a guardare fuori confine. Oltre l’85% degli intervistati (19-32 anni) è convinto, infatti, che in Italia siano scarse o limitate le opportunità lavorative legate alle proprie competenze professionali. Il perdurare della crisi economica e la carenza di efficacia delle politiche passate, inoltre, ha generato una forte sfiducia nel futuro: poco meno di uno su quattro è convinto (“molto” o “abbastanza”) che l’Italia avrà un rilancio entro i prossimi tre anni, uno su cinque lo esclude categoricamente, mentre la maggioranza è appesa ad un po’ di fiducia (51,3%) ovvero tiene socchiusa la porta della speranza in attesa di segnali forti e concreti di svolta.

E’ questo il pensiero dell’universo giovanile come emerge da “La condizione giovanile in Italia – Rapporto Giovani 2014, edito da Il Mulino presentata a Roma alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, del presidente delle Acli, Gianni Bottalico, del presidente giovani Confindustria, Marco Gay.  Si tratta del secondo rapporto annuale basato sui dati di un’ampia indagine nazionale promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo. La ricerca è stata elaborata a partire da un panel di 5000 persone tra i 19 e i 32 anni rappresentativo a livello nazionale.

La principale causa della disoccupazione è attribuita dal 37,3% dei giovani ai limiti della domanda nel mercato del lavoro, considerata sia ridotta come quantità sia bassa come qualità, a cui va aggiunta una mancanza d’investimenti in ricerca e sviluppo. Il 20,9% ritiene che si debbano migliorare meccanismi di reclutamento, legati a regole troppo rigide e lontani dalla meritocrazia. Solo il 19,2% attribuisce ogni causa alla crisi economica, mentre il 17,4% è autocritico: a loro avviso i giovani non trovano lavoro per via della poca esperienza (15,3%), di una scarsa formazione e dalla difficoltà ad accettare alcuni tipi di lavori.

Nel contesto attuale il 70% dei giovani vede il domani pieno di rischi ed incognite. Disoccupazione e impieghi precari spingono sempre di più i giovani ad essere concreti e pragmatici. E’ così che 0505il 75,7% (80% dei giovani al Sud – 71,4% al Nord) rinuncia a programmare il proprio futuro per affrontare le difficoltà del presente. Se nel 2012 il lavoro era ancora considerato più un luogo di autorealizzazione che un mezzo per procurarsi reddito, ora, la situazione è completamente capovolta. L’obiettivo primario è quello di trovare un’occupazione retribuita rinviando nel medio-lungo periodo la propria realizzazione personale.

IL 70% pensa sarebbe giusto aspettarsi di percepire a 35 anni tra i 1000 e i 2000 euro mensili, ma oltre la metà dei rispondenti teme che non riuscirà ad andar oltre i 1500.

La carenza di orientamento e di adeguate informazioni sul mercato del lavoro e sulla sua evoluzione non aiuta i giovani a fare le scelte giuste di raccordo tra percorso formativo e professionale. Esiste un ampio scostamento tra settori in cui si aspettano di trovare impiego e settori con maggior domanda di assorbimento.

Tra chi studia è alta la frequenza, nel campione intervistato, di chi dichiara che cercherà lavoro nel settore pubblico (37%), soprattutto tra le donne, al Sud e tra i non diplomati, nonostante lo scarso peso di questo settore nell’occupazione giovanile (13% tra i giovani occupati intervistati). Gli studenti manifestano invece una forte sottovalutazione delle opportunità offerte da settori come il commercio, l’artigianato e l’agricoltura.

Sempre dall’indagine emerge come, se dal lato della domanda i giovani segnalano una carenza di reali opportunità, dal lato dell’offerta indicano come uno dei limiti principali non tanto la resistenza culturale verso certi tipi di lavoro ma soprattutto la carenza di combinazione tra formazione ed esperienza per poterli davvero svolgere.

In decisa crescita è infatti la disponibilità di adattamento anche verso attività di tipo manuale, purché con una remunerazione adeguata e nelle quali esprimersi in modo creativo.

Le difficoltà a trovare un lavoro intacca nei giovani non solo la fiducia nelle istituzioni, ma rischia anche di ridurre il senso di appartenenza sociale, portando i giovani a rifugiarsi nella rete parentale più ristretta al punto che solo il 35% circa ritiene che la maggior parte delle persone sia degna di fiducia. Un alto grado di fiducia viene riposto unicamente nei famigliari e negli amici: l’80% dei giovani si ritiene infatti soddisfatto dei propri rapporti.

 “In una realtà sempre più complessa, competitiva e in rapida trasformazione è importante dotare le nuove generazioni di una solida formazione e di strumenti adeguati per fare le scelte giuste nel passaggio dalla scuola al mondo del lavoro” – afferma il prof. Alessandro Rosina, tra i curatori dell’indagine –  “Attualmente l’Italia si trova ad essere, purtroppo, uno dei paesi avanzati che meno hanno attrezzato le nuove generazioni a cogliere le opportunità del mondo che cambia. Rispetto ai coetanei degli altri paesi sviluppati i giovani del nostro paese si trovano infatti più spesso avvolti da una fitta nebbia nelle fasi iniziali del percorso occupazionale, con il rischio di perdersi e finire fuori strada. Alta nelle nuove generazioni è la voglia di essere attivi e mettersi in gioco, ma alto è anche il rischio di frustrazione e demotivazione in carenza di politiche concrete ed efficaci in grado di aiutare i giovani italiani a dare solide basi al proprio futuro attraverso una adeguata collocazione nel mondo del lavoro”.

L’alternanza scuola-lavoro piace ai giovani italiani: ecco i dati elaborati dall’Indire per conto del Miur

Nel 2013/2014, sono stati 210.506 gli studenti italiani delle superiori che hanno partecipato a uno dei 10.279 percorsi di alternanza scuola-lavoro attivati. Pari al 10,7% del totale e in aumento rispetto all’8,7% dell’anno precedente. Le strutture ospitanti sono state 126.003, con un +21,6% di imprese coinvolte. In 375 esperienze di alternanza sono stati previsti anche stage all’estero. Questi i dati elaborati dall’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Indire) per conto del Miur, che mostrano come sia in crescita la consapevolezza dell’importanza di questo tipo di esperienza per avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro: l’alternanza scuola-lavoro consiste infatti nella possibilità per gli studenti dai 15 ai 18 anni di realizzare gli studi del secondo ciclo di istruzione alternando periodi di studio in aula con periodi di stage in azienda, sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica e sulla base di apposite convenzioni con imprese, associazioni ed enti pubblici e privati.

Dai risultati emerge dunque che il 43,5% delle scuole secondarie di II grado ha utilizzato l’alternanza scuola-lavoro come metodologia didattica nell’anno scolastico 2013/2014. I percorsi attivati sono stati 10.279, 210.506 gli studenti partecipanti (il 10,7% del totale), 126.003 le strutture ospitanti (con un +21,6% di imprese coinvolte).

I dati riguardano l’anno scolastico passato, che ha visto una flessione dei percorsi totali attivati (erano 11.600 nel 2012/13), ma un’incidenza maggiore di questa esperienza fra i ragazzi: ha partecipato infatti il 10,7% della popolazione scolastica interessata a fronte dell’8,7% dell’anno 2012/2013.

Dei 2.361 istituti in alternanza, nel 2013/2014 il 43,4% erano professionali, il 37,3% tecnici, il 13,3% licei. Mentre dei 10.279 percorsi totali il 57,9% è stato attivato negli istituti professionali, il 29,7% nei tecnici, l’11,9% nei licei.

A livello regionale, la maggior parte dei percorsi (2.836) viene svolta in Lombardia, seguono Toscana (1.302), Veneto (919), Lazio (711). I percorsi negli istituti tecnici e nei licei sono aumentati rispettivamente del 19,6% e del 35,4%. In 375 esperienze di alternanza sono stati previsti anche stage all’estero.

Dal workshop su giovani e fede: “La famiglia come luogo dell’apprendimento dei valori”

Che rapporto hanno i giovani italiani con la fede? Quali sono le loro credenze e i loro atteggiamenti nei confronti della religione? Ancora oggi la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi italiani è socializzata alla religione cattolica, dal battesimo fino al sacramento della confermazione: com’è vissuta questa esperienza? Quale valutazione ne danno i giovani una volta terminata? Sappiamo che molti di loro, una volta concluso il percorso di iniziazione cristiana si allontanano dalla fede ma ancor più di frequente dalla religione e dalla Chiesa. Quali ne sono i motivi? E quali esperienze e cammini possono portare a un riavvicinamento? Quali caratteristiche sono proprie dei giovani credenti a confronto con quelli che non si dichiarano tali? È proprio vero che la secolarizzazione ha investito e fatto suoi i percorsi di vita delle nuove generazioni?

 

Sono queste solo alcune delle domande che la ricerca, presentata martedì 25 novembre nel corso di un workshop tenutosi alla Sala Negri da Origgio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si è posta e per rispondere alle quali ha interpellato – tra il 2013 e il 2014 – 150 giovani, ragazze e ragazzi, tutti battezzati, di due fasce d’età comprese tra i 18 e i 29 anni, diversificati in base alla loro provenienza territoriale e al titolo di studio. Le ragazze e i ragazzi intervistati hanno raccontato con le loro parole la loro esperienza e il loro vissuto, dando conto delle proprie conoscenze e del proprio modo di vivere la fede e la religione, mostrando le luci e le ombre di questa sfera di vita, evidenziando i problemi e le loro eventuali soluzioni, cercando di recuperare i percorsi della loro ricerca di senso. Se in questa fase della ricerca si è cercato di differenziare al massimo le esperienze di credenza e di appartenenza, in una seconda fase si è scelto di concentrare l’attenzione su coloro che, tra gli intervistati, avevano dichiarato di essere credenti, per approfondire con loro – più da vicino – gli aspetti del vissuto della fede e dell’appartenenza religiosa.

 

Oltre alle loro testimonianze, la ricerca ha raccolto anche le risposte di 1663 nuovi reclutati nel panel fra fine 2013 e inizio 2014 tra i 18 e 29 anni di età, che hanno potuto evidenziare e dare una dimensione alle caratteristiche che distinguono i giovani che si dichiarano cattolici credenti da quelli che si dichiarano non credenti. Qui di seguito alcune brevi suggestioni nate dall’analisi dei testi, che possono essere utili come introduzione a una più estesa presentazione e discussione sui temi d’indagine.

 

I percorsi dell’iniziazione cristiana sono spesso segnati dalla percezione di un’imposizione (proveniente dalla famiglia di origine) che “costringe” dentro regole e norme. L’appropriazione e dunque i processi di interiorizzazione delle credenze possono risentire di tale percezione e tale vissuto e mancare il loro perfezionamento, contribuendo all’allontanamento che continua fisiologicamente a posizionarsi nell’età della post-iniziazione, principalmente tra i 13 e i 16 anni.

 

Il distacco è a volte duraturo e permane negli anni, portando con sé razionalizzazioni e sentimenti, ma anche chi oggi si dichiara credente ha spesso vissuto e affrontato periodi di crisi, seguiti da traiettorie di riavvicinamento personali, individualizzate, da loro definite mature e adulte. Nella loro esperienza, fanno comunque fatica a dire oggi di essersi veramente staccati in passato. Con Dio – nonostante tutto, e anche nel conflitto – si rimane comunque in contatto, ci dicono questi ragazzi. Forse più che di abbandoni si potrebbe parlare di latenze della fede. Può essere la comunità, peraltro, a “recuperare alla fede”, per esempio affidando nuove responsabilità. Ma molti sono i modi dell’allontanarsi e anche del riavvicinarsi, segnati spesso da chiari distinguo tra la fede e l’istituzione che la rappresenta.

 

Il rapporto con la divinità assume forme diverse e segnate anche dal processo di individualizzazione e personalizzazione tipico della società italiana attuale. Un dio-fai-da-te, un certo grado di sincretismo, alcuni elementi new age sono presenti ma non prevalenti, spesso mescolati alla riflessione sulla ricerca del senso della propria esistenza, in un mix culturale tipico della contemporaneità mediale.

 

I giovani italiani battezzati si sentono vicini al sacramento del battesimo, lo considerano “di valore”, una promozione dell’essere umano, un riconoscimento della persona che può addirittura prescindere dalla credenza; ma i giovani si sentono lontani dalla confessione, e privilegiano il rapporto personale con Dio.

 

Le criticità maggiormente sentite sono spesso relative alla percepita sclerosi delle strutture religiose, alla lontananza dell’istituzione chiesa da ideali di pulizia, povertà, giustizia che i giovani vorrebbero lì trovare e che scoprono nella figura di Papa Francesco e nelle grandi figure del Novecento, come la Beata Teresa di Calcutta e San Giovanni Paolo II. Critiche sono le tematiche dell’etica familiare e sessuale, quelle della bioetica, quella del ruolo della donna nella chiesa. Ma l’attualità di queste questioni, che non sfugge ai giovani, non intacca, nei credenti, la fede, facendo comunque sorgere delle domande alle quali stentano a dare risposte convincenti.

 

Tra i credenti, in particolare, Il vangelo, la croce, Maria, lo Spirito santo sono persone e simboli vivi nella fede dei giovani credenti, rimandano a temi e questioni centrali della loro vita religiosa, la guidano e la informano.

 

La fede è attuale. Nelle loro testimonianze, i giovani credenti cambiano e fanno cambiare anche la fede ma negli aspetti di diffusione – trasmissione e non nella sostanza, che non cambia e non può cambiare. La fede per loro non è debolezza ma forza perché coscienza dei propri limiti percepita e riconosciuta nel bisogno dell’affidamento.

 

I giovani che si dichiarano cattolici hanno anche altre caratteristiche che li distinguono dai non credenti e altre che condividono con tutti i coetanei. Dall’indagine quantitativa che è stata condotta, si evince che alcune delle loro peculiarità riguardano il rapporto e la concezione stessa della famiglia, dalla quale, più di coloro che si dichiarano non credenti, dicono di ricevere comprensione e appoggio, libertà e autonomia, possibilità di espressione e di scambio. Pensano alla famiglia come il luogo dell’apprendimento dei valori e come rifugio dal mondo ma anche come una forma di convivenza che permette l’apertura verso il mondo, credono al matrimonio come istituzione  e desiderano, più dei non credenti, costruire una famiglia d’elezione con un numero elevato di figli. Dichiarano, inoltre, un maggior grado di fiducia negli altri.

Giovani nel mondo, intervista della Radio Svizzera al professor Alessandro Rosina

Sono 1,8 miliardi in tutto il mondo i giovani di eta’ compresa tra i 10 e i 24 anni, su una popolazione di 7,3 miliardi di persone, la popolazione giovane più numerosa della storia. E secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, raggiungeranno i 2 miliardi entro la meta’ del secolo attuale. Di questa ampia percentuale fanno parte ben 600 milioni di ragazze con le loro specifiche esigenze, difficolta’ e aspirazioni. Questa la fotografia scattata dal rapporto dell’Unfpa (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione), presentato in contemporanea mondiale e in Italia lanciato dall’Aidos .

 

Alessandro Rosina, docente di Demografia all’Università Cattolica di Milano e coordinatore scientifico del Rapporto Giovani, ne ha parlato a Modem (trasmissione della Radiotelevisione Svizzera) con Giulia Vallese (rappresentante UNFPA in Nepal) e con Marcello Martinoni (Geografo ed etnologo).

 

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Convegno Rapporto Giovani a Roma, l’intervento del Rettore Anelli

Franco Anelli, Magnifico Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha partecipato al convegno La grande sfida italiana: riattivare le nuove generazioni per far crescere il paese”, tenutosi nella mattinata di mercoledì 5 novembre, portando i suoi saluti.

“Riattivare le nuove generazioni; non è una parola che si ritrovi tanto spesso e mi pare che sia stata efficacemente scelta- ha sottolineato lo stesso Anelli nel corso del suo discorso- questa idea di riattivazione da un lato sottintende un’accentuazione non positiva, esiste un’inattività in questo momento, e se c’è è giusto che ce ne facciamo carico: ci sono generazioni nuove, che sono energie, valori e ricchezze in potenza preziose che non sono sfruttate e che non sono messe nelle condizioni di dare alla collettività e a loro stessi quell’utilità e quei vantaggi che sono in grado di dispiegare.  Abbiamo una parte della popolazione che rinuncia, perché vi è costretta o perché non ci crede più, a completare la propria formazione, a munirsi di strumenti di conoscenza, che sono gli unici sui quali si può fondare”.

 

 

 

“Due giorni fa ero a una conferenza con il ministro Moavero sui rapporto Ue-Russia: chiamato in causa, il console tedesco ha difeso la politica finanziaria della Germania, dicendo che bisogna rispettare le regole, ma ha aggiunto anche un’altra cosa: “Noi non abbiamo materie prime, noi abbiamo il 25% di rinnovabile e acquistiamo e vendiamo tecnologia: la nostra maggiore risorsa sono le capacità della nostra popolazione”. Vale anche per noi, magari non saremo accreditati come i tedeschi per la tecnologia, ma lo siamo per la creatività, per la cultura: è su questi brand che dobbiamo puntare, dobbiamo quindi insistere nella formazione e nella cultura. In questo senso è particolarmente importante il progetto che oggi viene presentato, il Rapporto Giovani: non è un’indagine fatta in modo episodico, ma segue un’evoluzione e diventa un Osservatorio con carattere di permanenza. Un progetto estremamente importante per con0scere il fenomeno, capire le cause della disaffezione verso la propria formazione e anche verso se stessi. Bisogna dunque capire se e perché sbagliano, può anche essere che abbiano ragione loro”.

Il convegno del Rapporto Giovani a Roma. La risposta della Rete

La moderatrice dell’incontro, la giornalista del Tg3 Lazio Isabella Di Chio, dà il via all’incontro

Ad aprire i lavori il saluto del Magnifico Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Franco Anelli

 

Alessandro Rosina, coordinatore scientifico del Rapporto Giovani, illustra i dati dell’indagine promossa dall’Istituto Toniolo

 

 

   L’intervento del Presidente di Regione Lazio Nicola Zingaretti:

 

 

Ivana Pais, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro, Università Cattolica, Milano, fa il punto su molti temi che riguardano i giovani da vicino: coworking, start-up, Garanzia Giovani

Lidia Borzì, presidente delle ACLI di Roma e provincia, plaude alla ricerca promossa dal Toniolo per il suo approccio che riesce ad andare al di là dei numeri

 

 

 

Il pubblico del convegno: docenti, giornalisti, esperti del mondo del lavoro, giovani e anche amministratori

 

“Del doman non v’è certezza – Quale fiducia da coltivare”: Il Rapporto Giovani presentato a Mestre

Mestre- Venerdì 28 novembre, al centro culturale Candiani si è tenuto il convegno dal titolo “Del doman non v’è certezza- Quale fiducia da coltivare…il ruolo della scuola secondaria di secondo grado”. All’incontro, che ha visto la presentazione dei dati del Rapporto Giovani, hanno partecipato Diego Mesa, docente di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Euglent Plaku, autore del libro Oltre Confine e Tiziana Agostini, docente e saggista

 

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