Quasi due giovani su tre (il 64,8%) non hanno mai fatto volontariato e solo il 6,6% lo fa in modo continuativo. In mezzo c’è un 7% che il volontariato lo fa, ma con un impegno saltuario. Poco o tanto che sia, chi fa volontariato preferisce giocare da solo: oltre l’86% dichiara di non appartenere ad alcuna associazione. Sono i dati raccolti dal Rapporto Giovani, promosso dall’Istituto Toniolo con Fondazione Cariplo e Università Cattolica, il più recente e completo realizzato in Italia sui Millennials.
Per Elena Marta «da anni appiccichiamo ai giovani l’etichetta del disimpegno, ma non è così. Le percentuali di giovani che fanno volontariato sono basse, ma non sono in ribasso. Negli anni il dato oscilla di poco, dal 10 al 16%, a seconda anche di quello che consideriamo. Il problema forse è che dobbiamo cambiare la lente attraverso cui guardiamo il fenomeno». Le indagini statistiche infatti si fanno con delle domande standard, che bene o male partono dal fotografare come volontario chi dedica a un’organizzazione sociale tre ore alla settimana o 20 giorni all’anno.
La professoressa Marta è netta: «Abbiamo categorie vecchie. Bisogna fare nuove domande, chiedere le cose in modo diverso, altrimenti resta fuori tutto il volontariato informale e non penso solo a ciò che passa da internet. Restano fuori l’educatore d’oratorio, i volontari dei tanti festival che da questo punto di vista hanno appassionato un numero imprevedibile di giovani volontari, l’impegno civico per l’ambiente, la raccolta differenziata, i Gas». Cose che secondo le definizioni tradizionali non sono nemmeno volontariato, ma che senza dubbio sono un’azione personale che costruisce bene comune e cittadini.
Ed ecco che alla luce di quanto avvenuto a Genova ( dove sono ormai centinaia “Gli angeli del fango”, quasi tutti giovanissimi, tutti lì per dare una mano con generosità) questi dati “sommersi” assumono rilevanza ancora maggiore: occorre interrogarsi rispetto alle “definizioni tradizionali” del mondo del volontariato, specialmente se riferite al mondo giovanile. «La novità ulteriore» precisa la professoressa «è che attraverso questo tipo di impegno l’azione sociale diventa un habitus, un modo di essere nella vita quotidiana». La stessa che ha spinto giovani e giovanissimi a spalare il fango nei vicoli di Genova.