I dati dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo mostrano che ancora oggi due ragazzi su tre considerano diventare genitori come un dimensione fondamentale della propria realizzazione, ma lo scenario attuale non è certamente rassicurante.
Secondo i dati appena resi noti dall’Istat, nel 2019 in Italia il numero delle nascite zero è stato pari a circa 435.000, meno della metà rispetto ai nati del 1974 e minimo storico dall’Unità d’Italia. Con un’ulteriore flessione del tasso di fecondità (1,29 figli per donna, fanalino di coda in Europa) e i tanti giovani che lasciano il Paese (in 10 anni abbiamo perso 250.000 giovani), da cinque anni l’Italia segna un bilancio demografico negativo.
Il prof. Mauro Magatti, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sottolinea come “avere figli non è solo un atto privato, che riguarda chi decide di darlo, ma è una decisione che ha rilievo di interesse generale: è un contributo allo sviluppo della società italiana nella prospettiva della sostenibilità integrale di lungo periodo. In Italia manca una strategia di sostegno alle famiglie e resta tuttora irrisolta la questione femminile, tanto più se si tiene conto che il livello di studio delle ragazze è oggi superiore a quello dei ragazzi. Se non si affronta e si risolve la questione femminile, non sarà possibile nessun rilancio, né economico né demografico” (Fonte: Corriere della Sera, 12 febbraio 2020).
La conseguenze principale del calo delle nascite non è tanto la riduzione della popolazione complessiva, ma il profondo squilibrio sulla composizione per età. Come mostra un recente report del Laboratorio Futuro dell’Istituto Toniolo, la diminuzione delle nascite ha infatti ridotto prima la presenza di bambini, poi di giovani e ora sempre di più la popolazione nelle età centrali adulte, con conseguenze inesorabili della forza lavoro. Dal punto di vista demografico, nel nostro paese gli attuali 30-34enni sono 1,2 milioni in meno rispetto agli attuali 40-44enni (i primi sono poco sotto i 3,5 milioni contro circa 4,7 milioni dei secondi), mentre in termini di partecipazione lavorativa, il tasso di occupazione degli attuali 30-34enni è sensibilmente inferiore sia rispetto al tasso occupazionale dei coetanei europei (67,9% contro 79,1% Eu-28), sia al tasso occupazione che avevano i 30-34enni di dieci anni fa (gli attuali 40-44enni) pari a 74,8%.
“Quello che complica il futuro dell’Italia come persistente denatalità è avere più degli altri Paesi fortemente indebolito la popolazione giovanile, quella a cui è affidata nei prossimi decenni la crescita economica e la sostenibilità del sistema welfare. In combinazione con il debito pubblico, il rischio è quello di mettere il futuro in un vicolo cieco”, aggiunge Alessandro Rosina, docente dell’Università Cattolica e membro dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo (Fonte: L’Eco di Bergamo, 13 febbraio 2020).