Il dibattito politico sembra concentrarsi prevalentemente sulla riforma costituzionale e sulla legge elettorale. Nel frattempo, l’Istat ci comunica che la disoccupazione a febbraio è tornata al 12.7%. Le categorie più deboli, come sempre, sono le donne e i giovani.
A dicembre e a gennaio sembrava che il trend avesse imboccato una direzione ottimistica. Il premier Matteo Renzi esultava: “Più di 130.000 posti di lavoro nel 2014” – non facendosi mancare, per l’occasione, il leitmotiv su “scuola e banda larga”.
Ma al di là degli annunci il dato che emerge dalla Ricerca non è rallegrante: il numero dei disoccupati è cresciuto, negli ultimi 12 mesi, di 67.000 unità.
La percentuale di uomini disoccupati rimane stabile all’11.7%, mentre tra le donne sale al 14.1% (persi 42.000 posti di lavoro). Ma il dato che allarma più di tutti è, per forza di cose, la disoccupazione crescente tra i giovani.
A febbraio 34000 ragazzi hanno perso il lavoro: il 42.6% di loro è a spasso.
E al danno, come spesso avviene nel nostro Paese, si aggiunge la beffa: da un lato c’è chi non riesce ad andare in pensione, dall’altro chi la pensione forse non la vedrà mai perché mai riuscirà a versare i contributi.
Beppe Grillo, riponendo per un attimo l’abitudine all’invettiva, ha sottolineato con chiarezza che i dati Istat non sono confrontabili con le affermazioni del governo sulle 79mila attivazioni di nuovi contratti, che “sono dati di diversa natura e non necessariamente significano nuovi occupati. Possono anche essere transizioni dal tempo determinato e altri tipi di contratti”.
“In fin dei conti il lavoro è ancora il mezzo migliore di far passare la vita”, questo diceva Gustave Flaubert. La sua creatura più celebre, Emma Bovary, non lavorava. E il destino, come è noto, non le riservò una bella fine.
Francesco Mattana