LAVORO; IST. TONIOLO: IL 47% DEI GIOVANI ITALIANI PRONTI AD ADATTARSI PUR
DI LAVORARE PER POTERE PROGETTARE FUTURO. MA SOLO IL 35% E’ IN GRADO DI
LASCIARE LA CASA DEI GENITORI
E’ aumentata molto negli ultimi anni la disponibilità dei giovani ad adattarsi al lavoro e di
continuare a cercare di vedere positivamente la propria vita. Infatti gli italiani tra i 18 e i 32 anni ai
quali è’ stato chiesto di valutare con un voto da 1 a 5 il senso di soddisfazione sulla propria vita
raggiungono in media un valore pari a 4,3. In un contesto di perdurante difficoltà nel mondo del
lavoro l’autorealizzazione viene messa in secondo piano rispetto al reddito, soprattutto nelle classi
sociali medio basse. E la remunerazione è infatti uno dei principali punti dolenti della qualità del
lavoro svolto, assieme alla non sempre stretta coerenza con il proprio percorso formativo. Questa
condizione di adattamento riguarda tutti, ma è ancora più forte per chi ha un lavoro a tempo
determinato (49,3%). In tutte le dimensioni considerate – non solo sull’aspetto della
stabilità – il lavoro a tempo determinato risulta su valori più bassi rispetto a quello indeterminato.
L’unica eccezione è il rapporto con i superiori, forse anche per la necessità di mantenere relazioni
positive per il rinnovo del contratto (76% per il tempo determinato e il 68,4% per il lavoro
autonomo.
Sono questi i dati emersi dal “Rapporto Giovani” – promosso dall’Istituto Toniolo di Studi Superiori
con il sostengo di Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo – presentati al Meeting di Rimini da
Alessandro Rosina, docente di demografia all’Universita’ Cattolica del Sacro Cuore è uno dei
curatori del Rapporto giovani.
I risultati di questo approfondimento sono tratti dalla rilevazione effettuata ad ottobre 2015 su un
campione di 9358 persone, rappresentativo della popolazione italiana di età compresa fra i 18 e 32
anni
Sempre dal Rapporto Giovani emerge che la maggior stabilità di chi ha un lavoro a tempo
indeterminato e la soddisfazione complessiva verso il lavoro sono legate positivamente sia alla
soddisfazione per la propria vita e le scelte fatte, sia come atteggiamento positivo
verso COME ATTEGGIAMENTO POSITIVO VERSO il proprio futuro.
Al punto più basso si trovano i Neet, I GIOVANI CHE NON STUDIANO E NON LAVORANO.
La loro soddisfazione per la vita raggiungere 3,7 punti in media su 5, contro un valore pari a 4,3 di
chi ha un lavoro instabile e 4,8 per chi ha un lavoro a tempo indeterminato. I Neet sono anche la
categoria che meno è sicura delle scelte fatte nella propria vita. Il punto centrale della scala è 3 e il
voto alle scelte fatte finora è solo di poco superiore a tale soglia per i Neet (3,4).
Infine, tra gli under 30 che vivono con i genitori, la percentuale di chi progetta l’uscita entro un
anno dall’intervista è pari a poco più di un quarto nella fascia 18-24 e a poco più di un terzo nella
fascia 25-29. Valori non elevati se si pensa che la maggioranza dei giovani europei vive in
autonomia dopo i 25 anni. Esistono però differenze marcate sia rispetto alla presenza del lavoro sia
al tipo di lavoro: per chi ha un contratto a tempo determinato si sale al 45 percento di intenzioni
positive di uscita, mentre tra i Neet non solo il valore è molto basso (23 percento) ma rimane
sostanzialmente fermo all’aumentare dell’età. Un chiaro segnale di progetti di vita che vengono
rinviati e che progressivamente si trasformano in rinuncia definitiva.
Risultati che mostrano come lo scadimento delle opportunità di occupazione e la qualità del lavoro
stiano fortemente erodendo il futuro delle nuove generazioni.
L’elevata percentuale di Neet tra gli under 30 in Italia (il cui valore assoluto, superiore ai 2 milioni e
200 mila, è il più elevato in Europa) non compromette solo le vite lavorative dei giovani ma
costituisce un enorme macigno sulla sostenibilità sociale, sulle dinamiche demografiche e sullo
sviluppo economico dell’intero paese.
“Il tema del lavoro – spiega Alessandro Rosina – è molto sentito dai giovani italiani e dalle loro
famiglie. Già prima della crisi economica il tasso di occupazione giovanile risultava essere uno dei
più bassi in Europa. L’Italia è uno dei paesi avanzati che con l’entrata in questo secolo meno si sono
rivelati capaci di dotare i giovani di strumenti adatti per essere attivi e intraprendenti nel mondo del
lavoro”.
“Come conseguenza – aggiunge Rosina – i giovani, anziché essere protagonisti positivi di processi di
innovazione e inclusione che rendono più competitiva l’economia e più solida la società, si trovano
relegati ai margini, dipendenti a lungo dai genitori, con progetti professionali e di vita bloccati”.
“L’Italia è anche uno dei paesi – aggiunge Rosina – che meno hanno aiutato i giovani a proteggersi
dai rischi della crisi. La combinazione di carenze strutturali persistenti ed impatto congiunturale
della crisi ha portato l’Italia ad essere tra i paesi in Europa con più alta percentuale di under 30 che
non studiano e non lavorano e che non hanno formato una propria famiglia con figli”.
“Eppure i giovani italiani – conclude Rosina -non sono rinunciatari. Hanno in partenza progetti di
vita importanti da mettere in atto e un atteggiamento positivo verso il lavoro. Dove questi progetti
sono incentivati a realizzarsi producono risultati rilevanti ma diventano anche un riscontro positivo
che consente di trovare fiducia e determinazione nella costruzione del proprio futuro. Dove questo
incoraggiamento manca il rischio è quello dello scoraggiamento e della revisione verso il basso dei
propri obiettivi, fino anche alla rassegnazione e al rischio di marginalizzazione sociale.

 

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