L’unico posto in cui si sentono a casa, ormai, è la hall dell’aeroporto. Che i Millennials italiani fossero una generazione con la valigia si sapeva, ma più si cerca di inquadrare il fenomeno più le mete si fanno diverse e distanti. E soprattutto, cresce tra i giovani la consapevolezza che lasciare il Paese è sempre meno una scelta e sempre più una necessità.
A dircelo sono i dati di un recente studio del Rapporto Giovani sul tema “mobilità per studio e lavoro”, presentati a Treviso sabato 12 settembre dal prof. Alessandro Rosina, nell’ ambito del Festival della Statistica e della Demografia. L’indagine è stata elaborata a partire da un panel di 1.000 giovani tra i 18 e i 32 anni, ed è stata realizzata dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo.
Secondo quanto emerge dai dati raccolti, l’83,4% degli intervistati è disposto a cambiare città stabilmente per trovare migliori possibilità di lavoro. Di questi, il 61,1% – quindi per la prima volta ben oltre la maggioranza dei giovani – si dichiara disponibile a cercare lavoro all’estero. Non solo, tra i potenziali emigranti, oltre uno su tre sta valutando la possibilità di farlo entro il 2016.
È la diretta conseguenza di come i Millennials italiani percepiscono l’attuale situazione del Paese. A spaventare non è tanto (o non solo) la presa d’atto di una condizione non più sostenibile, ma soprattutto il timore che la ripresa stenti ad arrivare. Per il 44% dei giovani le opportunità in Italia sono peggiori rispetto alla media degli altri Paesi sviluppati e, dato ben più preoccupante, il 48,2% ha poca fiducia nella possibilità che entro tre anni queste possano migliorare.
Inevitabile dunque la partenza. Le destinazione considerate più attrattive sono – nell’ordine – Australia, USA e Regno Unito, che insieme raccolgono oltre la metà delle risposte (il 54,8%,). Segue poi la Germania, che presenta una disoccupazione giovanile particolarmente bassa, e a distanza Canada, Francia, Austria, Svizzera e Belgio. Bassa infine la percentuale di chi indica la Spagna (1,5%), molto ambita in passato ma colpita, con la crisi, da tassi di disoccupazione giovanile molto elevati.
“I dati – spiega Alessandro Rosina, tra i curatori del Rapporto – restituiscono un quadro meno stereotipato rispetto a quello usualmente fornito nei mass media, schiacciato molto spesso sul tema della “fuga” dei laureati. La fuga è solo un aspetto del fenomeno, anche se è in effetti quello più problematico. E’ vero inoltre che i laureati tendono maggiormente ad espatriare rispetto a chi ha titoli più bassi, ma soprattutto perché hanno maggiori risorse e possibilità per farlo. La propensione ad andarsene, soprattutto se legata a difficoltà oggettive di trovare lavoro, è sentita in tutte le categorie e tutti i livelli di istruzione”.