Intervista ad Alessandro Rosina, uno dei curatori del Rapporto Giovani, su uno dei temi più scottanti dell’attualità: l’emigrazione di tanti giovani italiani verso l’estero, alla ricerca di opportunità lavorative. E proprio di questo tema Rosina ha parlato a Conversano (Bari), nell’ambito dell’incontro dal titolo “Generi e Generazioni”.
Quale fotografia del nostro paese è uscita dal dibattito di Conversano?
La fotografia uscita dal dibattito di Conversano è quella di un paese che ha grandi potenzialità inespresse. Un paese che non riesce a valorizzare – mancando politiche di investimento sociale e di promozione attiva – le capacità e le competenze delle persone ed in particolare dei giovani. Le economie avanzate che crescono di più sono proprio quelle che includono maggiormente le nuove generazioni nei processi decisionali e di sviluppo del paese. Dai dati del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo emerge in modo molto chiaro come i giovani non vogliano assistenzialismo passivo ma opportunità per mettersi in gioco con le loro idee e la loro voglia di fare. Purtroppo l’Italia è uno dei paesi avanzati che meno offre tali opportunità.
Le nuove generazioni stanno pagando a caro prezzo la crisi economica, ma soprattutto la scarsità di opportunità lavorative. Il mercato del lavoro in Italia è così stagnante?
Già prima della crisi economica l’Italia presentava bassi ritmi di crescita e difficoltà di inclusione dei giovani nel mercato del lavoro. La recessione ha quindi colpito un paese che era già in difficoltà nel produrre sviluppo e benessere. Il costo maggiore ricade ancora una volta sui giovani, che si trovano a cercare lavoro e a costruire le basi dei propri progetti di vita in un paese che non cresce, che investe poco in innovazione e in politiche attive per il lavoro, che perde posizioni di competitività sullo scenario internazionale.
L’emigrazione di tanti ragazzi e ragazze rappresenta un fenomeno in aumento, come si evince anche da recenti analisi: cosa può fare il nostro paese per frenare questa emorragia?
Il fatto che molti giovani vadano all’estero per studio o per esperienze di lavoro non va di per sé visto come un fatto negativo. Il problema non è tanto frenarne l’uscita dei cervelli, ma favorire la circolazione dei talenti. Ovvero fare in modo che con la stessa facilità con cui vanno possano anche tornare, o altrettanti se ne possano attrarre da altri paesi. Le politiche utili sono quindi quelle che rendono l’Italia un paese attrattivo perché consente a chi ha idee e voglia di fare – chiunque sia e qualunque sia la sua origine – di realizzare qui cose importanti.
Gli ultimi dati Istat hanno certificato un calo notevole dei livelli di occupazione tra gli under 35. Un segnale preoccupante, nonostante da più parti si parli di ripresa?
In tutta Europa la crisi ha colpito di più i giovani, ma in Italia il tasso di occupazione giovanile era già molto basso prima della crisi e l’impatto della recessione è stato ancor più duro proprio su tale fascia della popolazione. Bisogna tener presente che la scarsa valorizzazione del capitale umano dei giovani non è una emergenza prodotta dalla crisi, ma una persistenza che dura da decenni. Non basta quindi uscire dalla recessione, bisogna cambiare in modo più profondo e strutturale il modello di sviluppo di questo paese per riallinearlo al meglio di quanto le nuove generazioni possono esprimere.
La situazione nel Mezzogiorno è particolarmente preoccupante: solo il 51% dei giovani del Sud ha un lavoro. E’ un’emergenza nazionale troppe volte sottovalutata, secondo lei?
Se la situazione dei giovani in Italia è problematica, lo è al quadrato nelle regioni del Sud. In tale area del paese si vedono pochi segnali di miglioramento. Rispetto al resto dell’Italia, l’economia cresce di meno, il sistema di welfare è meno efficiente, maggiore è anche la sfiducia nelle possibilità di un miglioramento delle condizioni individuali e di contesto. Si assiste quindi ad un doppio flusso di giovani: dal sud verso il nord Italia, e dal nord verso l’estero. Per uscire dal questa condizione è necessario ripartire proprio dalle opportunità delle nuove generazioni. Attraverso strumenti che sostengono un ruolo attivo e intraprendente dei giovani. Alcune esperienze positive, come il programma “bollenti spiriti” della regione Puglia, dimostrano che politiche in questa direzione possono dare buoni frutti.